Michelangelo a Firenze, i Prigioni

Nel novembre del 1518 Michelangelo, a Firenze per la facciata della Basilica di San Lorenzo, acquistava un pezzo di terreno in via Mozza (oggi l’ultima parte dell’attuale via S. Zanobi che si apre su via delle Ruote) e nel 1519 vi faceva edificare un suo studio di scultura di circa 200 mq, con un giardinette su retro.
Prima di trasferirsi definitivamente a Roma nel 1534, aveva lavorato alle Tombe dei Medici per la Sacrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo.

Michelangelo, modello ligneo per la facciata di San Lorenzo, 1518, Casa Buonarroti

Il 9 aprile del 1519 gli fu portato con un carro trainato da 5 bovi un blocco di marmo che aveva acquistato a Carrara, nella cava dei Fantiscritti, e successivamente molti altri per la Sacrestia Nuova e per l’enorme progetto della Tomba per il papa Giulio II.

Schema del primo progetto della tomba di Giulio II. Alla base erano previsti i Prigioni

Giacomo Rocchetti, disegno della tomba di Giulio II prevista nel secondo contratto. del 1513, Prigioni sono ancora presenti, Kupferstichkabinett, Berlino

Michelangelo, parte inferiore del disegno della tomba di Giulio II prevista nel secondo contratto del 1513, i Prigioni sono ancora presenti, Uffizi

Nel 1534 si trasferiva definitivamente a Roma, lasciano nel suo studio di Firenze modelli in cera e creta, marmi e delle sculture, che andarono rubati durante l’ assedio di Firenze del 1529. Alcuni furono poi recuperati o erano rimasti, in particolare i quattro Prigioni (o Schiavi) non terminati, anch’ essi pensati per la tomba di Giulio II.
Questa infatti, nel primo faraonico progetto, avrebbe dovuto avere in basso dai 16 ai 20 Prigioni grandi una volta e mezzo il naturale, che nascevano e fuoriuscivano dal blocco di marmo. Come sappiamo il primo progetto non andò in porto in quanto nel 1513 la tomba fu ridisegnata in forme minori dove i Prigioni sarebbero dovuti diventare 12. Nel 1516 un terzo progetto rimpiccoliva ancora di più la tomba e i Prigioni dovevano diventare 8. Nei successivi altri 2 progetti sempre più ridotti del 1526 e 1532 darebbero diventati 4. Nel progetto definitivo del 1542 (il sesto) i Prigioni non erano più previsti.

Nel 1550 Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, acquistò il Palazzo Pitti per trasferirvi la famiglia e tutta la corte, compreso il terreno posto sulla facciata posteriore del Palazzo, che fece trasformare nello splendido Giardino di Boboli.

Giusto Utens, Lunetta con Palazzo Pitti e Giardino di Boboli, 1599, Villa La Petraia

I quattro Prigioni Fiorentini previsti nel progetto della tomba di Giulio II e poi non più necessari erano rimasti nello studio di via Mozza e furono donati nel 1564 da Leonardo Buonarroti nipote di Michelangelo al Granduca Cosimo I.
Il duca Francesco I, figlio di Cosimo e suo successore, fece costruire tra il 1583 e il 1593 dal Buontalenti una grotta artificiale di più vani rivestita con finte rocce (il Vasari ne progettò l’ ingresso), in cui fece incastonare i 4 Prigioni come se stessero lottando per nascere e uscire dalle rocce. E li sono rimasti fino ai primi del ‘900 quando furono portati nella Galleria dell’ Accademia.
Successivamente sono stati riinseriti nelle posizioni originarie delle repliche in gesso.

Giardino di Boboli, ingresso vasariano alla grotta del Buontalenti

Lo studio anatomico dello Schiavo Barbuto è sorprendente: il torso muscoloso in torsione, il braccio destro sollevato nell’ eccezionale posa di reggersi e stringersi la testa piegata. Nonostante sia quello più finito dei quattro, le potenti gambe divaricate tenute da una fascia, ancora unite alla roccia che le genera così come la mano sinistra ancora non formata, danno un eccezionale senso di risveglio, di potente forza, di divinità Pagana in procinto di apparire nell’ Olimpo degli dei, caratteristiche rese vibranti anche dalle superfici che mostrano i segni degli scalpelli con cui Michelangelo le stava facendo nascere.

Michelangelo, Prigione Barbuto, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo Atlante, non finito, sembra avere la testa dentro il blocco di marmo che regge con sforzo sia delle gambe divaricate e piegate che del braccio sinistro le cui muscolature sono in tensione. La figura cerca di liberarsi dalla pietra da cui nasce ed è lo stato di non finito che amplifica ed evidenzia l’ energia che lo Schiavo sta per scatenare.

Michelangelo, Prigione “Atlante”, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo che si desta: una potente figura maschile si gira nel marmo che ancora lo attanaglia. La faccia è sbozzata nei lineamenti. La gamba destra e il braccio sinistro, benchè ancora accennati, a differenza del torso che è terminato, formano una curva ad “S” che amplificano la sensazione di risveglio non ancora libero dalla roccia in cui è bloccato. Anche in questo Schiavo, come del resto negli altri tre, gli arti e le anatomie sono massicce e potenti.

Michelangelo, Prigione che si desta, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo Giovane è poco più che sbozzato, l’unica parte a cui Michelangelo ha dato una prima lisciatura è il ginocchio: la parte del corpo che si sporge e che per prima è uscita dal marmo. Il gigante sembra svegliarsi mentre fuoriesce dalla roccia che vuole partorirlo. Anche la posa del braccio piegato che copre parte del volto e il ginocchio proteso parlano di una nascita. Ed infatti è il più giovane dei quattro. Le uniche masse muscolari sono quelle del torso, appena accennate, ma anche così parlano di divinità di grande forza e potenza, potenza che lo schiavo prende dalla terra e dalla roccia da cui si sta staccando.

Michelangelo, Prigione Giovane, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, Prigione Giovane, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

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Michelangelo, Prigione Barbuto, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze