Il Cesello

Parte 2

I martelli da cesello sono diversi dai martelli comuni, sono di forma diversa (Foto 1), di diverso peso (generalmente intorno ai 100 grammi, manico incluso) a testa piatta e larga (Foto 2) che viene consumata per il continuo battere sul ferro (Foto 3), e di speciale equilibratura tale da affaticare il meno possibile la mano del cesellatore che deve battere continuamente sul ferro da cesello per intere giornate di lavoro (Foto 4).

Foto 1

Foto 2

Foto 3

Foto 4

Il ferro viene tenuto tra il pollice, indice e medio, mentre l’anulare poggia con forza sulla superficie da cesellare (Foto 5,6).
Per la cesellatura, le sculture di grandi dimensioni vengono fissate su sostegni di legno; le sculture medio piccole invece vengono fermate dalle ganasce delle speciali “morse da cesello” (le morse nelle immagini risalgono agli anni ’30 del Novecento (Foto 7,8)) che hanno la caratteristica di scaricare a terra i continui colpi creati dal battere del ferro nella cesellatura; le morse hanno delle ganasce di piombo che permettono di stringere e bloccare la scultura in bronzo senza causare graffi o scalfitture.

Foto 5

Foto 6

Foto 7

Foto 8

Queste morse sono applicate a robusti bachi da lavoro (Foto 9,10,11) rimasti uguali dai primi del ‘900 ad oggi.

Uno dei problemi che cesellare il bronzo comporta è il rumore: un continuo “den den” ad alto volume che dura per molte ore, con pochi intervalli di pace (come si può sentire nei due video di seguito in cui è stato volutamente diminuito il volume del rumore), e che obbliga i cesellatori all’ uso di cuffie antirumore.
Nella Fonderia Ferdinando Marinelli di Rifredi, aperta nel 1919 tra le abitazioni, hanno continuato a cesellare in contemporanea tutti i giorni dai 3 ai 5 cesellatori. E proprio questo rumore è stato uno dei motivi che ci ha spinto a creare una nuova fonderia nella campagna di Barberino Val d’ Elsa in cui ci siamo spostati nel 2000.

Foto 9

Foto 10

Foto 11

Nella formella della Porta del Paradiso in fase di cesello (Foto 12) le figure in alto sono state cesellate, quelle al centro sono a metà cesellatura, quelle in basso sono appena iniziate. Il cesello si esegue anche su fusioni di grandi dimensioni, come sulla testa di uno dei personaggi del ratto delle Sabine del Giambologna (Foto 13) e anche su quella del David di Michelangelo (Foto 14).

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Foto 13

Foto 14

Il bordo inferiore del gonnellino del David del Verrocchio presenta un nastro con scrittura pseudo-cufica (molto di moda nel Rinascimento) eseguito a cesello (Foto 15,16). Le sottili masse dei capelli nella testa della Diana Cacciatrice del Museo Vaticano dimostrano il cesello eseguito con uno “spianatoio” (Foto 17,18).

Foto 15

Foto 16

Foto 17

Foto 18


Le antiche porte di bronzo in Italia

Parte I

Porte di metallo, o meglio “foderate” di metallo, sono note fin dai tempi più antichi; Omero nell’ Odissea ci descrive quelle del palazzo di Alcinoo:

“Il palazzo di Alcinoo emanava una grande luce come se fosse un sole o una luna. Dalla soglia, lungo tutte le pareti, il muro era foderato di bronzo con, in alto, fregi smaltati di colore celeste. Le porte erano d’oro e la soglia aveva stipiti di argento, l’architrave era d’argento e le maniglie d’oro”.

Nella tomba di Rekmire a Tebe (1400 a.C. ca.) è dipinta un’ officina di bronzisti che colano bronzo fuso per fabbricare la porta del tempio di Amon, e in bronzo erano anche le porta di Babilonia, la porta del tempio di Zeus ad Olimpia, quella di bronzo dell’Arsenale del Pireo.
Gli Assiri nell’ 850 a.C. circa avevano decorato la porta lignea del palazzo del re Salmanassar III a Imgur-Enlil rivestendola con fasce di bronzo scolpite fissate con chiodi al legno (Foto 1,2,3)

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Le porte degli edifici pubblici in età romana erano prevalentemente di bronzo (Vitruvio ne definisce la tipologia (De architectura, lib. IV, cap. IV). Tra quelle che a Roma sono rimaste le più note sono la porta del Pantheon del II secolo d.C., quella del Tempio di Romolo al Foro Romano, la porta della Curia Iulia d’età di Domiziano che il Borromini rimpiegava per S. Giovanni in Laterano e che venne ingrandita e decorata con nuove borchie e tralci.

