Michelangelo e il David - Parte I

Il Capolavoro e la sua storia

La Storia

Quando Michelangelo nell’agosto del 1501 firmava il contratto con l’ Opera del Duomo di Firenze per l’ esecuzione della statua di marmo di un David, aveva 26 anni, ed aveva già eseguito una serie di opere, divenute poi dei “classici”; tra cui a Roma, negli ultimissimi anni del ‘400, il Bacco (ora al Bargello) e la Pietà in San Pietro in Vaticano, unica opera da lui firmata nella cintola obliqua sul petto della Madonna Michelangelus Bonarotus Florentinus Faciebat.

Bacco di Michelangelo, Museo Nazionale del Bargello, Firenze

Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Vaticano

Pietà di Michelangelo (dettaglio), Basilica di San Pietro, Vaticano

Il contratto per il David recitava “…ad faciendum et perficiendum et perfece finendumquendam hominem, vocatur gigantem, abozatum, rachiorum novem ex marmore, existtentem in dicta opera, olim abozatum per magistrum Agostinum… de florentia et male abozatum…”
Michelangelo avrebbe cioè dovuto scolpire perfettamente e terminare un uomo definito gigante con un marmo abbozzato esistente nell’ Opera del Duomo, male abbozzato in passato dal maestro fiorentino Agostino.
Iniziò il lavoro come previsto da una postilla del contratto:

“Incepit dictus Michelangelus laborare et sculpire dicrum gigantem die 13 settembris 1501 ed die lunede mane, quamquam prius videlicet die 9 eiusden uno vel duobus ictibus scarpelli substulisset quoddam nisum quem habebat in pectore: seu dicta die incepit firmiter et fortier laborare, dicta die 13 et die lune summo mane…”

Cioè il suddetto Michelangelo aveva cominciato a scolpire il detto gigante la mattina del 13 settembre 1501 sebbene il giorno 9 avesse tolto dal petto un “nodo” del marmo con uno o due colpi di scalpello: ma cominciò a lavorarvi fermamente e più fortemente il detto giorno lunedì 13 di mattina.

Con i pochi colpi di scalpello Michelangelo si era voluto accertare della qualità e dello stato del blocco di marmo sbozzato, che era rimasto all’ aperto a lungo essendo stato affidato ad Agostino di Duccio anni prima, nel 1463.
Da un documento dell’ Opera del Duomo del 18 agosto 1464 (Poggi, Il Duomo di Firenze 1909) appare che si trattasse dello sbozzo di un gigantesco Profeta da collocare su uno degli sproni del Duomo.
Agostino di Duccio lasciò la scultura abbozzata, e quindi il 6 maggio 1476 il marmo venne dato dall’ Opera del Duomo da terminare ad Antonio Rossellino, ma anche lui lo lasciò allo stato di abbozzo.

Il Vasari però ci da altre notizie:
Era questo marmo di braccia nove, nel quale per mala sorte Simone da Fiesole aveva cominciato un gigante e sì mal concia era quell’ opera, che lo aveva bucato tra le gambe e tutto mal condotto e storpiato; di modo che gli operai di Santa Maria del Fiore, che sopra tal cosa erano, senza curar di finirlo, lo avevano posto in abbandono, e già molti anni era così stato ed era tuttavia per istare.

Secondo il Vasari quindi fu Simone Ferrucci da Fiesole lo scultore che lasciò il blocco di marmo malamente sbozzato.

E non fu l’ Opera del duomo a commissionare a Michelangelo la scolpitura e la finitura del blocco di marmo, ma fu Michelangelo stesso a chiedere di poterlo lavorare per cercare di cavarci qualcosa. Pensava alla più grande scultura eseguita nel Rinascimento.

La scultura di Michelangelo era costretta dal precedente sbozzo e probabilmente non era certo su come riutilizzare il blocco, su che forma e movimento potesse dare alla sua opera ancora non del tutto definita, infatti nel contratto si parla di un hominem, vocatur gigantem, in origine un Profeta da porre all’ aperto sugli sproni del Duomo.
Il marmo era nel cortile dell’ Opera del Duomo, e lì Michelangelo doveva scolpirlo. Fece costruire una turata fra mura e tavole perché nessuno lo vedesse al lavoro, né vedesse cosa e come lo stava creando.

Il Buonarroti impiegò tre anni e tre mesi per completare l’ opera. Probabilmente, come spesso faceva, avrà diviso il tempo tra il colossale gigante ed altre sculture per altri committenti che aveva accettato di eseguire.
Alla fine di gennaio del 1504 la statua, il maestoso David, era terminato. Giorgio Vasari scrisse che ha tolto il grido a tutte le statue moderne e antiche o greche o latine che elle si fussero… e certo chi vede questa, non deve curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qualsivoglia artefice.

