Las Vegas, l'Hotel Bellagio

L’arredo di giardini, parchi, interni di ville ed hotels è uno dei frequenti lavori della Galleria Bazzanti. I nostri architetti progettano gli arredi su richiesta del cliente, oppure collaborano con l’ architetto che il cliente ha già.
Un caso tipico è quello dell’ Hotel Bellagio di Las Vegas, in cui la Galleria Bazzanti ha collaborato con l’ architetto Roger Thomas alla progettazione e alla realizzazione dei giardini dell’ Hotel, costruendo una serie di accessori d’ arredamento in pietra e in marmo.
L’ architetto ci ha fatto delle richieste di accessori lasciando alla Galleria Bazzanti la scelta dei modelli e delle parti scultoree. Sono stati eseguiti dei disegni preparatori da mostrare all’ architetto che, dopo l’ approvazione, sono serviti alla realizzazione delle opere: diversi modelli di vasi, contenitori, obelischi, etc.

la grande fontana con inserzioni di marmo verde per una delle piscine,

vasi in marmo giallo Siena

ed altri arredi architettonici.

Uno dei materiali che l’architetto ha scelto è la “Pietra Leccese” che viene estratta nelle cave della regione salentina, nel su dell’Italia. La caratteristica di questa pietra è la non eccessiva durezza al momento dell’estrazione dalla cava ed è quindi più facilmente scolpibile rispetto ai marmi. Ma ha la proprietà di diventare col tempo sempre più dura per una reazione chimica con i gas dell’atmosfera.
E’ il materiale che è stato usato fin dal rinascimento per fontane e accessori da giardino, ma specialmente per le celebri facciate barocche delle chiese pugliesi.
Particolarmente delicata è stata la realizzazione della grande fontana di pietra. Date le dimensioni e i problemi di trasporto, abbiamo dovuto crearla in quattro spicchi assemblati sul posto. In alcune fontane sono stati applicati inserti di marmo verde.
Un altro materiale voluto dall’architetto è il marmo giallo di Siena, dal tipico colore giallo ambrato, estratto dalle cave della Montagnola Senese, nel comune di Sovicille, anche questo usato nell’antichità. Si presta molto bene ad essere lavorato e tornito per arredi architettonici.

 


Donatello e il Putto nella scultura

Parte IV

La voglia e il piacere che Donatello ha nel creare i putti glieli fa apporre alla base della tomba del vescovo di Grosseto Giovanni Pecci nel duomo di Siena (1426). Sono scolpiti in basso, di scorcio, coperti dalla pergamena molto più grande di loro, che reggono. Si intravedono le teste e le braccia.

Ma non gli bastavano, e allora ha messo un putto seminascosto anche all’interno della spirale del bastone pastorale del vescovo.

In ogni opera successiva Donatello non rinuncia ai putti, quasi fossero ormai una sua firma: nel Festino di Erode (1435 ca.), bassorilievo in marmo al Musee Wicar di Lille, un bambino/putto mezzo nudo dormicchia seduto sulle scale,

nella tomba di Giovanni Crivelli del 1432, nella chiesa di Santa Maria Aracoeli a Roma, due putti volanti semivestiti reggono lo stemma della famiglia quasi a sostituire le vittorie alate dei monumenti romani,

Nella prima metà degli anni ’30 del ‘400 Donatello scolpisce l’ Annunciazione Cavalcanti in pietra serena lumeggiata d’ oro, ancora nella chiesa di S. Croce a Firenze, dove la famiglia Cavalcanti aveva una propria cappella (Ginevra Cavalcanti era moglie di Lorenzo de’ Medici il Vecchio, fratello di Cosimo de’ Medici il Vecchio). Oltre agli interessanti volti che appaiono in coppia sui due capitelli dei pilastri laterali, Donatello ha modellato e posto in alto 6 putti di terracotta alati e seminudi, lumeggiati d’ oro. Le espressioni delle coppie laterali sono giocose, leggermente impaurite, sorpresi dal miracolo che accade sotto i loro piedi. Sono spettatori esterni che non fanno parte della composizione. Richiamano anche il Bambino Gesù che è sta nascendo in quel momento nel grembo di Maria. E’ la prima volta che dei putti appaiono nella scena dell’ Annunciazione, rendendo peraltro più domestico il miracolo del concepimento grazie allo Spirito Santo./p>

Il filo nei capelli che regge un fiore sulla fronte del putto di sinistra è un elemento verrà ripetuto anche nell’ Attis di bronzo (Mus. Del Bargello).

Per la Basilica di San Pietro in Vaticano Donatello ha eseguito, negli anni ’30 del ‘400, il grande Tabernacolo del Sacramento Eucaristico (alto 228 centimetri), successivamente adoperato come contenitore di un dipinto della “Madonna della Febbre” col Bambino.

Per quanto ha potuto l’ha riempito di putti: in alto due putti alati tengono aperta la tenda dove compare un bassorilievo stiacciato della Deposizione. Ai loro lati altri due putti retrostanti hanno funzione di cariatidi. Sulla sommità del tabernacolo sono sdraiati in posa rilassata altri due putti. Ai lati del dipinto due gruppi di tre putti ciascuno, eseguito ad altorilievo, osservano quanto è contenuto nel tabernacolo sussurrando tra di loro. In basso, sulla base, quattro putti accoccolati in bassorilievo reggono il simbolo della passione di Cristo ed altre due semi-ruote laterali. Tutti i putti sono alati, vestiti in maniera classica; Donatello ha dato a quelli rivolti verso il tabernacolo freschezza, senso della fanciullezza, del gioco, della meraviglia. I putti Donatelliani, che prendono il posto degli angeli, sdrammatizzano sempre le scene sacre a cui assistono, attenuandone la ieraticità e rendendole domestiche.
Un cambio di passo avviene con la creazione di quel manufatto particolarissimo che è una delle due Cantorie del Duomo di Firenze (Ms. Opera del Duomo), terminata nel 1439.
In questo particolare monumento i putti alati non sono accessori o decorazioni di atre opere, ma sono l’opera stessa, gli unici protagonisti che creano l’ opera. Più di venticinque putti si muovono in un girotondo danzante con movimenti sfrenati, quasi dionisiaci, ed anche le espressioni dei volti confermano tale sensazione. In questo si diversificano dai putti della scultura antica. Quelli a destra giocano con corone vegetali, simbolo di vittoria del Cristianesimo sul paganesimo. Donatello ha creato un continuum di putti senza frammentare gli altorilievi in più pannelli, come nel caso della Cantoria di Luca della Robbia, ed ha posto questo unico lungo pannello dietro a una serie di cinque colonne binate che in qualche modo lo dividono, ma che danno anche un nuovo senso di spazio e profondità rispetto agli altorilievi classici. Nei riquadri di sinistra e di desta tra le quattro mensole Donatello pone dei putti speculari araldici che suonano i cembali e mangiano l’ uva prendendola da un vaso. Nella parte più bassa della Cantoria una striscia con teste di cherubini tra ghirlande.

Negli stessi anni in cui Donatello ha eseguito la Cantoria, ha lavorato anche al Pulpito di Prato. Il contratto di allogazione con Michelozzo (per l’ architettura del Pulpito) e Donatello (per la scultura) fu firmato nel 1428 e terminato nel 1438.
E’ costituito da 7 pannelli curvati di marmo con mosaico dorato come sfondo, in cui danzano i putti, come nella Cantoria con lo stesso atteggiamento da baccanale.

Un capitello di bronzo sostiene asimmetricamente l’ intero pulpito con un putto in alto che fuoriesce con difficoltà da sotto il peso che sostiene. In basso due putti bacchici sdraiati con pampini e uva tra i capelli guardano lontano. Al centro, tra le volute, altri cinque putti piccoli, in varie posizioni. Il capitello venne fuso a cera persa nel 1433, ma fu posto in opera solo nel 1438. E’ stato sicuramente fuso da Michelozzo, maestro fonditore, ma il modello è di Donatello.


La galleria Bazzanti e le alluvioni dell'Arno

L’ Arno ha regalato alla città di Firenze, e a parte della Toscana, dal medioevo ad oggi, una decina di disastrose alluvioni.
Il “meccanismo” si è sempre ripetuto nello stesso modo: le piogge hanno battuto in maniera torrenziale senza sosta per molti giorni in tutta la valle dell’ Arno, il cui bacino imbrifero è molto grande, poco meno dell’ intera Toscana. La quantità d’ acqua che si è riversata negli affluenti, esondati, e nell’ Arno è stata tale da non permetterne il regolare deflusso, a l’ acqua ha allagato le campagne e la città.
Nel medio evo gli argini del fiume erano meno resistenti e funzionali di quelli successivi, e nel 1167 l’ Arno esondò nove volte, distruggendo molte costruzioni.

La prima alluvione di cui si hanno notizie certe, è quella avvenuta nel 1333, il primo di Novembre. Ce la descrive il cronista fiorentino Giovanni Villani:

Nelli anni di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre [il primo novembre] essendo la città di Firenze in grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio: «Vigilate, che nnon sapete il dìe né l’ora del iudicio Dio», il quale volle mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tu [tti]santi cominciòe a piovere diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l’alpi e montagne, e così seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l’acqua; e in ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio Misericordia, misericordia! per le genti ch’erano in pericolo, fuggendo le genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa, ond’era sì grande il romore e ’l tumulto, ch’apena si potea udire il suono del tuono.
Per la […] quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di novembre l’Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch’elli coperse tutto il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì grande l’empito de l’acqua, non potendola lo spazio ove corre l’Arno per la città ricevere, e […] nel primo sonno di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de’ Tintori incontro a la fronte del dormentorio de’ frati minori per ispazio di braccia CXXX; per la quale rottura venne l’Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta abondanza d’acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de’ frati minori, e poi tutta la città di qua da l’Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò ove più e ove meno …

I danni furono ingentissimi:

Nella chiesa e Duomo di San Giovanni salì l’acqua infino al piano di sopra de l’altare, più alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta…
…E il detto giuovidì ne l’ora del vespro la forza e empito de l’acqua del corso d’Arno ruppe la pescaia d’Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch’è a lo ’ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia più di Vc. E la torre de la guardia, ch’era in capo del detto muro, per due folgori fu quasi tutta abattuta…
…E rotta la detta pescaia d’Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia, salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l’Arno di molto legname, sì che per istrettezza del corso l’Arno che v’è salì e valicò l’arcora del ponte, e per le case e botteghe che v’erano suso, e per soperchio dell’acqua l’abatté e rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte l’Arno valicò l’arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran parte de le case del Comune sopr’Arno dal detto castello al ponte Vecchio.
In una via del centro di Firenze esiste ancora la lapide trecentesca in cui un dito segna l’ altezza raggiunta dall’acqua.