In epoca tardo antica ci sono, tutte di riuso, la porta di Papa Ilaro (460 d.C.) nell’oratorio di San Giovanni Battista nel Battistero Lateranense, quella di San Giovanni Evangelista nello stesso Battistero, quella nel chiostro di San Giovanni in Laterano e quella nella cappella della Scala Santa.

La porta del Pantheon, del 120 d.C. ca., è la più grande, alta 7,53 metri e larga 4,45 circa; è una porta di legno rivestita da lamiere di bronzo spesse 4 cm, fuse probabilmente con getto in forma orizzontale aperta che permettesse fusioni lastre di grandi dimensioni e di grande spessore (Foto 4,5,6,7,8,9)

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Nel 1520 Papa Medici Leone X promuoveva il restauro del Pantheon e della sua porta, nel 1555 Papa Pio IV “fece nettare la porta di metallo per la vecchiezza arrugginita” e sostituire 182 borchie di bronzo; Pompeo Ugonio, Canonico della Basilica Vaticana, agli inizi del ‘600 ci dice che queste porte erano “indorate con i cancelli di sopra simili”; fortunatamente nella spoliazione operata da Papa Urbano VIII nel 1625 dei rivestimenti di bronzo dorato delle travi del pronao per far fondere 80 cannoni per Castel S. Angelo e le colonne tortili per l’altare di San Pietro, la porta non fu rifusa (Foto 10,11,12)

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La porta del Pantheon viene rappresentato in pittura dalla metà del ‘400, come nel cassone di Apollonio di Giovanni con le storie di Didone ed Enea dell’ Art Gallery della Yale University datata 1450 ca. dove sono rappresentate le due ante, a tre specchi e in giallo, probabilmente dorate, ma che riempiono tutto il vano dell’ apertura senza la parte superiore grigliata. Intorno al 1500 Simone del Pollaiolo la disegna ad un’ unica anta, ma con la griglia superiore; finalmente Raffaello la disegna nel 1508 così com’ è ancora oggi, tranne che per le borchie e i decori. (Foto 13,14,15,16,17)

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Il Cesello

Parte I

Nella fusione a cera persa in bronzo la cesellatura è un’importante fase di lavorazione della superficie delle sculture; la si esegue con dei particolari utensili chiamati “ferri da cesello”.
I ferri da cesello sono dei piccoli scalpelli (detti solo “ceselli” o “ferri”) in acciaio a sezione quadrata o tonda, con la testa (la parte in contatto con il metallo) di forme diverse, mentre il capo opposto è destinato a ricevere i colpi del martello. (Foto 1,2,3)

Foto 1

Foto 2 Foto 3

Questo perché i ferri da cesello vengono normalmente utilizzati per definire e rifinire con estrema minuzia i particolari delle fusioni in bronzo. Possono mettere in risalto parti che in fusione sono riuscite meno evidenti del voluto (Foto 4,5),

Foto 4 Foto 5

o anche creare ex novo dettagli sul bronzo che non erano stati modellati sulla cera prima della fusione (Foto 6,7); in alcuni casi per schiacciare e ribattere (col ferro chiamato “spianatoio”) zone lisce del bronzo che presentano lievi imperfezioni o piccoli forellini che verranno così tappati e spariranno.

Foto 6 Foto 7

Questi tocchi di lavorazione a freddo migliorano la qualità scultorea complessiva, evidenziando il gioco di luci e ombre, creando maggiore profondità in alcune cavità e allo stesso tempo rendendo più netti i bordi.
I principali ferri sono il profilatore (Foto 8,9), l’unghietta (Foto 10) e lo spianatoio (Foto 11).

Foto 8 Foto 9
Foto 10 Foto 11

Possono essere di diversa grandezza e misura: l’unghietta è usata per tracciare linee curve, il profilatore per le linee diritte, gli spianatoi per spianare la superficie intorno al disegno oltre che schiacciare zone porose del bronzo. Ci sono anche dei ferri che hanno disegni vari sulla testa per poterli imprimere sulla superfice della scultura (Foto 12), altri con puntini o stellette (Foto 13) come quelle impresse sulla parte alta del guerriero di spalle (Foto 14).

Foto 12 Foto 13

Foto 14

Tutti i ferri sono sempre lucidi e sfrangiati sul capo per il continuo battere su di esso del martello, che li schiaccia creandovi dei riccioli di metallo (Foto 15).

Foto 15


Monumento alla Vittoria

Nel 1925 fu indetto un concorso nazionale per l’esecuzione a Forlì di un “Monumento alla Vittoria” da inaugurarsi il 30 ottobre del 1932, decimo anniversario della “rivoluzione fascista”.