David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

Non si parlò più di issarla su uno sperone del Duomo. Occorreva però stabilire dove collocarla. Il 25 gennaio 1504 fu nominata una commissione apposita, cui parteciparono gli artisti più celebri e importanti della città: Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Davide Ghirlandaio, Simione del Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Antonio e Giuliano da Sangallo, Andrea Sansovino, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Leonardo da Vinci.

Andrea della Robbia, Andrea del Sarto, Devozione dei Fiorentini alle reliquie, 1510, particolare, SS. Annunziata, Chiostro dei Voti

Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, 1490, Detroit Institute of Art

Piero di Cosimo, autoritratto, 1515, Liberazione di Andromeda, dettaglio, Uffizi

Filippino Lippi, Disputa di Simon Mago e Crocifissione di S.Pietro, 1485, Cappella Brancacci

Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, autoritratto,1475, Uffizi

Giuliano da Sangallo, Piero di Cosimo, 1505, Rijksmuseum Amsterdam

Pietro Perugino, Autoritratto, 1500, Collegio del Cambio, Perugia

Leonardo da Vinci, autoritratto

Lorenzo di Credi, Perugino, 1504, National Gallery of Art, Washington DC

Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo proposero di collocare il David in piazza Signoria sotto la Loggia dei Lanzi, in modo da proteggerlo dalle intemperie, addossato al muro con “un nicchio nero di drieto in modo di cappelluzza”. Avevano notato infatti che esistevano delle “imperfectione” del marmo che avrebbero potuto creare problemi sulla durata e la staticità della scultura all’ aperto.
L’ Araldo della Signoria della Repubblica e Michelangelo proposero invece di collocarlo o nel cortile del Palazzo della Signoria, o fuori a lato della porta del Palazzo, comunque all’ aperto.
Nacquero degli attriti tanto che, ci dice Luca Landucci nel suo Diario, fu necessario montare la guardia di notte al David perché veniva preso a sassate da chi non era d’accordo sul suo posizionamento.
Ma solo il muro in bozzato rustico del Palazzo poteva essere lo sfondo del grande marmo, e fu deciso di posizionarlo dove è ancora situato in copia, ma per far questo furono costretti l’ 8 giugno del 1504 a spostare la scultura di Donatello fusa a cera persa in bronzo della Giuditta che uccide Oloferne, che fu ospitata nella Loggia dei Lanzi, e l’ 11 giugno fu commissionata a Simone del Pollaiolo e a Antonio da Sangallo la base di marmo bianco e rosso.
Purtroppo nel 1842 per poter spostare il David dall’ Arengario della facciata di Palazzo Vecchio non si riuscì se non distruggendo la base originale, su cui era incisa la scritta EXEMPLUM SALUTIS PUBLICAE CIVES POSVERE, ricostruendola poi uguale all’ originale.

Copertura provvisoria del David ancora sulla base del 1504

David all’ Accademia sulla base rifatta

Base della replica di Piazza della Signoria

In Luglio e Agosto Michelangelo continuò con i ritocchi scultorei del suo capolavoro.
Il Vasari ci racconta lo spiritoso aneddoto avvenuto in questi due mesi:

Nacque in questo mentre, che vistolo su Pier Soderini, il quale, piaciutogli assai, ed in quel mentre che lo ritoccava in certi luoghi, disse a Michelagnolo, che gli pareva che il naso di quella figura fussi grosso. Michelagnolo accortosi che era sotto il gigante il gonfalonieri, e che la vista non lo lasciava scorgere il vero, per satisfarlo salì in sul ponte che era accanto alle spalle; e preso Michelagnolo con prestezza uno scarpello nella man manca con un poco di polvere di marmo che era sopra le tavole del ponte, e cominciato a gettare leggieri con li scarpegli, lasciava cadere a poco a poco la polvere, né toccò il naso da quello che era. Poi guardato a basso al gonfalonieri, che stava a vedere, disse: Guardatelo ora. A me mi piace di più (disse il gonfalonieri): gli avete dato vita. Così scese Michelagnolo, che se ne rise da sé, avendo compassione a coloro che, per parere d’ intendersi, non sanno quel che si dicano.

Il trasporto del gigante dall’ Opera del Duomo alla facciata di palazzo Vecchio fu un’ altra “impresa” non da poco, anche questa ce la sintetizza il Vasari:

…Perché Giuliano da Sangallo e suo fratello fecero un castello di legname fortissimo, e quella figura con i canapi sospesero a quello, acciochè scotendosi non si troncasse, anzi venisse crollandosi sempre; e con le travi per terra piane con argani la tirarono, e la missero in opera. Fece un cappio al canapo, che teneva sospesa la figura, facilissimo a scorrere, e stringeva quanto il peso l’ aggravava: che è cosa bellissima ed ingegnosa, che l’ ho nel nostro libro disegnato di man sua, che è mirabile, sicuro, e forte per legar pesi

Si dovette aspettare l’ 8 settembre per avere il David sulla sua base sistemato definitivamente a lato della porta del Palazzo Vecchio.

Palazzo Vecchio, dettaglio della porta con la replica del David

Nel 1512 la base del David fu colpita da un fulmine, senza però dal luogo a danni evidenti. Invece la statua subì grossi danni il 26 aprile del 1527 durante la rivolta per la cacciata dei Medici da Firenze: dei repubblicani si asserragliarono in Palazzo Vecchio lanciando dalle finestre pietre, mobili, tegole che colpendo il braccio sinistro della scultura lo ruppero in tre pezzi e la fionda si scheggiò all’ altezza della spalla. Fortunatamente di nascosto il Vasari e Francesco Salviati raccolsero tutti i pezzi e andarono a nasconderli in casa del Salviati.
Il restauro venne eseguito successivamente, sotto il Duca di Firenze Cosimo I dei Medici.

Nel 1813 venne danneggiato il dito medio della mano destra e fu ricostruito nel 1843 da Aristodemo Costoli che nel tentativo di ripulire la mano dalle concrezioni sia meccanicamente con spazzole d’acciaio, sia chimicamente con acido cloridrico, ne danneggiò la superfice. Il danno era ormai fatto, ma per cercare di proteggere dalla pioggia la statua venne provvisoriamente coperta.

David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

L’ ultimo danno è stato inferto nel 1991 al piede sinistro da un sedicente contestatore: una martellata ne ha scheggiato le prime tre dita, poi restaurato con i frammenti recuperati.

L’ esposizione del David alle intemperie per circa tre secoli ne aveva fluitato la superfice specie dove la pioggia era battente (spalle e parte alta dei capelli) e aperto una serie di piccoli fori presenti nel marmo, i cosiddetti “taroli”; si pensò così di proteggere l’ opera portandola all’ interno della galleria dell’ Accademia.
Venne a tale scopo costruita dall’ architetto Emilio de Fabris una nuova tribuna illuminata da un lucernario,

David di Michelangelo (dettaglio), Galleria dell’Accademia, Firenze

e nell’ agosto del 1873 il David venne trasportato alla Galleria dell’ Accademia su un carro speciale su cui era imbracato, carro che era fatto scorrere sopra a delle rotaie di legno.
Ci vollero cinque giorni per trasportare la statua pesante quasi sette tonnellate; il clima torrido permetteva infatti di lavorare solo nelle ore più fresche dalle quattro alle undici di mattina.

David di Michelangelo (dettaglio dei taroli), Galleria dell’Accademia, Firenze

Modello del carro per il trasporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Casa Buonarroti

Carro per il trasporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Foto Alinari

Modello del carro per il tarsporto del David alla Galleria dell’ Accademia, Nuova Illustrazione Universale, anno Ii n. 6-18 gennaio 1874, p. 48


I Putti nell'Arte dopo Donatello

I Putti nei fregi

Donatello ha usato fregi con putti in molti dei suoi lavori, come ad esempio nei due pulpiti bronzei in San Lorenzo a Firenze, nella cantoria del Duomo di Firenze, nel pulpito del Duomo di Prato. Ed ha influenzato in questo senso vari altri scultori. Ma in alcuni artisti quali Filippino Lippi, Ghirlandaio, Raffaello, Guadenzio Ferrari ed altri si percepisce anche l’ influenza che ha avuto la scoperta del fregio Romano classico avvenuta nel 1480 nella Domus Aurea di Nerone a Roma.
Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano, adottato dal Brunelleschi da quando aveva cinque anni, mette frequentemente i putti nei suoi lavori. Ma questi hanno un aspetto diverso da quello donatelliano, sono gonfi e con volti quadrati , nasi piccoli con piccole narici, e con sorrisi misteriosi e leggermente malvagi che mostrano i denti, probabilmente derivati da quelli della cantoria di Donatello. Il suo Lavabo nella Sacrestia delle Messe del Duomo di Firenze è una edicola di gusto classico con all’interno due grandi putti seduti con enormi ali che sembrano reggere le cannelle da cui esce l’acqua.

La tomba di Giovanni de’ Medici e di Piccarda Bueri del 1433 nella sacrestia vecchia di San Lorenzo è costituita da un sarcofago con putti alati seduti che reggono cartigli e putti alati volanti che reggono corone e stemma mediceo, più simili a quelli do Donatello.

Maso di Bartolomeo decora con dei putti la cancellata di bronzo fusa nel 1447 a cera persa della Cappella della Cintola del Duomo di Prato. Uno di questi è bendato ad ha l’ arco e la faretra come Eros ma ha anche i calzari alati come l’ Attis di Donatello. La sua anatomia è di derivazione donatelliana, anche se le masse muscolari lo fanno più un piccolo David che non un putto. Ha così portato anche all’ interno della Cattedrale i putti che sono fuori nel Pulpito.
Ha anche eseguito nel 1446 il celebre cofanetto della Sacra Cintola di Prato in bronzo, in cui ripete in avorio dei putti donatelliani del tipo e nelle pose danzanti di quelli del Pulpito, e il cofanetto in pastiglia con lo stemma Orsini con piccoli putti musicanti.

Influenza di Donatello in pittura

Filippo Lippi è stato ovviamente influenzato da Donatello nell’uso dei putti nella sua pittura, dal momento che entrambi hanno vissuto e lavorato a Firenze. Nella Madonna con Bambino del Fitzwilliam Museum dipinta dopo il 1430, gli angeli diventano giovanissimi putti alati,

altrettanto nella Pala Barbadori del 1438 e nella Madonna con Bambino, santi e Angeli della Collezione Cini del 1431 si conferma e si rafforza la tipologia dei putti del Lippi che, specie nei volti, sarà una sua caratteristica,

caratteristica che denota anche la tipologia dei suoi Gesù Bambini, come nella Madonna di Tarquinia del 1437 (Palazzo Barberini a Roma).

Andrea del Castagno dipinge negli affreschi di Villa Carducci del 1451,  in alto, dei putti danzanti ripresi nelle pose e nello stile da quelli del Pulpito di Prato.

Anche Domenico Ghirlandaio à influenzato da Donatello nella teoria di putti posti nel fregio dell’ affresco della Nascita della Vergine in Santa Maria Novella a Firenze del 1490, che si sovrappongono nella danza come quelli donatelliani della Cantoria.

Influenza di Donatello nel Nord Italia

Teorie di putti danzanti sono stati scolpiti come decorazioni da Bartolomeo Bellano nel Monumento a Roccabonella in S. Francesco a Padova, del 1494, sulla base del trono della Vergine Bellano di diretta ispirazione alla Cantoria del Duomo di Firenze di Donatello;
Niccolò Pizzolo, anch’ egli padovano nella pala d’ altare della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova ha eseguito in alto un fregio di putti che corrono e giocano con cerchi e corone, che derivano da quelli della Cantoria di Donatello;
Giovanni Antonio Amadeo, di Padova, ha lavorato a Bergamo alla Cappella Colleoni fino al 1476, dove ha eseguito le sculture in bassorilievo sulla pietra d’ Istria di rozzi putti che schiacciano l’ uva, alcuni copiati anche nella posa da quelli del donatelliano Pulpito di Prato, e altri putti molto paffuti e grassi nel fregio in basso del Monumento Funebre al Colleoni.
In tutto il chiostro della Certosa di Pavia abbondano le decorazioni con putti di tipo donatelliano, gran parte dei quali scolpiti da Amadeo intorno al 1470.
Nel 1433 Donatello andò a Padova per lavorare all’ altare della Basilica di S. Antonio, le cui sculture, comprese quelle dei suoi putti influenzarono i pittori del nord, in modo particolare Mantegna. Molti dipinti del Mantegna, tra cui gli affreschi per il soffitto e le pareti della Camera degli Sposi di Mantova derivano da quelli donatelleschi.

Donatello, nel bassorilievo bronzeo della Pietà di Padova per la prima vota, fa sostenere il corpo del Cristo dai putti; il primo suo emulo è Giovanni Bellini che copia questo stilema nella Pietà al Museo Correre di Venezia (1460).

E ripete più volte questo tema: nel Cristo al Museo di Rimini, del 1470, dove i quattro putti-angeli hanno ali di farfalla e indossano corte tuniche, così come quelli della Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova,

nella Pietà dello Staatliche Museen di Berlino, dove gli angeli-putti cominciano a crescere d’ età,

Antonello da Messina, andato a Venezia nel 1475, si ispirò al Bellini per dipingere il Cristo morto sostenuto da tre putti-angeli (Museo Correre Venezia), e due anni dopo un’ altro in cui Cristo seduto viene sostenuto da un solo putto-angelo. (Museo del Prado, Madrid)