Giambologna e il Ratto delle Sabine - Parte II

Il David e l'Ercole

È stato nel 1504 con il gigantesco David marmoreo di Michelangelo posto fuori del portone di Palazzo della Signoria, oggi Palazzo Vecchio, che il governo di Firenze permise di superare a piè pari il tabù della nudità vista frontalmente, tanto da esporla in un luogo pubblico così importante.

E infatti nel 1534 al David venne affiancato, nudo, l’Ercole di Baccio Bandinelli che sottomette Caco. Il Duca Cosimo I dei Medici aveva infatti scelto per suo simbolo non più il David, come avevano fatto prima i Medici del ramo di Cafaggiolo, poi la repubblica Fiorentina, ma appunto Ercole.

David di Michelangelo (copia dell’ 800) fuori Palazzo Vecchio

Ercole e Caco fuori Palazzo Vecchio

Perseo, Giuditta e Oloferne

Nel 1554 fu posto nella Loggia dei Lanzi il bronzo del Perseo con la testa della Medusa di Benvenuto Cellini, anch’esso nudo e con i genitali in vista; era stato scelto come pendant del gruppo di Donatello di Giuditta e Oloferne precedentemente sequestrato dal giardino del Palazzo Medici di via Larga (oggi via Cavour) nel 1494 come trofeo della vittoria repubblicana.
Col ritorno al potere dei Medici il gruppo non fu rimosso, perché i nuovi governanti vollero loro essere identificati con l’antica eroina ebrea Giuditta e gli avversari repubblicani identificati con il nemico di Israele Oloferne.

Perseo di Benvenuto Cellini, Loggia dei Lanzi, Firenze

Solo nell’agosto del 1583 il bronzo della Giuditta e Oloferne fu spostato per far posto alla colossale statua di marmo del Giambologna con tre figure nude di entrambi i sessi avvinghiate con violenta sensualità. Il posizionamento sotto l’arco della Loggia dei Lanzi, nello stesso punto della Giuditta, ha però creato delle limitazioni alla possibilità di girare intorno all’opera, che invece è nata per essere vista a 360°.

Giuditta e Oloferne fuori Palazzo Vecchio, Firenze

Ratto delle Sabine, Loggia dei Lanzi, Firenze

Il modello

Giambologna, dopo aver eseguito il modello in grandezza naturale, ora custodito al Museo dell’Accademia di Firenze, chiamò una serie di aiuti per la sbozzatura del marmo, primo tra tutti lo scultore francese di Cambrai Pierre de Francqueville, dal nome italianizzato in Pietro Francavilla.

Ratto delle Sabine, modello (foto 1932)

Ratto delle Sabine, modello 1581 circa, Galleria dell’Accademia, Firenze

Ritratto di Pietro Francavilla, Hendrick Goltzius

Giambologna, in realtà il francese Jean Boulogne nato a Douai nelle Fiandre nel 1529, già quotato in patria come abile scultore, venne probabilmente durante il Giubileo del 1550 a Roma per conoscere la scultura classica e rinascimentale. Vi rimase a studiare per due anni creando una grande quantità di bozzetti e modelli, gran parte dei quali, in creta o in cera, sono arrivati fino a noi. Tanto che quando negli anni ’70 del cinquecento Federico Zuccari gli fece il ritratto, gli mise in mano uno dei suoi bozzetti.

Giambologna ritratto, Federico Zuccaro

Giambologna ritratto, Hendrick Goltzius

Poco dopo l’arrivo a Roma Giambologna andò dal quasi ottantenne Michelangelo a fargli vedere un suo modello in cera a cui aveva lavorato con grande passione e attenzione. Michelangelo, lasciandolo esterrefatto, lo prese, lo schiacciò rimodellandolo velocemente in una figura del tutto diversa, dicendogli “Or va prima ad imparare a bozzare, e poi a finire“.

Giambologna maturò l’idea per una scultura di un uomo che rapisce una donna nel 1579, e quando il Granduca gli commissionò un gruppo monumentale in marmo, lo scultore previde una terza figura posta in basso per garantire la stabilità ai due personaggi. Si rendeva conto infatti che le caviglie dell’uomo in piedi che regge la donna sospesa erano troppo sottili per sostenersi; aveva avuto lo stesso problema quando aveva eseguito il Mercurio Volante per il Farnese e infatti fu costretto a farlo fondere in bronzo, più robusto del marmo, per permettere all’unico piede poggiato sulla base di reggere la scultura.