Il concorso venne vinto da un personaggio gradito al regime, l’architetto e ingegnere Cesare Bazzani il quale volle creare un monumento che rispetto agli altri avesse la particolarità di poter avere due lati principali su cui accogliere cerimonie, uno rivolto verso il giardino pubblico e l’altro verso la stazione; questa caratteristica venne sottolineata anche da Mussolini nel discorso d’inaugurazione che pronunciò dal balcone del palazzo del Governo di piazza Saffi dicendo del monumento “…da una parte la pietà per i caduti, dall’ altra l’ esaltazione fiera della vittoria…”, per cui l’intera opera fu chiamata anche Monumento ai Caduti.

Architetto Cesare Bazzani

Il Bazzani progettò una importante struttura architettonica composita completamente rivestita in marmo di Trani, alto in tutto 32 metri: un basamento rialzato con i lati minori tondi, su cui insistono tre elementi: al centro una colonna dorica alta 22 metri la cui base contiene una piccola cappella in cui si entra da una porta di ferro: dal soffitto della cappella si accede alla scala a chiocciola contenuta all’ interno della colonna, che arriva fino alla sommità di questa; la scala prende luce da due piccole aperture presenti sulla colonna stessa. Ai lati due parallelepipedi decorati da due bassorilievi ciascuno, eseguiti da Bernardino Boifava, che raffigurano i momenti fondamentali della vita degli eroi, cioè l’attacco, la difesa, il sacrificio e il trionfo, e che sui lati che guardano verso il piazzale, una fontana con un moderno che rappresentano il sacrificio della Vittoria.

Monumento alla Vittoria

Monumento alla Vittoria, parte basale

Monumento alla Vittoria Veduta dei primi anni 30
Preparazione dell’inaugurazione di Mussolini, Scultura in bassorilievo su uno dei due parallelepipedi Scultura in bassorilievo su uno dei due parallelepipedi
Una delle due fontane laterali Mascherone di una fontana

In alto il capitello della colonna ospita una base rotonda decorata su cui è collocato un importante gruppo scultoreo bronzeo di tre figure femminili alate che rappresentano il cielo, la terra e il mare.
Il modello venne eseguito dallo scultore Bernardo Morescalchi che affidò la fusione alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze. Il Marescalchi aveva lavorato in precedenza con la Fonderia Artistica Marinelli per la fusione di opere di grandi dimensioni, come i Cavalli di Forlì.

Le due piccole finestre lucifere per la scala interna Finestra lucifera sulla sommità della colonna Bronzo del Monumento alla Vittoria
Bronzo del Monumento alla Vittoria Bronzo del Monumento alla Vittoria Bronzo del Monumento alla Vittoria, particolare
Monumento alla Vittoria, particolare Firma della Fonderia Artistica Marinelli di Firenze sulla base dei bronzi

Il Monumento alla Vittoria nella Fonderia Marinelli di Firernze in attesa di venir imballato

Uno dei due Cavalli modellati da Morescalchi e fusi dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze Uno dei due Cavalli modellati da Morescalchi e fusi dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze

Nell’ottobre del 1932 Mussolini inaugurò ufficialmente il monumento con una grande cerimonia e col discorso dal balcone del Palazzo del Governo.
Successivamente, nel giugno del 1938 fu il Re Vittorio Emanuele III che visitando Forlì si soffermo ai piedi del monumento deponendo una corona.

Visita di Mussolini per l’inaugurazione del monumento Mussolini visita i cantieri del Monumento alla Vittoria

Visita di Mussolini per l’inaugurazione del monumento

Discorso di Mussolini dalla terrazza del Palazzo del Governo a Forlì

Ricercando negli archivi della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli è apparsa una lettera, datata 28 aprile 1923, successiva all’ inaugurazione del Monumento che la Fonderia scriveva al Podestà di Forlì, in cui veniva richiesto il pagamento per “le lettere per il monumento la Vittoria”, di cui era ancora creditrice. Si tratta delle lettere della scritta applicata in alto sotto il capitello della base dei bronzi.

Lettera della Fonderia Ferdinando Marinelli

Nell’ anno 2024 il Comune di Forlì ha previsto un sopralluogo per monitorarne la “salute”, seguìto dallo Studio Tecnico Nerodichina di Forlì con l’architetto Giancarlo Gatta. Le Vittorie alate hanno presentato spacchi e rotture; ma la cosa più particolare sono stati una serie di fori che in un primo momento hanno lasciato nel dubbio gli studiosi e solo dopo un colloquio tra l’architetto Gatta e Ferdinando Marinelli Jr. gestore della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli si è capito essere dovuti a proiettili dell’ ultima guerra.

