Donatello e il putto nella scultura - Parte II

Il Rinascimento

Nel fianco sinistro del Duomo di Firenze (Santa Maria del Fiore) si apre la Porta della Mandorla, eseguita in tre fasi: 1391-1397, 1404 -1409, 1414 -1422. Senza inoltrarsi nell’elenco degli artisti che vi hanno lavorato, basta notare come nei fregi laterali compaiano dei putti di tipo classico, alcuni più goffi, altri più evoluti. Sono tra primi “germi” della riscoperta del putto Eros-Amore.

La prima vera comparsa di putti in stile antico si deve a Jacopo della Quercia (con il probabile aiuto di Francesco da Valdambrino) nella tomba che ha eseguito nel 1406 per Ilaria del Carretto, moglie di Paolo Guinigi signore di Lucca, posta nel Duomo della città. È un sarcofago ancora di sapore medievale, con la defunta sul coperchio. Ma il sarcofago è circondato da una serie di putti alati classici, ognuno in posa diversa, che reggono col collo delle altrettanto classiche ghirlande di frutta. Anche se hanno significato funerario, Jacopo per la prima volta ricrea, su modello romano classico, quello che con Donatello sarà il putto rinascimentale.

È molto probabile che Jacopo si sia ispirato ai vari sarcofagi e frammenti di scultura romani presenti a Pisa, alcuni dei quali decorati con putti,

altri con ghirlande come quello di Caius Bellicus Natalis Tabanianus del Camposanto Monumentale di Pisa.

Jacopo ha scolpito, tra il 1425 e il 1438, anche due putti alati di forme classiche inseriti in due mensole della Porta Magna della chiesa di San Petronio a Bologna,

e altrettanto due putti di gusto classico nel bassorilievo di Adamo ed Eva, rappresentanti Caino e Abele.

Un altro esempio interessante si trova nella predella del gruppo scultoreo di una delle nicchie della chiesa di Orsanmichele a Firenze: i Santi Quattro Coronati di Nanni di Banco eseguiti dal 1411 al 1413: è rappresentata in bassorilievo una bottega di scultura in marmo in cui, a destra, si sta curiosamente eseguendo un putto classico ma di grandi dimensioni, quando in realtà la scultura di un nudo grande non era mai stata ancora eseguita; lo sarà non prima del 1440 circa anno in cui Donatello esegue l’ Attis e il suo David.

Nella sagrestia della chiesa di Santa Trinita a Firenze, la tomba di Onofrio Strozzi è costituita da un arco che sovrasta il sarcofago; l’arco è decorato da putti in bassorilievo stiacciato che si arrampicano su una ghirlanda, il cui stile ricorda molto quello di Donatello. Sul sarcofago sono presenti due putti sgraziati e di brutta fattura che reggono uno stemma, nello stile romano antico. Probabilmente è a questi che si riferisce il documento che attribuisce a Piero di Niccolò Lamberti l’ opera, eseguita nel 1418, mentre l’ arco è stato probabilmente eseguito più tardi dalla bottega di Donatello.

Tra il 1415 e il 1421, anno della sua morte, Nanni di Banco ha lavorato all’ esecuzione degli altorilievi della parte superiore della Porta della Mandorla nel Duomo di Firenze. La Madonna contenuta nella “mandorla” è circondata da 6 putti alati vestiti che sono diventati angeli, tre dei quali musicanti; sono più cresciuti dei putti classici. All’interno della mandorla, ai lati della Madonna, ne appaiono altri due, più giovani, e una testa di putto alato (un Serafino) appare anche sotto i suoi piedi. Si tratta di un ibrido: angeli vestiti, con la tipologia e la forma dei putti romani classici che sicuramente hanno influenzato Donatello che già conosceva quelli classici visti nei suoi viaggi a Roma insieme a Filippo Brunelleschi.


Michelangelo e le cave di marmo

Parte I

Michelangelo raggiunge le cave di marmo a Carrara due volte, nel 1497 e nel 1503, ma il Condivi, che ne scrive la biografia pubblicata nel 1553, non ne fa cenno.

Nel novembre del 1497 ci va per trovare il marmo per la Pietà, monumento allogatogli dal cardinale di San Dionigi (Jean de Bilheres de Lagraulas), che scrive agli Anziani di Lucca perché gli diano aiuto al suo arrivo alle cave.

Ancora prima di firmare il contratto con il committente, Michelangelo preleva una somma dal suo conto presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze

e su un cavallo grigio parte per Carrara.
Là prende in affitto una casa di proprietà del cavatore Francesco Pelliccia che lavorava nella cava del Polvaccio, dove Michelangelo acquista i blocchi, e che oggi è chiamata appunto Cava di Michelangelo.

Ma vi rimane poco, solo il tempo che gli serve per trovare e scegliere i marmi alla cava dallo scalpellino Matteo Cuccarello e torna a Roma; ai primi di febbraio sono pronti, Michelangelo paga il noleggio di una carretta trainata da un cavallo per il loro trasporto al porto, ma non torna a Carrara: dell’operazione se ne interessa un conoscente del committente, il cardinale di San Dionigi.
Ai primi di marzo i marmi non sono ancora arrivati, Michelangelo li aspetta.
Il cardinale scrive al marchese di Massa Malaspina e alla Signoria di Firenze perché districhino la situazione, finalmente, all’inizio dell’estate, i blocchi arrivano in più volte a Roma.
In agosto viene stipulato il contratto tra i due in cui Michelangelo si impegna per 450 ducati d’oro a scolpire la Pietà quale monumento funebre del cardinale, facendosi carico di tutte le spese.
Nell’ agosto del 1498 la scultura non è ancora terminata, il cardinale muore e non fa in tempo a vederla.

Michelangelo torna alla cava nel 1503, quando l’Opera del Duomo di Firenze gli commissiona l’esecuzione dei dodici apostoli per il duomo, obbligandolo per contratto ad andare a Carrara a scegliersi i marmi.
Li trova quasi tutti, come lui stesso scriverà nel dicembre 1523 a Giovan Francesco Fattucci: …chondocti la maggior parte d’i marmi…, che arrivano a Firenze tra il 1504 e il 1505.
Inizia con lo sbozzare il San Matteo che non finisce (Galleria dell’Accademia, Firenze) ma si ferma perché il papa Giulio II della Rovere lo vuole a Roma, e nel dicembre del 1505 il contratto per gli apostoli viene sciolto.

Il Condivi, nella biografia di Michelangelo, ci dice che nella primavera dello stesso anno ritorna a Carrara. Questa volta l’impegno è importante: cercare i marmi per l’enorme sepolcro che il papa vuole fargli erigere in San Pietro non è uno scherzo. Deve trovare molti blocchi perfetti, per un valore superiore ai mille ducati. E questa volta a Carrara rimane otto mesi.
Il primo contratto che ci è rimasto di questo lungo periodo nelle cave è datato novembre 1505 ed è relativo al trasporto via mare di 34 carrate di marmo: la carrata è la quantità di marmo che un carro con due bovi riesce a trainare in pianura, circa 850 Kg.

È stipulato con due Liguri di Lavagna proprietari di barche, che in una decina di giorni trasporteranno con i navicelli il carico ad Avenza al costo di 62 ducato d’oro, dove Michelangelo lo farà scaricare e trasportare ancora per mare a Roma a sue spese; verranno scaricate alla Ripa del Tevere con i navicelli (oggi Ripa Grande).

Il secondo contratto pervenutoci, datato 10 dicembre 1505 riguarda l’acquisto di altre 60 carrate di marmo dagli scalpellini Matteo Cuccarello e guido di Antonio di Biagio che verranno portati al porto di Carrara per l’ imbarco tra maggio e settembre successivo.
Nel contratto Michelangelo specifica che i marmi devono essere bianchi, senza peli, cioè senza crepe interne, senza venature, devono essere vivi e non cotti, devono essere stati estratti dalla cava del Polvaccio, o da altro luogo in cui si trovino, purchè bianchi netti e belli.
Alcune misure dei blocchi non sono ancora stabilite, e Matteo Cuccarello dovrà andare a Firenze dove Michelangelo gliele darà precise disegnando anche la forma di ogni blocco, come era sua abitudine.

La quantità di marmi ordinati è tale che i vari cavatori nel 1506 creano una società, oggi diremmo una Joint Venture per accontentare lo scultore e il papa.
Quando tutti i marmi arrivano riempiono metà della piazza di San Pietro, con grande ammirazione del popolo e soddisfazione del papa.
La gigantesca tomba a forma piramidale lunga 10 metri e larga 7 sarebbe costata 10.000 ducati a avrebbe impegnato Michelangelo per 5 anni.

Se Michelangelo ha un caratteraccio, Giulio II non è da meno:

questi viene convinto dal Bramante, invidioso, che farsi fare la tomba da vivi porta male, e blocca i pagamenti richiesti da Michelangelo per saldare il costo dei trasporti dei marmi; lo scultore si reca più volte e per più giorni dal papa che non lo riceve, Il 18 aprile l’irato Michelangelo fugge a cavallo verso Firenze, Giulio II lo fa rincorrere da 5 corrieri papali che lo raggiungono a Poggibonsi e cercano di farlo tornare a Roma. Ma lo scultore non ne vuol sapere, e pagherà di tasca propria, con un prestito del banco di Jacopo Gallo il costo dei trasporti.
I marmi rimarranno in piazza San Pietro fino alla morte di Giulio II e all’elezione del successivo papa fiorentino Leone X nel 1513.
Gli eredi di Giulio II chiedono a Michelangelo di riprendere il lavoro di scultura della tomba, ma con un progetto meno ambizioso. Ma questo progetto non avrà pace, verrà sempre più ridotto nel 1516, poi nel 1526 e ancora nel 1532, quando il mausoleo dovrà essere posto non più in San Pietro ma nella chiesa di San Pietro in Vincoli. Un successivo progetto lo rimpiccolisce ancora, e solo nel 1545 Michelangelo lo terminerà nella forma e nelle dimensioni che ha ancora oggi.

Nel 1513, quando la lavorazione per il mausoleo papale riparte, i rapporti di Michelangelo con i cavatori di Carrara si inaspriscono, sia per il ritardo nelle consegne dei nuovi blocchi che vanno a sostituire quelli rubati in piazza San Pietro, sia, forse, per la qualità non soddisfacente degli ultimi marmi. O forse anche per i ritardi nel pagamento ai cavatori dei marmi consegnati nel 1508. E non vuole più trattare di persona coi cavatori carraresi: il 7 luglio 1515 Michelangelo scrive al fratello Buonarroto di chiedere allo scalpellino di Pietrasanta Michele da Settignano se può acquistare dei marmi di là, ma dice che non può andare di persona né mandare qualcuno: A Carrara non voglio andare io, perché non posso, e non posso mandar nessuno che sia el bisognio, perché se e’ non sono pazi e’ son traditori e tristi…
Chiede anche al fratello di farlo mettere in contatto con altre persone che possano fare da mediatori tra lui e i Carraresi.
Michelangelo ritornerà a Carrara nel 1516, quando il progetto della tomba di Giulio II ripartirà. Ottiene una lettera di raccomandazione per Lorenzo Malaspina marchese di Fosdinovo, inviata al marchese dalla sorella Argentina Malaspina, moglie di Pier Soderini, forse sollecitata dallo stesso Michelangelo; il Soderini è amico e ammiratore di Michelangelo.

La lettera ha un buon effetto, e viene accolto bene dai cavatori rappresentati dal Caldana (Iacopo d’Antonino di Maffiolo) che gli aveva mandato una lettera a Firenze in cui scrive che è disposto a servirlo di cuore.
Nel novembre del 1516 ordina dei marmi a Francesco Pelliccia, nella cui casa continua ad abitare come affittuario, ma nell’ aprile del 1517 l’ordine viene disdetto di comune accordo. Tuttavia continua ad ordinare marmi alla cava del Polvaccio dai cavatori Mancino, Iacopo di Piero di Torano, e Antonio di Iacopo di Pulica; ma non stanno agli accordi pattuiti, e Michelangelo li cita in giudizio alla curia di Carrara. Michelangelo, che non conosce il latino, esige e ottiene che i notai scrivano in volgare.
Facciamo un passo indietro: nel dicembre del 1516 mentre è a Carrara, il papa Leone X lo vuole a Roma per fargli fare il progetto della facciata incompiuta della chiesa fiorentina di San Lorenzo; tra il 1516 e il 1517 Michelangelo esegue alcuni disegni diversi per la facciata.

con la richiesta del papa, attraverso il Buoninsegni, di mettere nelle nicchie in basso le statue di San Lorenzo, San Giovanni, San Pietro e San Paolo; più in alto quelle sedute di San Luca, san Giovanni, San Matteo, San Marco; ancora più in alto quelle di San Cosma e San Damiano in onore dei Medici.
Disegna anche come suo solito, per i marmi che sceglie e ordina alle cave per San Lorenzo, forma e dimensioni.

Il papa però gli ventila l’ idea che vuole che i marmi siano cavati a Pietrasanta che si trova nel dominio mediceo. Michelangelo nicchia, non vuole staccarsi dalle cave di Carrara, ma il papa non recede: i marmi per San Pietro, per Santa Reparata e per San Lorenzo dovranno essere cavati a Pietrasanta. Con la scusa che la strada per arrivare alle cave di Pietrasanta non è terminata, Michelangelo continua a scegliere i marmi per la facciata di San Lorenzo a Carrara, acquistandone per 4.000 ducati. Ma non è tranquillo, ha avuto l’ incarico di acquistare i marmi, ma non quello di eseguire la facciata, e da Carrara scrive a Domenico Boninsegni, segretario del papa, esprimendo la sua preoccupazione. Il Boninsegni lo tranquillizza, gli dice che il papa avrebbe già voluto veder un modello per la facciata, che è disposto ad aspettare a per averlo, ma lo consiglia di farne al più presto uno di legno da inviare a Roma. Il 20 agosto 1517 lascia Carrara per Firenze per realizzare il modello per il papa, su cui applica i modellini delle sculture fatti in cera. A Firenze si ammala gravemente, ma una volta guarito esegue lo esegue e lo manda a Roma su un mulo tramite il suo allievo Pietro Urbano.

Il papa è entusiasta, lo manda a chiamare e gli affida la realizzazione della facciata; conosce bene come lo scultore lascia tutto incompiuto e quindi lo obbliga ad avvalersi di aiutanti. Il 19 gennaio 1518 viene firmato il contratto con marmi bianchi e fini che siano di Carrara o di Pietrasanta dove meglio [Michelangelo] iudicherà al proposito.