“Ratto della Sabina”, Giambologna, Museo di Capodimonte, Napoli

Mercurio, Giambologna, Museo del Bargello, Firenze

Inserì quindi un terzo uomo anziano in ginocchio come sostegno: si vede dal bozzetto in cera del Ratto delle Sabine come il terzo personaggio inginocchiato con sia stato modellato e aggiunto successivamente.

“Ratto della Sabina”, cera, Giambologna, Victoria & Albert Museum, Londra (fronte)

“Ratto della Sabina”, cera, Giambologna, Victoria & Albert Museum, Londra (retro)

Il successo della scultura

La monumentale opera del Giambologna ebbe un grandissimo successo, tanto che nel 1583 lo stampatore Bartolomeo Sermantelli pubblicò un volume con sonetti elogiatori e incisioni della scultura, seguìto nel 1584 da un opuscolo di Grazio Grazi pubblicato da Giorgio Marescotti, dal titolo Rime e versi latini di Gratiamaria Gratii, sopra il ratto delle Sabine. Scolpito in marmo dall’ eccellente Giambologna.
Nel 1584 Raffaello Borghini, nel suo Il Riposo, narra la vicenda della scultura dall’origine al successo dell’opera, dicendo che lui stesso suggerì al Giambologna di intitolare Ratto delle Sabine il gigantesco gruppo come soggetto più adatto all’opera.

Incisioni dal volume “alcune composizioni di diversi autori in lode del ritratto della Sabina”, British Library, Londra

Oceano

Con la morte nel 1560 di Baccio Bandinelli scultore della corte medicea, fu indetto il concorso per l’esecuzione di un grande Nettuno in marmo per la fontana da creare presso il Palazzo della Signoria. Giambologna vi partecipò con un modello in grandezza naturale in argilla, ma il vincitore risultò l’Ammannati.
Il Giambologna riadoprò il suo modello, con delle modifiche per trasformarlo nella figura dell’Oceano, per una fontana del Giardino di Boboli (ora al Bargello).
Quando un pittore fiammingo dipinse il ritratto di Giambologna, volle che da una finestra nel dipinto si vedesse proprio il modello dell’Oceano.

“Nettuno”, Ammannati, Piazza della Signoria, Firenze

“Oceano”, Giambologna, Museo del Bargello, Firenze

Ritratto di Giambologna nel suo studio, pittore sconosciuto fiammingo del XVI secolo, Scottish Nat. Gall. Edimburgo

Sansone e il filisteo

Per accontentare lo scultore suo protetto che non aveva vinto il concorso per la fontana del Nettuno, Il Granduca Francesco I dei Medici gli commissionò un colossale monumento di Sansone che atterra il Filisteo, scolpito in marmo (custodito al Victoria and Albert Museum). Già Michelangelo si era messo in moto quando la Repubblica Fiorentina gli aveva chiesto un gruppo di due lottatori da posizionare simmetricamente al David; il modello che Michelangelo eseguì in terra è fortunosamente arrivato a noi conservato dalla Casa Buonarroti.

“Sansone e un filisteo”, Giambologna, Victoria and Albert Museum, Londra

“Due lottatori”, Michelangelo, Casa Buonarroti, Firenze

Bartolommeo di Lionardo Ginori

Interessante è quanto scrive Filippo Baldinucci nelle “Notizie de’ professori del disegno” a proposito del modello che Giambologna aveva trovato per il suo grande Romano del Ratto delle Sabine: abitava a Firenze Bartolomeo di Lionardo Ginori uomo gigantesco alto “quattro intere braccia” (2,30 metri), guerriero di ventura ma pio e gentile. Giambologna lo vide nella chiesa di San Giovannino dei Gesuiti e incomiciò a guardarlo senza più smettere. Lionardo gentilmente gli chiese cosa volesse e Giambologna rispose: “nulla più signor ricerco io da voi, che osservare la bella anzi la meravigliosa proporzione della vostra figura; e giacchè voi con gentilezza tanto mi invitate, io passderò avanti a narrarvi un mio bisogno, ed è, che dovendo io, che sono Gio. Bologna da Dovai, Scultore del Granduca, fatigare intorno ad alcune grandi statue, con che devo rappresentare un certo ratto, stimerei di poter soddisfar molto a me stesso, ed all’ arta mia, quando io potessi far qualche studio dalle membra vostre… Il Ginori… subito s’ offerse al suo bisogno; onde potè poi lo Scultore far da sua persona gli studi e modelli che fece per la figura di quel robusto giovane.”
Il Giambologna, per ringraziarlo, gli donò un Crocifisso di bronzo eseguito dal noto fonditore Alberghetti.

Ritratto di Bartolommeo di Lionardo Ginori, Santi di Tito, collezione privata, Firenze