La scritta di lettere bronzee sotto il capitello della colonna, dettaglio

La scritta di lettere bronzee sotto il capitello della colonna

Sopralluogo sul Monumento 2024

Sopralluogo sul Monumento 2024

Fori di proiettili

Fori di proiettili

Fori di proiettili

Fori di proiettili


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte IV

La seconda scultura che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico a Bologna è il SAN PROCOLO, alto poco meno di 60 centimetri.
Lo rappresentò per quello che era, cioè un forte soldato romano cristiano martirizzato a Bologna dai Romani al tempo di Diocleziano: la tunica corta dei soldati chiusa in vita dalla cintura, il mantello, alti calzari e molto probabilmente una lancia nella mano destra che è andata persa.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna

Anche in quest’opera è chiaro lo stile michelangiolesco, figura solida, volto accigliato, atteggiamento teso e sicuro evidenziato dal modo di tenere il mantello sulla spalla sinistra, non più delicata e femminea come le figure del Rinascimento.

Nel 1572 fra Ludovico da Prelormo custode dell’ Arca scrive:

“La vigilia del padre San Domenico il povero sventurato fra’ Pelegrino converso roppe la statua di San Procolo, la gettò a terra in più di cinquanta pezzi. Io né ho mai avuto in ottanta anni il più intenso dolore al cuore di questo. Mi credeva certo di morire; vennero i Padri tutti a confortarmi, e molti maestri periti ne l’arte, e così la portarono via e fu aconzia [aggiustata] alla foggia al presente si vede.”

E infatti la figura presenta una serie di rotture più o meno restaurate; chiara quella della testa riattaccata grossolanamente.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La terza delle sculture che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico è quella di SAN PETRONIO, vescovo e patrono di Bologna, posto al centro dell’Arca tra gli altri due santi precedentemente eseguiti da Niccolò dell’Arca

Arca di San Domenico, Bologna

Il Santo guarda davanti a se, porta la tiara e un lungo mantello dalla caotiche ma studiatissime pieghe chiuso da un fermaglio davanti al petto, più complesse dei mantelli degli altri due Santi.
Il volto è riconoscibilissimo come opera di Michelangelo.

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La caratteristica particolare è la città di Bologna che tiene in alto tra le mani, sostenendone il peso a fatica sbilanciando l’anca e tendendo i tendini dei polsi; Michelangelo si è ispirato alla statua dello stesso Santo eseguita da Jacopo della Quercia e posta sulla porta centrale della basilica di San Petronio di Bologna, ma in controparte.

Michelangelo, San Procolo, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Michelangelo, San Petronio, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo, Il Bacco

Il Vasari nelle Vite, riferendosi a Michelangelo, scrive di:

…un Dio d’amore, d’età di sei anni in sette, à iacere in guisa d’huom che dorma…

alludendo alla statuetta di marmo che Michelangelo aveva scolpito nel 1496 al suo ritorno a Firenze, quando venne nuovamente ospitato da Lorenzo dei Medici il Popolano, cugino di Lorenzo il Magnifico.

Lorenzo dei Medici il Popolano, Botticelli, 1479, Palazzo Pitti.

Ne abbiamo notizia anche grazie ad una lettera di Antonio Maria Pico della Mirandola del 1496 a Isabella d’Este, dove scrive:

… Un Cupido che giace e dorme posato su una mano: è integro ed è lungo circa 4 spanne, ed è bellissimo; c’è chi lo ritiene antico e chi moderno; comunque sia, è ritenuto ed è perfettissimo.

La statua era lunga “quattro spanne”, cioè circa 80 cm, ma è andata persa, e la proposta identificazione con il Cupido Dormiente conservato al Museo del palazzo San Sebastiano a Mantova è molto discussa e improbabile.

Cupido dormiente, Museo della città di Palazzo San Sebastiano

Gli era stata commissionata dal Medici. Era il 1496, anno in cui il Savonarola e i suoi seguaci censuravano ogni opera d’ arte considerata licenziosa; fu così che il Putto venne portato a Roma e sotterrato in una vigna per renderlo “antico” e venderlo come reperto romano. Probabilmente Michelangelo ne era all’ oscuro.
Il trucco riuscì, tanto che venne acquistato da Raffaele Riario cardinale di San Giorgio, celebre collezionista d’ arte, tramite l’ intermediario Baldassare del Milanese per 200 ducati. Ma il Milanese portò a Michelangelo solamente un acconto di 20 ducati.

