L'inizio della scultura rinascimentale: il David di Donatello

Il secolo XV, inizio del Rinascimento, è un momento fondante della cultura occidentale, i cui princìpi, la filosofia, l’arte ne vengono segnati fino ai giorni nostri.
In questo secolo nascono a Firenze un gruppo di personaggi geniali in tutto lo scibile umano: scienza, astronomia, filosofia, letteratura, umanesimo, esoterismo, tutto trova grazie a loro un nuovo respiro. Ancora oggi nessuno ha saputo spiegarsi come mai in questo periodo storico sono nati tanti geni e tutti in una sola regione, la Toscana.
Uno di questi personaggi è Donato Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, fiorentino e scultore.

Ritratto di Donatello del XVI sec. (anonimo) – Museo del Louvre

Frequenta il Brunelleschi,

Ritratto di Brunelleschi, Masaccio, S. Pietro in cattedra, Cappella Brancacci

altro grande innovatore nei vari campi dell’arte, e insieme a lui va a Roma, a studiare i monumenti antichi: i due vagavano per la città scavando i ruderi antichi, misurando e disegnando i resti di costruzioni classiche, il popolo romano pensava che si trattasse di due cercatori di tesori. Il tesoro per loro erano quei resti.
Dopo le poche prime opere ancora in stile tardo gotico, Donatello si staccò completamente dal gusto medioevale ritornando nella scultura ad un naturalismo classico di matrice romana, ma più elegante e sensuale, contribuendo a creare in scultura lo “stile rinascimentale”. Frequentò anche Michelozzo, abile fonditore in bronzo a cera persa, da cui imparò tale tecnica.

Fra Angelico, Deposizione dalla Croce, Museo di San Marco, Firenze

Uno dei suoi più importanti capolavori è il David in bronzo,

Museo del Bargello, Firenze

di sorprendente originalità e forza innovativa. L’iconografia data da Donatello a questo suo capolavoro è senza dubbio diversa rispetto a quella tradizionale riferita alla Bibbia: oltre alla nudità il David indossa un cappello che lo avvicina a Mercurio e dei bellissimi calzari cesellati, attributi che erano impreziositi dalle dorature, andate perdute. Nudità, posa e accessori rendono questo capolavoro molto sensuale, e questa è una nuova visione della scultura nata a Firenze negli anni del Rinascimento.
Non abbiamo molte notizie relative a questo bronzo; una di queste ce la dà una lettera che il cronista rinascimentale Marco Parenti scrive da Firenze a Filippo Strozzi il Vecchio, che è a Napoli.
Ma chi è Marco Parenti? Era un agiato imprenditore nel settore della seta, nato a Firenze nel 1421; ebbe l’intelligenza di sposarsi con Caterina figlia del ricchissimo banchiere Simone Strozzi, e si ritirò dagli affari. Partecipò alla vita culturale fiorentina frequentando i circoli umanistici con Leon Battista Alberti. Scrisse i “Ricordi Storici” relativi alle vicende politiche di Firenze.

Ed una lunga serie di lettere, quasi tutte inviate a Filippo Strozzi.

Appunto in una di queste riporta che in occasione delle nozze di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini, nel cortile del Palazzo Medici di Via Larga (attuale via Cavour) era posta la colonna che sosteneva il David di Donatello. La data del matrimonio è il 1469. Questa è la prima data “post quem” che abbiamo relativa al David.
La datazione dell’opera si ricava considerando che Donatello nei primi anni del 1400 era tornato a Roma a studiare la scultura antica classica, e che dal 1443 al 1445 era nell’Italia Settentrionale.
Quindi il periodo in cui Donatello eseguì il David si restringe dal 1433 al 1454. In questa forbice di anni Donatello eseguì altre tre sculture molto vicine stilisticamente al David: l’Attis (Museo del Bargello)

e i due “spiritelli”, ora al Musee Jacquemart Andree a Parigi,

eseguiti per il cornicione della Cantoria di Luca della Robbia per il Duomo di Firenze, terminata nel 1438 (Museo dell’Opera del Duomo).

A Villa Carducci di Legnaia (Firenze), nel ciclo di donne e uomini illustri,

Andrea del Castagno dipinse tra il 1448 e il 1450 l’affresco di Farinata degli Uberti (ora agli Uffizi), che presenta la stessa posa delle gambe e delle braccia del David, evidentemente copiate da questo. La forbice si restringe ancora, diventando dal 1433 al 1448.