Due secoli dopo, nel 1547, si ebbe una seconda alluvione, questa volta stranamente d’ estate, il 13 agosto 1547. Fu anche questa molto grave, Giovan Battista Adriani nell sua Istoria de’ suoi tempi

ci narra che causò più di cento morti.

A distanza di appena 10 anni, il 13 settembre 1557 ce ne fu un’ altra, molto più pesante della precedente, con crolli tali da stravolgere l’urbanistica della città.

Un’altra grande inondazione è quella del 3 novembre 1844. La Gazzetta di Firenze del 5 novembre 1844 riporta che dalle nove della mattina alle due pomeriggio l’acqua aveva continuato a crescere sradicando il Ponte di Ferro. Nel numero del 7 novembre scrive che il Ponte di Ferro, travolto, andò ad urtare il Ponte alle Grazie, l’Arno superò i parapetti ed allagò la città.

Nella litografia del Muzzi e Borrani è disegnato il Lungarno Corsini e il Palazzo omonimo completamente allagati, compresa la Galleria Bazzanti.

Dalla pubblicazione del Governo Granducale si vede che anche 20 anni dopo, nel 1864, ci fu una seconda inondazione.

L’ultima terribile alluvione è stata quella del 1966. E’ avvenuta il 4 novembre, nelle stesse date di quelle del 1333 e del 1844. I danni alle costruzioni non sono stati tantissimi; sono stati tragici invece i danni alle opere d’ arte. L’ acqua melmosa si è mescolata al gasolio che è uscito, per galleggiamento, dalle centinaia di serbatoi delle abitazioni con caldaie appunto a gasolio. Ed ha danneggiato in particolar modo dipinti, antichi documenti e libri. I Lungarni sono stati completamente sommersi,

le spallette completamente abbattute,

i danni alla Galleria Bazzanti ingentissimi.

Sul muro della galleria Bazzanti si vedono, dietro alle statue, le targhette che segno il livello raggiunto durante l’ alluvione del 1844 e del 1966, dove si nota che il livello del 1966 è stato notevolmente più alto rispetto al 1844.


La Sfera Celeste a Ginevra

Parte II

Nel Maggio 2019 la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, è stata invitata al Palazzo dell’ONU a Ginevra per una visita preliminare al Monumento “Celestial Sphere” di Paul Manship posto nel parco difronte al Palazzo. Marinelli si è fatto accompagnare da Carlo Lanaro titolare della Lanaro Steel Technology, specializzato nella realizzazioni in acciaio inox e di macchinari meccanici.
Nel settembre dello stesso 2019 Marinelli con Lanaro è stato invitato al colloquio che la Commissione ONU incaricata di seguire il restauro del monumento ha chiesto di avere a Ginevra, dove sono stati presentati i precedenti lavori eseguiti da entrambe la Ditte e le proposte di restauro della “Celestial Sphere”. La Fonderia Ferdinando Marinelli si sarebbe interessata al restauro delle sculture in bronzo, la Lanaro Steel Technology all’ esecuzione di un nuovo scheletro in acciaio inox in sostituzione di quello originario in ferro, e alla realizzazione dei meccanismi rotatori astronomici della Sfera.

Nel Febbraio del 2020 il restauro della “Celestial Sphere” di Paul Manship del parco del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra è stato affidato alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze con la Lanaro Steel Technology come subappaltatore per le parti in acciaio e le strutture meccaniche.

Dalle foto storiche dell’ ONU è stato confermato che in origine lo scheletro della sfera a cui erano state fissate le sculture in bronzo fuse a cera persa e poi dorate era in ferro.

Il nostro lavoro è iniziato a Ginevra con lo smontaggio della Sfera dalla sua base.

La Sfera è stata quindi trasportata in fonderia con uno speciale telaio creato per ospitarla durante il “trasporto eccezionale”(date le misure della sfera); e qui sono state smontate e staccate con attenzione tutte le sculture di bronzo.

Dopo averne studiato lo stato di conservazione e la migliore tipologia da usare, le superfici dei bronzi sono state riportate al loro stato primitivo, eliminando i resti di doratura e il sottostante vecchio bolo.

Si è provveduto quindi al restauro e al ripristino dei danni subite dalle sculture negli anni.

Si sono quindi patinate le parti delle sculture che non erano dorate, così come aveva voluto lo scultore Paul Manship.

Si sono applicate nuove mani di bolo: giallo e rosso, per rendere tutte le parti delle sculture con una doratura brillante, come richiesto dai responsabili dell’ ONU.

Ed è iniziato il lungo lavoro di doratura a foglia d’ oro delle sculture di bronzo con l’ antico sistema detto “a missione”.

Contemporaneamente la Lanaro Steel Technology e i suoi ingegneri hanno calcolato ed eseguito tutti i progetti necessari alla realizzazione della struttura in acciaio inossidabile e ai meccanismi per la rotazione astronomica della “Celstial Sphere”.


Assisi, Santa Maria degli Angeli

Los Angeles, San Francescola e Porziuncola ad Assisi

Trent’anni dopo la morte di San Benedetto (547), autore della celebre Regola (il più antico codice manoscritto della Regola pervenutoci, del 810, Abbazia di San Gallo in Svizzera),

fu costruito nel 576, tra i boschi della pianura ai piedi di Assisi, un oratorio dei frati benedettini del convento del Monte Subasio. Nel ‘200 fu luogo di preghiera e meditazione di San Francesco, che lo restaurò: si tratta della celebre “Porziuncola”, dove Francesco morì nel 1226.

Il Papa Pio V nel 1569 dette inizio alla costruzione di una grande basilica, su progetto di architetto Galeazzo Alessi, intorno alla Porziuncola, che richiamava continuamente folle di fedeli, sia per San Francesco che per le indulgenze che Papa Onorio III ai primi del ‘200 aveva stabilito per chi la visitava.

A seguito dei pesanti danni causati dal terremoto del 1832 la basilica fu restaurata e venne dotatata di una nuova facciata.

La facciata sembra non aver avuto pace: Nel ‘900 venne rifatta su progetto dell’architetto Luigi Paoletti e terminata nel 1930.

In quell’occasione fu posta in cima alla facciata la monumentale scultura in bronzo della Madonna dorata commissionata allo scultore Guglielmo Colasanti

e fusa a cera persa presso la Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze.

Los Angeles

Il 31 luglio del 1769 l’avventuriero spagnolo Gaspar de Portola, accompagnato da due frati francescani, Serra e Crespi, scoprì nella California del Sud un fiume, che battezzò Rio de Nuestra Seniora la Reina de los Angeles de Porciuncola di Assisi, perchè il giorno dopo, primo di Agosto, si celebrava ad Assisi la Festa del perdono (quella stabilita dal papa Onorio III).
Nel 1781 dei coloni messicani fondarono un villaggio vicino al fiume, chiamando anche questo El Pueblo de Nuestra Seniora la Reina de los Angeles de Porciuncola, oggi compreso nel quartiere Olvera Street della megalopoli di Los Angeles.
Nel 1847 la California divenne statunitense e nel 1850 il villaggio, col nome accorciato di Los Angeles, divenne Municipalità, rimanendo comunque un piccolo paese di frontiera

fino a quando, nel 1892, la scoperta del petrolio lo fece “esplodere” in pochi decenni.


La Sfera Celeste a Ginevra

Parte I

Nel 1927 venne bandito il concorso per la progettazione del Palazzo delle Nazioni di Ginevra, e fu scelto il progetto

del team di architetti tra cui Carlo Broggi e Jozsef Vago.

Fu scelto lo stile neoclassico francese, detto Beaux Arts. I lavori iniziarono nel 1931 e terminarono nel 1938. Successivamente, negli anni ’50 e negli anni ’60 è stato ingrandito.

Fino dagli anni 30 del ‘900 la direzione dei principali membri della fondazione americana Woodrow Wilson Foundation,

il cui presidente era Franklin Delano Roosevelt,

pensava alla possibilità donare un monumento da porre nel parco del costruendo Palazzo sede della Lega delle Nazioni.
L’idea prese corpo nel 1935, quando fu contattato il celebre scultore Paul Manship.

La prima sua proposta fu quella di modellare per poi far fondere in bronzo una monumentale porta per la sala delle Assemblee. Il progetto non piacque, In quel periodo Manship si era innamorato delle sfere armillari, in passato le aveva studiate, come la a complessissima e gigantesca sfera armillare costruita nel 1593 da Antonio Santucci (cosmografo del Granduca Ferdinando I dei medici) al Museo Galileo di Firenze.

Ne aveva già eseguita una nel 1924 con all’ interno delle figure, intitolata Cyrcle of Life, per la Phillips Academy di Andover, Massachussets.

Nel 1930 anche lo scultore Hans Schuler aveva creato un grande modello di sfera armillare in bronzo, che venne istallata nel Meridian Hill Park a Washington.

Poi Nel 1934 Manship eseguì il monumento “Prometeus” per il Rackfeller Center di New York, dove Prometeo era posto all’ interno di una fascia zodiacale che richiamava uno dei cerchi del Cyrcle of Life.

Per il palazzo Delle Nazioni Unite a Ginevra propose la più completa delle sue Sfere Celesti in bronzo con il telaio in acciaio, la cui superficie era costituita dalle sculture di tutte le costellazioni zodiacali in bronzo fuse a cera persa e dorate; la sfera doveva avere un movimento rotatorio astronomico come quello dell’ asse terrestre.
La costruzione del monumento astronomico presentava non pochi problemi, e fu affidata alla fonderia Vignali di Firenze che iniziò la costruzione,

diretta dal fonditore-restauratore Bruno Bearzi.

Anche per Manship la creazione del modello era stata un’impresa non da poco.

L’opera venne terminata nel 1939: nell’Agosto di quell’anno la Celestial Sphere partì dalla fonderia di Firenze per Ginevra. Un trattore portava il carro ferroviario alla stazione.

L’opera venne istallata al centro di una vasca con l’acqua nella parte del parco vicino al Palazzo.

Il meccanismo di rotazione del monumento ha funzionato per poco tempo, e dopo poco la sfera si era bloccata. Le condizioni atmosferiche hanno presto alterato e abraso le dorature delle sculture. Le circa 1.000 stelline applicate sulle sculture si sono in parte staccate e perse.

Nel 2019 la direzione del Palazzo delle nazioni Unite aveva emesso un bando per restaurare l’ opera, ed aveva invitato i vari partecipanti a visitare la Sfera Celeste da vicino. Ferdinando Marinelli Jr., titolare dell’ omonima Fonderia Artistica di Firenze e della Galleria Pietro Bazzanti di Firenze, insieme allo specialista delle costruzioni in acciaio inox Carlo Lanaro,

hanno analizzato lo stato di degrado dell’opera iniziando a studiare i migliori sistemi di restauro per riportare la Sfera alla bellezza e funzionalità originali. Sono stati visti con chiarezza anche i danni che un maldestro restauro nell’anno 1983 aveva aggiunto a quelli dovuti alle intemperie (ossidazioni, solfatazioni, perdita delle dorature e del bolo sottostante, arrugginimento delle parti del telaio in acciaio, saldature improprie, etc.), come ad esempio il riempimento in cemento della base di bronzo, etc. Nel 2003 furono ridorate due delle sculture della Sfera per iniziare il restauro definitivo ma il progetto si interruppe.
Prima dell’ assegnazione del lavoro, la commissione delle Nazioni Unite ha chiesto di vedere e analizzare il precedente restauro che la Fonderia Ferdinando Marinelli aveva eseguito sulle sculture in bronzo della Fontana dei Tritoni di Valletta, Malta.


Un amico americano

Nel 1984 ho avuto la fortuna di incontrare a Firenze l’Architetto Dudi Berretti, in occasione della creazione della scultura in bronzoFontana dei Due Oceani” per San Diego in California. Un personaggio di una simpatia e squisitezza unica.

Siamo diventati subito amici. L’amicizia si è cementata quando sono andato, con l’altro amico scultore Sergio Benvenuti creatore del modello della fontana,

a montare le due statue a San Diego, ai piedi di un grattacielo costruito da una delle tante società di Patrick Bowlen, detto Pat.

Finito il lavoro, tornati a Firenze, per un lungo periodo non ho più avuto notizie dell’amico Dudi.
In tutte le frequenti pantagrueliche cene fatte con Sergio Benvenuti, grande mangiatore, ci si chiedeva dove fosse finito Dudi.

La risposta si ebbe ben sei anni dopo: una mattina del 2000 Dudi apparve in Galleria Bazzanti, col suo solito sorriso radioso. Baci e abbracci, subito a pranzo insieme; “chiama anche Sergio Benvenuti” mi disse. Dudi era nato a Fiesole, poco fuori Firenze, ma aveva studiato a Firenze. Dopo alcune libagioni buttò lì un’idea: siccome stava seguendo la costruzione di un nuovo stadio per la città di Denver in Colorado finanziato da Pat Bowlen, e siccome la squadra di Football della città era di proprietà di Bowlen, gli sarebbe piaciuto far eseguire un monumento a Firenze da sistemare fuori dello stadio.
Si era a pranzo in un palazzo quattrocentesco del centro, nel ristorante di una celebre antica famiglia produttrice di splendidi vini, al nostro tavolo le bottiglie vuote aumentavano rapidamente. Dudi cominciò allora a parlare di un colosso di bronzo tipo quello di Rodi, alto 40 metri che, a gambe larghe, facesse da ingresso delle macchine nel parcheggio dello stadio. Al dolce, una deliziosa zuppa inglese, si era arrivati a qualcosa di più probabile e realizzabile: una serie di cavalli della razza Broncos, che era il nome della squadra di Denver, di cui Pat Bowlen era presidente e proprietario. Tornai con Sergio in Fonderia, Dudi andò in hotel a dormire.
Il giorno seguente, altro pranzo: Dudi, Sergio ed io. Si andò a Monteriggioni, altro desinare lucculliano, altro vino.

Al caffè Sergio con le sue manone tolse di mezzo tutto quello che c’era sulla tavola, e aprì una cartella con una manciata di disegni che aveva fatto la notte: una serie di sette cavalli Broncos che correvano verso lo stadio risalendo il corso di un torrente. Dudi si illuminò di un sorriso raggiante, fece alzare Sergio e l’abbracciò. Poi guardò me e chiese “si può fare?” e quando risposi “certamente” abbracciò anche me e cominciò ridere di contentezza e esclamò “la fontana dei cavalli Broncos!”
Due giorni dopo Dudi era di nuovo a Denver con i disegni di Sergio per proporre la “fontana” dei Broncos.
Dopo altri due giorni Dudi mi chiamò intorno a mezzanotte, per lui era il primo pomeriggio, dicendomi di far fare un modellino piccolo dei cavalli e della fontana, e di telefonargli appena pronti. Sergio aveva una capacità scultorea eccezionale, e in mezza giornata aveva preparato il piccolo bozzetto in creta.

La settimana dopo Dudi era di nuovo a Firenze con l’architetto del paesaggio per esaminare in Fonderia, con Sergio, i bozzetti ingranditi della fontana.

Ne rimasero entusiasti;

e rimasero entusiasti anche dei pranzi di quei giorni.

Sergio Benvenuti iniziò a modellare in creta un cavallo grande dopo l’altro, di cui in Fonderia si facevano e si ritoccavano le cere, poi le fusioni ed i montaggi.

Durante l’esecuzione delle frequenti visite di Dudi, ogni volta accompagnato da un numero crescente di tecnici vari, felici di passare qualche giorno in Toscana, pranzi e cene erano il passatempo preferito da tutti.

Quando si iniziò l’imballo dei cavalli, arrivò in visita anche Pat Bowlen in tenuta hawaiana.

Poi ci trasferimmo tutti a Denver, io, mia moglie, Sergio Benvenuti e vari tecnici della Fonderia, per il montaggio delle statue dei cavalli, grandi una volta e mezzo gli originali, presso lo stadio.
Fummo accolti come dei capi di Stato: all’ufficio immigrazione, quando seppero che eravamo quelli “dei cavalli Broncos” ci fecero passare immediatamente: qualche dirigente della squadra aveva inviato in anticipo i nostri dati agli uffici competenti.

Il montaggio durò una decina di giorni

in cui Dudi ci accompagnò in visita al paese e, principalmente, in visita ai ristoranti migliori della città.

Finalmente la solenne inaugurazione.

Dudi rimase affascinato non solo dalla capacità di Sergio Benvenuti di modellare grandi fontane con soggetti richiesti dal cliente, ma anche dalle creazioni che il Benvenuti eseguiva per se: una serie di ballerine, spesso colorate, in varie pose di danza. Sergio era affascinato dal mondo della danza, e aveva portato Dudi nel suo studio in Chianti, dove le ballerine erano esposte fuse in bronzo dalla Fonderia Ferdinando Marinelli.
In poche ore, telefonicamente, insieme a Pat Bowlen Dudi organizzò in grandi ed eleganti tendoni a Denver nei pressi dello Stadio dei Broncos, una mostra delle ballerine di Sergio e di altre sue sculture. La mostra ebbe un gran successo, tanto che tutte le sculture esposte furono vendute in pochi giorni.

Alcuni modelli sono esposti presso la Galleria Bazzanti.

“Sotto il sole”

“Ballerina con blusa”

“Ballerina che salta la corda”

“Ballerina sui trampoli”

“Ballerina alla sbarra”

“The cat’s craddle”

“Ballerina a riposo”

“Merry go Round”

“Relax”

“Attesa d’Estate”

“Serenata”


Il San Matteo del Ghiberti

La perdita e il recupero della fusione a cera persa

La fusione in bronzo con la tecnica della cera persa si era persa con la caduta dell’impero Romano, tanto che nel medioevo la scultura era eseguita esclusivamente in marmo e in pietra, ed anche le rare porte bronzee venivano fatte fondere a Costantinopoli, dove i Bizantini avevano mantenuto, in parte, le conoscenze di questa tecnica.
Sono stati i primi artisti rinascimentali fiorentini a risperimentare la tecnica della fusione a cera persa, avvalendosi agli inizi dell’ aiuto di fonditori bizantini e veneziani. E le prime fusioni, anche se di pezzi piccoli e a bassorilievo, riuscivano con vari difetti, come si può vedere nelle formelle della Porta del Paradiso del Ghiberti, in cui sono state eseguite delle rifusioni per riparare mancanze e lacune.

Una fusione a cera persa rinascimentale, problematica e difficile

La chiesa di Orsanmichele di Firenze è costellata all’esterno, nella parte bassa, di splendide nicchie entro le quali sono state poste grandi sculture in bronzo e in marmo, ognuna sponsorizzata da una delle 14 “Arti” fiorentine. Attualmente sono state tutte sostituite da repliche e gli originali sono custoditi all’interno del secondo piano della costruzione, cioè nel Museo di Orsanmichele

L’Arte del Cambio di Firenze commissionò nel 1419 a Lorenzo Ghiberti quella del proprio patrono San Matteo: doveva essere fusa in bronzo con la tecnica della cera persa, alta 2,7 metri, e fusa in un unico pezzo, cioè con un unico getto di bronzo. Il Ghiberti, azzardando, accettò la sfida, ma gli andò male. Sembra che la prima fusione non fosse riuscita, e che il Ghiberti abbia dovuto eseguirne una seconda a sue spese. Comunque sia andata la vicenda, quello che è chiaro è che la statua che è arrivata a noi, è stata fusa in due volte: prima la parte bassa, e successivamente è stata rigettata sopra questa la parte alta. E’ stata cioè eseguita in due volte e in due parti, ma non per scelta, ma perché la prima gettata non è riuscita a completare anche la parte superiore della grande statua. Dal momento che la statua è arrivata fino a noi cosiffatta vuol dire anche che è stata accettata dalla committenza.

Il restauro e la sostituzione con la replica

Il San Matteo eseguito dal Ghiberti è stato rimosso dalla nicchia della chiesa di Orsanmichele ed è stato portato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per procedere al suo restauro.

La Galleria Bazzanti insieme alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli si sono offerte di fondere a cera persa a proprie spese la replica della grande scultura. E proprio nelle fasi di studio, e poi all’inizio dell’esecuzione del calco negativo, è risultato chiaro che la statua è stata fusa in due tempi, con la parte superiore rigettata sopra quella inferiore

Si è iniziato appunto con lo studio della fattibilità del calco negativo che ovviamente non danneggiasse né la patina né la superficie bronzea originale

e subito dopo con l’esecuzione del calco in silicone e madreforma.

Dai calchi così eseguiti nella Fonderia Ferdinando Marinelli si sono ottenute le cere, trasformate in bronzo con la tecnica della cera persa. La fusione è stata fatta in 4 parti (due per il corpo, la testa e la mano col Vangelo) assemblate e saldate con la stessa lega di bronzo.

La replica ha così sostituito l’originale con una cerimonia dell’inaugurazione.

La replica è stata apprezzata anche dalle autorità (Leggi qui). Le successive defezioni dei piccioni hanno contribuito ad “antichizzare” la patina


L'arte della fusione a cera persa

Parte 1

La realizzazione di sculture in bronzo è sempre risultata in antico più complessa e costosa di quella di sculture in marmo o in pietra.
Il bronzo è una lega metallica i cui componenti sono stati in passato di difficile reperibilità, quindi costosi. I Romani consideravano prezioso e nobile questo metallo, tanto da usarlo per fonderne monete

IV sec. A.C.

e coniarne.

III sec. A.C.

Ed anche la tecnica di fusione era complessa, costosa e presentava alti rischi di cattiva riuscita.
Molto usata in epoca classica (nell’antica Grecia esistevano fonderie di produzione semiseriale), nel medioevo la scultura in bronzo è diventata molto rara.
Solo col primo rinascimento si è ricominciato a produrre opere d’arte tramite la fusione a cera persa in bronzo, produzione che è continuata fino ai giorni nostri.

Il bronzo è una lega che si ottiene unendo in fusione rame e stagno in percentuali diverse a seconda delle caratteristiche che il metallo deve avere (la lega ottenuta da rame e zinco è invece ottone). Mentre nelle varie epoche la tecnica della fusione a cera persa è rimasta pressoché immutata, per la lega, cioè per le percentuali di rame e di stagno, sono state fatte molte prove, in alcuni casi anche con l’aggiunta in piccole quantità di altri metalli, per migliorarne la scorrevolezza durante la gettata o le caratteristiche meccaniche: leghe per cannoni (la lega bombarda), la lega per campane, e la lega statuaria usata fin dal tardo Rinascimento per le sculture e per il conio di monete.
Biringuccio, alla metà del Cinquecento,

consiglia per gittar figure un bronzo con la percentuale di stagno variabile dal 7,4 al 10,7.
Nella Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli viene adoprato il bronzo Bz 90/10, in cui la percentuale di stagno è del 10%.

Per la tecnica della cera persa occorre molta esperienza: specie in passato errori nella composizione del materiale refrattario, nella cottura delle forme, nella temperatura in cui il bronzo veniva gettato, potevano compromettere la fusione.

Nella tecnica della fusione a cera persa i materiali, gli utensili, i macchinari, se così si possono chiamare sono rimasti gli stessi dal Rinascimento alla metà del ‘900.
Solo dopo tale data alcuni materiali e alcune attrezzature sono leggermente cambiati per rendere più sicuro e meno faticoso il lavoro degli artigiani fonditori. Ma la tecnica è rimasta esattamente la stessa, legata alle mani dell’artigiano fonditore.
(Le immagini in bianco e nero si riferiscono alla Fonderia Ferdinando Marinelli negli anni ’50)
La prima fase di questa tecnica è quella dell’esecuzione di un calco negativo sopra l’opera scultorea che si vuole riprodurre in bronzo, come ad esempio una scultura in creta.

Ottenere un calco negativo per una scultura a tutto tondo con molti sottosquadri comporta delle difficoltà; nell’antichità si usava la formatura a tasselli dove il calco veniva eseguito in tante piccole parti di gesso dette appunto tasselli, ognuna staccabile ed estraibile dalla scultura, parti tenute insieme da un controguscio esterno anch’esso in gesso detto madreforma.

Dal Rinascimento si è cominciata ad usare anche una sostanza elastica ottenuta da colla animale mescolata a grasso, sciolta a bagnomaria ed applicata a pennello sulla superficie della scultura; questa colla, raffreddandosi, diventa dura ma rimane elastica e flessibile, permettendo il distacco dalla scultura anche in casi di sottosquadri.


Donatello e il Putto nella scultura - Parte III

Donatello dal 1420 al 1440

Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, nasce a Firenze nel 1386. Ha una vita lunghissima, muore a Firenze nel 1466 all’età di 80 anni.

Venne educato nella casa dei Martelli, ricchissimi signori rinascimentali che avevano fatto i soldi come fabbricatori di armi alleatisi poi con la famiglia Medici. Era signorile ed elegante, ma ciò non gli proibì nel 1401 di picchiare e ferire gravemente a Pistoia un tedesco, tale Anichinus Pieri, per cui fu condannato.
Fu probabilmente a Pistoia che lavorò come apprendista orafo insieme al Brunelleschi per il grande altare d’argento per la cattedrale della città.