Cardinale Raffaele Riario (al centro), Raffaello, 1512, Messa di Bolsena, Stanze Vaticane

Il Riario si si rese conto di essere stato truffato, ma l’opera era cosi perfetta che invece di rivolere indietro il denaro volle conoscere l’artista che l’aveva scolpito. Mandò quindi a Firenze il banchiere suo amico Jacopo Galli perché portasse a Roma l’autore del Putto. Il Galli convinse Michelangelo, ignaro del raggiro, che arrivato a Roma al cospetto del cardinale con una lettera di presentazione di Lorenzo dei Medici il Popolano, avendo avuto a Firenze solo 20 scudi, rivoleva indietro la sua scultura.
Il Riario si arrabbiò furiosamente con Michelangelo dicendo che l’aveva pagata ed era sua.
Fu con questa vicenda che Michelangelo vide aprirsi a Roma un nuovo mondo di lavoro in gran parte tramite il Galli, banchiere molto importante e influente, che lo ospitò nel suo palazzo.

Il Bacco

E infatti qualche giorno le cose cominciarono ad andare meglio: il 4 luglio del 1496 il cardinale Riario gli chiese di scolpire per lui un opera pagana, il BACCO. Lo eseguì in un anno, consegnandolo nel 1497.
La divinità mitologica è rappresentata in modo naturalistico con l’incedere insicuro di un giovane dio ebbro di vino, la posa a contrapposto è leggermente sbilanciata, la testa piegata e gli occhi stravolti dal liquore, il corpo è morbido e leggermente femmineo evidenziata anche dalla pancia leggermente gonfia a causa anche del bere. Tiene in mano la coppa del vino, e tra i riccioli pendono due grappoli d’uva. Con l’altra mano regge la pelle di leopardo, animale caro al dio.

Nascosto dietro di lui un giovane satiro appoggiato alla gamba sinistra in posa seducente mangia l’uva seduto su un tronco d’albero reciso. Il bellissimo satiro ha anche una funzione di sostegno e di rinforzo dell’opera il cui peso scarica sulla gamba su cui il satiro poggia.

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Il cardinale Riario rifiutò l’opera, tropo poco simile alle raffigurazioni romane di Dioniso e quindi troppo lasciva per un membro della Chiesa.
la ritirò con molto piacere il banchiere Galli che la posizionò al centro del suo giardino. Il pittore olandese Maarten Van Heemserck vide l’opera nel giardino del Riario nel 1532 e ne fece il disegno. La coppa e la mano destra appaiono mancanti e anche il pene sembra sia stato rotto: la mano e la coppa che si vedono oggi sono un’integrazione antica.

Disegno di Maarten van Heemskerck, 1535, Il Bacco nella collezione di opere antiche del Riario

Il Bacco è conservato ed esposto al Museo del Bargello.

Il Bacco di Michelangelo esposto al Museo del Bargello

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte III

Lorenzo il Magnifico aveva ospitato per 4 anni Michelangelo nel suo palazzo di via Larga, avendolo quotidianamente a tavola con sé e con i vari ospiti, tra cui gli umanisti dell’Accademia Platonica.
Nel 1492, alla morte di Lorenzo, Michelangelo fu esiliato dal palazzo Medici. Fu costretto a ritornare a casa del padre.

Palazzo Medici dopo l’allargamento settecentesco dei Riccardi

Il Vasari nelle sue “Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori” del 1568:

…Era da poco morto Lorenzo il Magnifico quando il giovane Michelagnolo non ancora ventenne si accinse a scolpire un Crocifisso di legno, che si posa sopra il mezzo tondo dell’ altare maggiore, a compiacenza del priore il quale gli diede comodità di stanze…

Fu in questo periodo che Michelangelo si dedicò allo studio dell’anatomia umana tramite la dissezione dei cadaveri. Grazie all’ intercessione di Piero dei Medici il Fatuo, succeduto a Lorenzo il Magnifico, ottenne dal priore del convento di Santo Spirito, Lapo Bicchiellini, il permesso di dissezionare i corpi dei cadaveri maschili che arrivavano dall’ospedale del convento.
Le eseguiva di notte perché non rischiare di essere accusato di negromanzia dall’ inquisizione, eseguendo anche disegni anatomici.

Piero di Lorenzo dei Medici detto il Fatuo, Ghirlandaio, 1494, Miniatura, Biblioteca Naz. di Napoli

Convento di Santo Spirito, Chiostro Grande

Michelangelo, disegno anatomico, Casa Buonarroti

Fu per ringraziamento che al priore del convento Michelangelo scolpì e donò al priore Bicchiellini un crocifisso di legno ora custodito nella Sacrestia Nuova della chiesa di Santo Spirito, un capolavoro di eleganza e dolcezza.

Michelangelo, Cristo ligneo, Sacrestia Nuova, Santo Spirito

Alla fine del ‘400 la situazione politica di Firenze stava pesantemente cambiando, le prediche del Savonarola erano sempre più ascoltate, si respirava la caduta dei Medici voluta da Carlo VIII re di Francia.

Girolamo Savonarola, Fra Bartolommeo, 1497, Museo di San Marco

Michelangelo a Bologna

Michelangelo preferì lasciare la città e, insieme agli amici Granacci e il fiammingo Johannes Cordier, detto il Cordiere, suonatore di lira a palazzo Medici, andò a Venezia, dove rimase per un breve periodo, dirigendosi poi a Bologna. Qui fu accolto da Giovan Francesco Aldrovandi uomo di fiducia del signore di Bologna Giovanni Bentivoglio, e per suo tramite ricevette l’incarico di realizzare tre sculture per la trecentesca Arca di San Domenico eseguita da Nicola Pisano e Niccolò dell’Arca, ancora non completata.

Francesco Granacci

Arca di San Domenico, Nicola Pisano e Niccolò dell’ Arca, sec. XIV, Chiesa di S. Domenico, Bologna

L'Angelo Reggicandelabro

Eseguì l’ ANGELO REGGICANDELABRO mancante nell’angolo destro dell’Arca, in pendant con quello esistente nell’angolo sinistro eseguito da Niccolò dell’Arca.

Michelangelo, Angelo Reggicandelabro, 1495 ca., Arca di San Domenico, Bologna

Niccolò dell’ Arca, Angelo Reggicandelabro, 1470 ca., Arca di San Domenico, Bologna

Entrambi gli angeli sono inginocchiati; Niccolò dell’Arca aveva scolpito un angelo elegante e raffinato, in stile rinascimentale, con caratteristiche quasi femminili.

Niccolò dell’ Arca, Angelo Reggicandelabro, Arca di San Domenico, 1470 ca., Bologna


Michelangelo e la Pietà Vaticana

Il Vasari, in merito alla Pietà, nelle sue Vite scrive:
…Alla quale opera non pensi mai scultore né artefice raro potere aggiugnere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finitezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte. Fra le cose belle [che] vi sono, oltra i panni divini suoi, si scorge il morto Cristo: e non si pensi alcuno di bellezza di membra e d’artificio di corpo vedere uno ignudo tanto ben ricerco di muscoli, vene, nerbi sopra l’ossatura di quel corpo, né ancora un morto più simile al morto di quello. Quivi è dolcissima aria di testa, et una concordanza nelle appiccature e congiunture delle braccia e in quelle del corpo e delle gambe, i polsi e le vene lavorate, che in vero si maraviglia lo stupore che mano d’artefice abbia potuto sì divinamente e propriamente fare in pochissimo tempo cosa sì mirabile: che certo è un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezzione che la natura affatica suol formar nella carne…

La Pietà

A 24 anni, nel 1499, Michelangelo eseguì il suo capolavoro, la PIETA’ VATICANA. Il Banchiere Jacopo Galli era diventato un suo grande estimatore e amico intimo, tanto che l’aveva ospitato nel suo palazzo a Roma. Era diventato anche suo garante e intermediario, e fu grazie al Galli che Michelangelo ebbe nel 1496la commissione della Pietà per Jean de Bilhères abate di San Dionigi ambasciatore a Roma di Carlo VIII di Francia presso il papa Alessandro VI.

Carlo VIII di Francia, Scuola francese, Reggia di Versailles

Ricevuto nel 1497 un’ acconto di 150 ducati sui 450 ducati pattuiti si recò a cavallo alle cave di marmo di Carrara per trovare il marmo adatto. Tornato a Roma firmò il 27 agosto del 1497 il contratto ufficiale di allogagione alla presenza del Galli, con l’ impegno di terminare l’ opera in un anno, contratto che recitava:

Et io Jacopo Galli prometto al reverendissimo Monsignore che lo dicto Michelangelo farà la dicta opera in fra un anno e sarà la più bella opera di marmo che sia oge in Roma, e che maestro niuno la farìa megliore oge.
Nel contratto di allogazione era stato specificato che sarebbe stata Una Pietà di marmo, cioè una Vergine Maria vestita con un Cristo morto nudo in braccio.

Tenne fede all’ impegno consegnando il capolavoro nel 1499, che fu portato in Santa Petronilla dove l’ambasciatore voleva essere sepolto.

Nel 1517 la Pietà venne spostata nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dove le venne cambiato posto più volte, finché nel 1749 fu posta nella prima cappella a destra della navata della basilica dove risiede ancora oggi.