L’ipotesi più accreditata è che Donatello abbia eseguito il modello e la fusione intorno al 1440.
Abbiamo visto che il David era posto su una colonna nel centro del cortile di Palazzo Medici Riccardi;

sappiamo che sulla colonna era stata incisa l’ iscrizione che Cosimo il Vecchio
fece fare da Gentile de’ Becchi, il primo pedagogo di Lorenzo e Giuliano figli di Piero il Gottoso:
Victor est quisquis patriam tuetur / Frangit immanis Deus hostis iras / En puer grandem domuit Tirannum / Vincite cives !
Tale epigrafe ci fa capire che i Medici volevano dare coll’esporre in casa loro il David, (il giovane pastore che uccide il potente e prepotente nemico Golia) un importante messaggio morale e politico con un chiaro significato anti-tirannico; il messaggio era che la presenza dei Medici nella politica fiorentina garantiva la repressione di ogni attacco alla democrazia, da qualsiasi parte provenisse. E questa era la politica dei Medici: comandare la città ma indirettamente, attraverso altre persone a loro fedeli, facendo credere alla città di mantenere un regime democratico (non molto dopo invece Cosimo I dell’ altro ramo della famiglia Medici diventerà dittatore, facendosi dare il titolo prima di Duca, poi di Granduca).

Ritratto del Bronzino, Uffizi

È molto probabile che l’opera sia stata commessa a Donatello da Cosimo il Vecchio stesso,

Ritratto del Bronzino, Uffizi

che l’avrebbe prima esposto nella sua Casa Vecchia, e successivamente nel palazzo Medici progettato per lui da Michelozzo.

Giovanni da Castro era un uomo d’affari legato sia alla famiglia Medici che alla Curia di Roma. Scoprì le cave di allume della Tolfa che permisero di non aver più bisogno di acquistare l’allume dai Turchi, noti infedeli e principalmente abili commercianti. E infatti, sulla scia del David biblico che uccide Golia, fa scrivere lo Psalmum in Christianorum hostem Turchum
su un codice che dona, prima del 1469 a Cosimo il Vecchio, dove i Turchi sono vissuti come invasori eretici e nemici del Cristianesimo, conquistatori nel 1453 di Costantinopoli. Nella miniatura di questo codice viene dipinto il David di Donatello, ma rivestito di una tunichetta per renderlo meno osè.

La colonna su cui il David poggiava era stata fatta eseguire da Desiderio da Settignano intorno al 1458, ed era alta circa due metri, ma purtroppo non ci è pervenuta; al Museo del Bargello di Firenze è stato posto su un altro piedistallo scolpito nel XV secolo per la famiglia Medici ma notevolmente più basso di quello originale.

Che la scultura sia stata eseguita da Donatello per stare in alto e per essere quindi vista dal basso ce lo confermano oltre che lo sguardo rivolto in basso,

anche una serie di forzature anatomiche studiate in funzione del punto di vista dell’osservatore posto appunto molto più in basso rispetto alla scultura: le scapole scese, altrettanto i glutei, il fondoschiena spezzato e spianato, le articolazioni spigolose; inoltre la testa del Golia è piegata in modo da rendere visibile dal basso la placchetta trapezoidale dell’elmo di Golia con il carro degli spiritelli.

Visto dalla base attuale

Visto nella posizione originale

E ci sono anche una serie di zone che Donatello non ha rifinite che dal basso, grazie alla sporgenza della ghirlanda di base, non si vedevano. La testa del Golia vista oggi all’altezza in cui è il David al Bargello dà un’impressione molto diversa se vista dal basso verso l’alto: la sensazione di una cosa morta e abbastanza innocua diventa, se vista dal basso, minacciosa.
Ed anche il posizionamento in alto del corpo rendeva meno eclatante la sua nudità. Nudità che Donatello aveva avuto il coraggio di esaltare nella sua opera in anni in cui nessuno aveva osato farlo. Tanto che i molti David della seconda metà del 1400 mostrano questo personaggio biblico sempre coperto da tuniche, come anche di Giovanni da Castro.

Bisognerà aspettare il XVI secolo con Michelangelo per rivedere un altro David completamente nudo.

È stato ipotizzato che la colonna originale di Desiderio da Settignano su cui era posto il David nel palazzo Medici di via Larga, avesse alla base quattro arpie di marmo bianco e il fusto di porfido rosso. Tecnici specializzati hanno riprodotto all’interno della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli questo manufatto,

In fase di esecuzione nella Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli

attualmente in deposito presso la Galleria Bazzanti di Firenze

Per la presentazione e l’inaugurazione del David di Donatello dopo il lungo restauro, il Museo del Bargello di Firenze ha chiesto in prestito alla Fonderia Ferdinando Marinelli un esemplare in bronzo del David eseguita sul calco negativo fatto sull’originale presente nella gipsoteca della Fonderia stessa. Tale bronzo è stato dorato dai tecnici del Bargello esattamente come era l’originale prima di perdere l’oro,

ed è stato posto sul modello della colonna ricostruita accanto all’originale. Si è potuto così vedere, per la prima volta, come appariva nel quattrocento, nel cortile dei Medici, il David visto dal basso.


La Fontana del Cacciucco

Da una lettera del 25 giugno 1626, che il Camerlengo Lorenzo Usimbardi scriveva al Granduca Ferdinando II de’ Medici:” appare che Pietro Tacca servo fedelissimo di VV.SS. humilissimamente esprime come avendo messo in opera tutti quanti li schiavi, per compimento di quest’opera è necessario far sotto i piedi del granduca Ferdinando di Gloriosa Memoria li trofei e spoglie di detti schiavi… et più conviene fare le dua fonti e dall’una e dall’altra parte di detta base che di tutto è necessario che VV.AA. dieno ordini al Sig. Provved[itore] Guidotti.”

Il Granduca nel 1621 aveva infatti commissionato a Pietro Tacca la realizzazione dei modelli e delle fusioni in bronzo a cera persa di quattro prigionieri mori incatenati da aggiungere alla base della statua da lui commissionata nel 1595 allo scultore Giovanni Bandini in marmo di Carrara e collocata nella darsena di Livorno nel 1601 (attuale piazza Micheli).

Il monumento avrebbe rappresentato la vittoria dell’Ordine di Santo Stefano sui corsari barbareschi, cioè sui pirati musulmani, nordafricani e ottomani, il più noto e crudele  dei quali era conosciuto come Barbarosa.

L’Ordine venne fondato dal Papa Pio IV nella seconda metà del ‘500 su insistenza di Cosimo I de’ Medici che ne fu nominato Gran Maestro e il titolo sarebbe passato ai suoi successori. Si trattava in sintesi di un Ordine corsaro simile, ma cristiano.

Pietro Tacca ereditò la fonderia del Giambologna, con cui lavorava dal 1592, nel 1606.
Nel 1620 su richiesta di Cosimo II dei Medici eseguì il calco del cinghiale ellenistico di marmo agli Uffizi per fonderne un replica in bronzo, il celebre Porcellino, da porre alle logge del mercato nuovo, e modellò una nuova base, non presente nell’originale di marmo. Ne eseguì la fusione nel 1633.

Da una lettera del 6 ottobre 1627 del Provveditore Leonardo Guidotti conosciamo la spesa stimata dal Tacca per la realizzazione delle due fontane: “Quanto alle dua fontane, il Tacca dicie che in ciascheduna di esse vi sarà di spesa sc[udi] 200 in fare il ricetto, e Balaustro con le mensole tutte di marmi sono sc[udi] 400. Per fare le dua Nicchie li Mostri et altri ornamenti vi andera Duc[ati] 700 di Bronzo per Ciascun,o sc[udi] 126 e per le spese di fatture e altri di dette nicchie e mostri, sc[udi] 400 luna sono sc[udi] 800.” Avuto il parere favorevole del Granduca, nel 1627 il Tacca, con l’ aiuto dei suoi allievi Bartolomeo Salvini e Francesco Maria Bandini, iniziò l’ esecuzione dei modelli per le due fonti da posizionare ai lati del monumento dei 4 Mori nella darsena di Livorno, e che dovevano servire per il rifornimento d’ acqua delle galere che vi approdavano.

Ma a questo punto accadde una cosa strana, descritta da Filippo Baldinucci nelle sue “Notizie de’ Professori di Disegno da Cimabue in qua” del 1681:
“[Ferdinando II dichiarò che] …ogni opera che [il Tacca] fusse per condurre dovesse essergli pagata…che fu poi sempre praticato, particolarmente nelle due fonti di metallo destinate a situarsi in sul molo di Livorno…per far acqua alle galere, al che essendosi, per ragioni a noi non note, forte opposto, e contro il gusto del Tacca, Andrea Arrighetti provveditore alle fortezze e sovrintendente alle fabbriche….”
E così fontane non arrivarono mai a Livorno.
Nonostante le “ragioni a noi non note” del Baldinucci è plausibile credere che le due fontane con quei getti minimi d’ acqua e anche la loro posizione erano del tutto inadatte a permettere ai marinai di caricare in tempi accettabili le grandi botti delle navi, ed inoltre occupavano troppo spazio sulla darsena rispetto al servizio che avrebbero fatto. Oggi diremmo che non erano affatto “funzionali”, e furono sostituite da normali fontane, come si vede (a destra del monumento dei 4 Mori) nell’ incisione del Porto di Livorno di Stefano della Bella del 1655.

Pietro Tacca morì nell’Ottobre del 1640, ma la fonderia, già del Giambologna, proseguì i lavori col figlio Ferdinando Tacca. L’esecuzione delle due fontane rallentò, ma non si fermò del tutto: abbiamo notizie di pagamenti ai Tacca per le fontane dal 1639 al 1641. I pagamenti riguardavano probabilmente la collocazione delle due fontane in piazza Santissima Annunziata a Firenze, inaugurate il 15 giugno 1641 come scrive Francesco Settimanni nelle sue Memorie Fiorentine: “si videro scoperte per la prima volta le due fontane in bronzo poste sulla piazza della santissima Annunziata, opere di Pietro Tacca.” Sono state incise insieme alla Piazza SS. Annunziata dallo Zocchi a metà del ‘700, e dal Vascellini nel 1777.

Nella scultura la prima metà del ‘600 risente ancora molto del manierismo tardo cinquecentesco del Buontalenti; celebre a Firenze la sua Fontana dello Sprone messa in opera molto probabilmente al 1608 quando tutta la zona venne decorata in occasione del passaggio del corteo nunziale di Cosimo II dei Medici con Maria Maddalena d’Austria (di cui la Galleria Bazzanti ha un modello piccolo) , così come furono collocate le 4 statue delle stagioni agli angoli del Ponte a Santa Trinita degli scultori Francavilla, Landini e Caccini.

Lo stile delle fontane, uguali salvo alcuni dettagli, deriva dalla passione delle forme meravigliose e inconsuete presenti in natura, iniziato nel ‘500 nelle architetture e nei giardini (come in quello di Villa Lante a Bagnania presso Viterbo),

nelle varie collezioni dei Signori europei, nella creazione delle wunderkammer, nell’invenzione appunto di maschere e mostri del Buontalenti e della sua scuola.

Sono gli anni in cui i principi d’Europa fanno a gara a raccogliere meraviglie e mostruosità naturali che conservano nei loro studi con lo scopo di stupire gli ospiti. E’ di gran moda anche l’alchimia, il cui laboratorio è bene sia nascosto e protetto dagli sguardi indiscreti, così come lo Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio.
La scelta di creare mostri marini e pesci è stata evidentemente voluta dal Tacca pensando alla collocazione nel porto di Livorno, sul mare, mentre risulta ancor più originale in una piazza come quella della SS. Annunziata.
Quando il Tacca modellava le fontane si è molto probabilmente ispirato, per le ghirlande di pesci sulle basi, a quella della vasca della Fontana degli animali nella grotta della Villa Medicea di Castello, scolpita dal Tribolo alla metà del ‘500.

I due monumenti fiorentini hanno subìto una pulitura e restauro nel novembre del 1745 per ordine del Granduca Ferdinando III dei Medici. Un’altra più di due secoli dopo, nel 1988.

Si dice che la città di Livorno sia rimasta molto male fin dal ‘600 per non aver avuto le due fontane del Tacca. E che questo “sgarbo” sia pesato ai Livornesi per circa 3 secoli.
Nel 1956, per il 350° anniversario della nomina del primo Gonfaloniere della città di Livorno, il Comune di Firenze volle donare una copia fedelissima alla città. Livorno ringraziò e disse: ne vogliamo due come a Firenze, una la paghiamo noi! Come succede in tutti i comuni d’Italia, nacquero problemi e litigi su dove collocarle, etc. Agli inizi degli anni’ 60 il Comune di Firenze procurò il calco negativo eseguito sull’originale dandolo a Marino Marinelli, allora gestore della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze per eseguire fusioni dei due monumenti.

Fu così che nel 1964 le due fontane arrivarono a Livorno.

E furono immediatamente soprannominate dai Livornesi “le fontane del cacciucco”.
Il cacciucco è una specie di densa zuppa di pesce che viene preparata solo in un breve tatto della costa tirrenica, dalla Versilia a Livorno. Ed è squisito!

La Galleria Bazzanti conserva una replica della Fontana del Tacca tra i suoi monumenti, ed un prezioso modellino ridotto.


Un altro colosso di marmo: La replica dell'Ercole Farnese

Un’altra appassionante avventura è stata quella di scolpire in marmo il colossale Ercole Farnese del Museo di Napoli, statua greca del III secolo d.C., alto tre metri e 17 centimetri.

Si tratta di una delle poche sculture antiche firmata dall’autore: Glicone di Atene, come si vede inciso sulla base della clava.

Anche nella Grecia antica, e non solo a Roma, si amavano le repliche anche di dimensioni diverse dagli originali: infatti questo marmo è la replica ingrandita dell’originale in bronzo eseguito nel IV secolo a. C. dal celebre Lisippo, andata persa.
Ercole, simbolo della forza sovrumana, e infatti era un semidio, è rappresentato con una anatomia potente, quasi esagerata. Suoi attributi sono la pelle del leone Nemeo, mandato da Era (Giunone) per uccidere Ercole. La sua pelle era inattaccabile da lance e frecce, ma Ercole lo stordì con la clava (a cui si appoggia nella scultura) e poi lo strangolò. Usò la sua pelle per farsi una specie di abito che lo rendesse invulnerabile che, nella scultura, ciondola sulla clava.
Questi accessori sono stati usati dallo scultore per creare un grosso sostegno a cui l’Eroe si appoggia: sarebbe stato infatti impossibile far sostenere la sua massa corporea di marmo, per di più inclinata, soltanto sulle due caviglie.

I restauri rinascimentali

Il colosso è stato scavato nelle Terme di Caracalla a Roma alla metà del ‘500, privo dell’avambraccio sinistro e delle gambe.
La filosofia del restauro in epoca rinascimentale era generalmente quella di ricreare le parti mancanti delle opere antiche, in modo da ricomporne la presunta integrità. Era molto difficile per chi aveva una mentalità più “scientifica” convincere i proprietari delle opere archeologiche a lasciarle così com’erano state trovate, senza integrazioni. Si pensi per esempio ai gemelli Romolo e Remo aggiunti nel rinascimento alla Lupa Capitolina probabilmente da Antonio del Pollaiolo.
Riuscì forse solo a Michelangelo con il Torso del Belvedere in marmo del I secolo a. C. (dello scultore greco Apollonio), trovato mutilo a Roma nel ‘400.

Sembra infatti che quando il Papa Giulio II si rivolse a Michelangelo perché riscolpisse le parti mancanti, quest’ultimo si rifiutasse dichiarando che la scultura era magnifica così e che non doveva essere assolutamente toccata. Mentre invece non ebbe molti problemi nel riscolpire le gambe mancanti dell’Ercole Farnese il suo allievo Guglielmo della Porta, accontentando il committente Papa Paolo III (Alessandro Farnese) tanto che, anche quando furono scavate le gambe originali, decise di lasciare al monumento quelle del Della Porta, giudicate più belle delle originali stesse.

La scultura è stata eseguita nello Studio Bazzanti “ai punti” grazie al modello preso sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli.

Il difficile trasporto

Il colosso di 5 tonnellate è stato imballato allo Studio di Scultura.

La fase successiva è stata complessa quasi quanto l’aver scolpito l’Ercole! Si è trattato infatti di far entrare in orizzontale il colosso nella Galleria Bazzanti di Firenze per poi metterlo in piedi nel posto giusto. Avendo dovuto far chiudere al traffico il Lungarno, l’operazione si è svolta di notte