La frequentazione e l’amicizia col Brunelleschi fu molto importante per Donatello; infatti andarono insieme, dal 1402 al 1404, a Roma per studiare e disegnare l’arte romana antica. Nel 1404 era di nuovo a Firenze dove fino al 1407 lavorò come aiutante alla prima porta (nord) del Battistero fusa a cera persa dal Ghiberti. Dal 1406 lavorò insieme ad altre sculture per la città di Firenze, alla Porta della Mandorla del Duomo e successivamente con Jacopo della Quercia al fonte battesimale di Siena. E in Orsanmichele con Nanni di Banco. Ebbe modo quindi di assistere alla nascita della nuova tipologia del putto di tipo romano classico.
Tra il 1423 e il 1425 scolpì e fuse la statua di San Luigi di Tolosa commissionata dalla Parte Guelfa per una nicchia esterna di Orsanmichele (Museo dell’Opera di Santa Croce, Firenze).

Donatello pone in alto nell’architettura della nicchia di marmo due putti regginastro nel suo tipico stile a bassorilievo “stiacciato”, insieme ad altre testine di cherubini.

Donatello decora la parte alta del bastone pastorale del santo con delle nicchie da cui fuoriescono piccoli putti in piedi a tutto tondo che reggono degli stemmi; benché molto piccole, sono le prime statuette in bronzo del ‘400.

Nella Madonna col Bambino in braccio che siede sulle nuvole, in marmo eseguita tra il 1425 e il 1428, scolpisce nove putti-Eroti alati e seminudi in veste di angeli (in precedenza gli angeli erano vestiti pesantemente); sono scolpiti di scorcio con la sua tipica tecnica “allo stiacciato”, (Mus. Fine Arts Boston).

Anche in un altro bassorilievo in “stiacciato”, l’ascensione e la consegna delle chiavi a S. Pietro (Victoria & Albert Museum Londra) che si ritiene scolpito nello stesso periodo del precedente (1425-1428) sono presenti dei piccoli angeli-putti paffuti vestiti di velo. Quelli in alto sono classicheggianti,

quelli in basso, più adulti, hanno on po’ più le sembianze di angeli.

Gli angeli musicanti e danzanti e il banchetto di Erode fanno parte del Fonte battesimale del Battistero di Siena, eseguito in collaborazione tra Ghiberti, Jacopo della Quercia, Turino di Sano, Giovanni Turini e Donatello. Il Fonte è stato creato tra il 1416 e il 1427. Nel 1416 Ghiberti è a Siena, nel 1417 crea un modello in cui applicare alla base bassorilievi e figure a tutto tondo di bronzo. Due bassorilievi furono affidati al Ghiberti (Battesimo di Cristo e Cattura del Battista), due a Jacopo della Quercia (Cacciata di Zaccaria dal Tempio e il Banchetto di Erode), due a Turino di Sano insieme al figlio Giovanni Turini (La nascita del Battista e la Preghiera del Battista). Nel 1423 Jacopo non aveva ancora cominciato a modellare il banchetto di Erode, che fu allogato quindi a Donatello, insieme alle due statuette delle Virtù e due putti. Nel 1427 Ghiberti e Donatello consegnarono i loro bassorilievi, e Jacopo cominciò il suo. Nel 1428 fu allogato a Jacopo il completamento di tutto il Fonte.
Nel suo bassorilievo del Banchetto di Erode Donatello ha inserito le figure di due putti assolutamente classici con i vestiti di tipo antico, abbastanza discinti, impauriti e orripilati dallo spettacolo della testa di Giovanni sul piatto. È la prima volta che dei putti vengono inseriti nella scena drammatica e orribile della decapitazione del Battista.

Anche il motivo della gamba sinistra del putto in terra è di ispirazione classica, probabilmente tratto da qualche scultura antica o un urna cineraria Etrusca, come quella ai Musei Vaticani di Thana Helusnei.

Sulla sommità del Fonte c’erano in origine 6 putti a tutto tondo in bronzo, e ne sono rimasti quattro di cui due di Donatello, eseguiti nel 1429, e due di Turini eseguiti nel 1431. Dei donatelliani, uno suona il corno, l’altro balla e suona il tamburello (Museo Bode Berlino). Donatello ha creato qui il putto danzante che deriva dagli angeli (adulti) musicanti del medioevo. Sono i precursori dei putti delle cantorie di Firenze e di Prato. Hanno inoltre la caratteristica di essere autonomi, di essere cioè, una volta staccati dal Fonte, piccole statue che non necessitano di nessuno sfondo per esistere, e che anticipano le più grandi sculture a tutto tondo del rinascimento. Stanno in piedi su una conchiglia circondata da una corona, simboli di nascita (il battesimo) e di vittoria (sulla morte).

L’antipapa Baldassarre Coscia Giovanni XXIII eletto nel 1410 morì a Firenze nel 1419. Donatello e Michelozzo progettarono e costruirono la tomba posta all’interno del Battistero di Firenze.

Sulla base su cui poggia il sarcofago sono scolpiti in bassorilievo due putti alati nudi che reggono una pergamena con una scritta.

L’uso di putti pagani nella tomba di un papa ci fa capire come all’inizio del ‘400 la figura del putto-Erote si fosse serenamente ri-cristianizzata.