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Il bellissimo volto della Madonna ritratta da giovane (Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, Dante, primo verso del canto XXIII del Paradiso) nell’ età in cui lo concepì, mantiene nel dolore una posa composta mentre guarda il corpo del Figlio.
Cristo è completamente rilasciato sulle ginocchia della Madre che non tocca direttamente il corpo sacro del figlio, tra la sua mano destra e il corpo è interposto un lembo del sudario. La mano sinistra della Madonna ha un gesto di disperata domanda.
La roccia su cui siede è il monte Golgota, come dice il biografo condivi nella “Vita di Michelagnolo Buonarroti” edita a Roma nel 1553:
…A sedere sul sasso, dove fu fitta la Croce, col figliuol morto in grembo, di tanta e così rara bellezza, che nessun la vede che dentro a pietà non si commuova…

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, dettagli

La perfezione delle anatomie riprodotte in maniera eccezionale favoriscono la bellezza che l’opera emana insieme alla tenerezza e allo strazio per la morte del Cristo.
Anche le pieghe dell’abito e del sudario sono riprodotte in maniera magistrale, quasi tessuto trasformato in marmo, o marmo trasformato in tessuto.

A differenza di gran parte delle altre sue opere, in questa Michelangelo ha voluto lisciare e lucidarne le superfici rendendone la pelle traslucida al pari dell’ alabastro.

Michelangelo ha scritto il suo nome su quest’unica opera, l’ha cioè firmata in caratteri romani sulla fascia che attraversa il petto della Madonna: MICHAEL AGELVS BONAROTUS FLOREN FACIEBAT.

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, dettaglio

La Pietà ha subito nel tempo vari danni ed ha quindi subìto anche varie riparazioni e restauri. Ultimo quello del 1972 quando un pazzo urlando “Sono Gesù Cristo” prese a martellate l’opera danneggiandola in varie parti.

Marmo bianco di Carrara scolpito a mano nello Studio Bazzanti, originale postumo da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte II

Il Vasari, nell’ edizione delle “Vite” del 1568 continua:

…Dove in questo tempo consigliato dal Poliziano, uomo nelle lettere singulare, Michelagnolo fece in un pezzo di marmo datogli da quel signore [Lorenzo il Magnifico] la battaglia di Ercole coi centauri, che fu tanto bella che talvolta per chi ora la considera non par di mano di giovane, ma di maestro pregiato e consumato negli studii e pratico in quell’arte. Ella è oggi in casa sua tenuta per memoria di Lionardo suo nipote come cosa rara che ell’è…

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti

Il primo accenno scritto relativo a questo altorilievo è in una lettera inviata dall’ agente dei Gonzaga a Firenze, Giovanni Borromeo, al marchese di Mantova Federico. L’ agente scrive di volere un certo quadro di “figure jude, che combattono, di marmore, quale havea principiato ad istantia di un gran signore [Lorenzo il Magnifico] ma non è finito. E’ braccia uno e mezzo a ogni mane, et così a vedere è cosa bellissima e vi sono più di 25 teste e 20 corpi varii, et varie attitudine fanno.”

LA BATTAGLIA DEI CENTAURI

Questo altorilievo, così come per la Madonna della Scala, furono eseguiti da Michelangelo per suo gusto personale, incitato da Lorenzo il Magnifico, ma senza nessun reale committente. Lo iniziò dopo aver terminato il bassorilievo della Madonna della Scala, ma non riuscì a terminarlo: nel 1492 infatti morì Lorenzo il Magnifico con cui era nato un rapporto filiale; Michelangelo ne fu sconvolto.

Secondo il Vasari il soggetto sarebbe stato la battaglia di Ercole contro i Centauri, mentre il Condivi, nella sua Vita di Michelagnolo Buonarroti scrive che si trattava del ratto di Deianira e la zuffa dei Centauri, probabilmente per la presenza anche di qualche figura femminile: una dietro alla figura centrale in alto e un’ altra all’ estrema destra che strangola un uomo.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio con le teste femminili

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio con un corpo femminile

Dopo l’esperienza nella Madonna della Scala dello stiacciato d’ispirazione Donatelliana, Michelangelo si è voluto cimentare con un altorilievo in cui poter scolpire corpi umani in varie pose e atteggiamenti. La realizzazione dei piani è sicuramente meno riuscita rispetto al bassorilievo della Madonna, forse anche perché il rilievo non venne finito.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, particolare

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, particolare

Non è chiaro se le superfici delle poche figure che sembrerebbero terminate avrebbero ricevuto una successiva lavorazione con raspa e abrasivi per rendere la pelle del marmo liscia e lucida; è più probabile che Michelangelo volesse però lasciarne la superficie con i leggeri segni della gradina, come poi ha fatto in successive altre sue opere.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

L’opera è composta da una massa di figure aggrovigliate difficilmente distinguibili in lotta tra loro che si muovono intorno a quella centrale cha ha il braccio alzato sopra la testa e che rappresenta l’ apice centrale del triangolo ideale che l’insieme dei personaggi compone. A sinistra un uomo interamente raffigurato mentre, torcendosi verso destra sta per scagliare un grosso sasso e altrettanto un vecchio al bordo sinistro si prepara a scagliare un masso.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

A sinistra un gruppo di personaggi che si azzuffano in un inestricabile nodo di corpi e di braccia, in basso i feriti sdraiati e seduti tra cui c’è il corpo di un Centauro.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo si è probabilmente ispirato sia ai sarcofagi romani che probabilmente agli altorilievi del Pulpito del Duomo di Giovanni Pisano; sicuramente però si sarà ispirato al bassorilievo di bronzo fuso a cera persa eseguito nel 1480 da Bertoldo di Giovanni, direttore e insegnante nel Giardino di San Marco dove Michelangelo giovane studiò per alcuni anni.

Sarcofago romano del Portonaccio, 180 d.C.,Pal. Massimo alle Terme, Roma

Giovanni Pisano, Strage degli Innocenti, Pulpito del Duomo, 1310 ca., Pisa

Bertoldo di Giovanni, Battaglia tra romani e barbari, 1480, Bargello

Fusione postuma da calco eseguito sull’originale di Casa Buonarroti dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Esemplare unico in argento al Museo Michelangelo, Battle Ground, WA, USA


Michelangelo, la Madonna di Bruges

Nel 1501 Michelangelo da Roma era tornato a Firenze, e stava lavorando all’esecuzione del grande David. Attraverso il banchiere Jacopo Galli, suo amico e garante, i due fratelli Mouscron mercanti di tessuti fiamminghi, clienti della banca del Galli, commissionarono a Michelangelo la scultura di una Madonna con Bambino per la loro cappella nella chiesa di Nostra Signora di Bruges.

Chiesa di Nostra Signora di Bruges

Chiesa di Nostra Signora di Bruges, facciata

La Madonna di Michelangelo all’interno della chiesa di Nostra Signora di Bruges

La Madonna di Michelangelo nella nicchia all’interno della chiesa di Nostra Signora di Bruges

Il compenso pattuito era di 4.000 fiorini, somma molto alta promessa a Michelangelo probabilmente per convincerlo a trovare il tempo per eseguirla nonostante stesse lavorando ad altre opere; gli furono dati in due pagamenti tra il 1503 e il 1505.

Lo confermerebbe anche il fatto che Michelangelo la scolpì tenendola nascosta fino al momento dell’imbarco a Viareggio verso le Fiandre intorno al 1506. Giovanni Balducci a Roma il 14 agosto del 1506 scriveva a Michelangelo:

…Michelagnolo carissimo, resto avisato chome Francesco del Puglese avrebbe chomodità al mandarla a Vioreggio, e da Vioreggio in Fiandra…

La Madonna di Bruges

Nemmeno i suoi biografi sapevano con esattezza di cosa si trattava: il Condivi pensava fosse una scultura di bronzo, il Vasari che fosse un tondo.
Michelangelo scrisse in questo senso al padre:

…Prego voi che duriate un pocho di fatica in qusta due cose, cio è in fare. Riporre quella cassa [contenente la Madonna] al coperto in luogo sicuro; l’altra è quella nostra Donna di marmo, similmente vorrei la faciessi portare costì in casa e non la lasciassi vedere a persona…

Mentre la scolpiva aveva ancora in mente la precedente sua Pietà Vaticana: lo si capisce in modo particolare dalla somiglianza del volto delle due Madonne, entrambe con lo sguardo rivolto in basso, del velo sulla testa. Il corpo del Bambino presenta una torsione che sembra dovuta al suo scivolare sulla veste della Madre mentre si regge alla sua mano sinistra e si appoggia con i piedi al bordo dell’ abito, quasi volesse scendere dal suo grembo.
La Madonna è invece perfettamente ferma e assorta nel pensiero della terribile fine a cui andrà incontro suo Figlio.

Michelangelo, Madonna di Bruges, dettaglio della Madonna

Michelangelo, Pietà Vaticana, dettaglio

Michelangelo, Madonna di Bruges, dettaglio del Bambino

La Madonna vene prelevata e fatta trasportare a Parigi da Napoleone, e venne restituita nel 1815. Nel 1944 fu trafugata dai nazisti e portata in Germania, fu scoperta nel 1946 nascosta in una miniera ad Altaussee in Austria e fu riportata a Bruges.

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze