LA PORTA BRONZEA BIZANTINA DI SAN PAOLO FUORI LE MURA A ROMA

Questa porta fa parte del gruppo delle porte bronzee eseguite a Costantinopoli e inviate in Italia, riconoscibili per il particolare stile dei disegni delle ageminature dei pannelli, di tipo bizantino ma leggermente occidentalizzante.

Solo pochi anni dopo il 1054, anno in cui ci fu lo scisma tra le chiese orientale e occidentale, nel 1070 a Costantinopoli veniva fusa la porta per la Chiesa di San Paolo fuori le Mura, inviata subito dopo per mare a Roma.
Venne donata da Pantaleone di Amalfi “Consul Malfigenus” come appariva nella scritta dedicatoria sulla porta. Pantaleone, ricchissimo commerciante della fiorente colonia di Amalfi a Costantinopoli, la donò alla basilica di San Paolo a Roma, così come l’ aveva donata alla chiesa di Amalfi, alla basilica di Montecassino e al santuario di Monte Sant’ Angelo.

La porta che vediamo, pur essendo originale, è frutto del restauro del 1966, ed evidenzia come le nelle porte bronzee bizantine tutto si giocava sul disegno delle agemine e non sul volume di parti plastiche, non era richiesta nessuna scultura tridimensionale, perché le ante dovevano essere grandi tavole di metallo giallo oro e lucente “dipinte” con le agemine, e mai patinate, anzi lavate periodicamente per mantenerne la brillantezza (Foto 1, 2, 3).

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Evidentemente lo scisma del 1054 non aveva interrotto gli scambi artistici e commerciali tra Oriente e Occidente, e non aveva intaccato il gusto dell’ ambiente romano per gli oggetti bizantini; tanto che Ildebrando, l’ influente personaggio della cerchia papale, richiedeva appunto a Pantaleone amalfitano console a Costantinopoli la porta di chiaro gusto bizantino.

La porta (alta 5 metri e larga 3,42 metri) era composta, come le altre porte bizantine, da 54 pannelli singoli e separati di ottone, ageminati, dello spessore di circa mezzo centimetro (Foto 4); i pannelli erano fissati alla grande porta di legno con cornici di ottone inchiodate al legno. Si trattava quindi di un rivestimento con pannelli e cornici metallici sul legno (Foto 5,6). Questi pannelli erano fusi con la tecnica “a staffa”, più adatta (e più facile e sbrigativa) ad ottenere lamine sottili piane che non la fusione a cera persa.

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Nel luglio del 1823 la basilica di San Paolo subì un rovinoso incendio che distrusse gran parte dell’ edificio; della porta bronzea furono recuperati quanti più frammenti possibile e conservati in un locale attiguo alla sacrestia. Parte dei pannelli persero l’ argento inserito in origine nei solchi dell’ageminatura (Foto 7, 8, 9, 10).

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La porta presentava due iscrizioni: una bilingue in greco e in siriaco sulla cornice sotto la Crocifissione di San Pietro e ricordava il fonditore Staurakios (“fu fatta per mano mia, di Staurakios il fonditore. Voi che leggete pregate anche per me”) ed è andata perduta nell’ incendio della Basilica (ma ne esiste una copia fedele nel corpus ottocentesco dei disegni di Seroux d’ Agincourt); la seconda è comparsa nel restauro del 1966 e ricorda l’artista Theodoros (“O santi Pietro e Paolo, soccorrete il vostro servo Theodoros che ha disegnato queste porte”).

Un’antica terza iscrizione ci viene dalla “Historia delle Stationi di Roma” del 1588 di Pompeo Ugonio (Foto 11), che aveva visto scritto sulla porta stessa:
Anno 1070. Ab incarnatione Domini, temporibus / Domini Alexandri sanctissimi Papae Quarti, et / Domini Ildebrandi venerabilis Monachi et / Archidiaconi, constructae sunt portae istae / in Regia Urbe Costantinopoli adiu / vante Domino Pantaleone Con / sule, qui illa fieri iussit.” che confermava la costruzione della porta in Costantinopoli nel 1070, ma anche questa iscrizione è andata persa nell’ incendio del 1823.

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LA PORTA DELL’ABBAZIA MONTECASSINO

Desiderio, discendente da famiglia principesca beneventana, divenne abate nel 1058 [Foto 1]. Il monaco cassinense Leone Marsicano nella “Chronica monasterii Casinensis” scriveva che intorno al 1065 l’ abate Desiderio, mentre stava rinnovando architettonicamente il complesso monastico di Montecassino (la ricostruzione richiese 5 anni) fu colpito dalla bellezza dei battenti bronzei della cattedrale di Amalfi [Foto 2,3]:

“poiché i suoi occhi ne rimasero incantati, egli subito dopo inviò a Costantinopoli le misure della porta. Della vecchia chiesa, insieme all’ ordine di eseguire la porta, com’ è oggi. Egli infatti non aveva ancora deciso di ricostruire la chiesa: ecco la ragione per cui la porta risultò così bassa, come rimane tuttora”.

1 – Desiderio dona simbolicamente a S.Benedetto i beni dell’Abbazia di Montecassino 2 – L’Abbazia di Montecassino, E.Gattola, Historia abbatiae Cassinensis, Venezia 1733

3 – L’abbazia di Montecassino prima della distruzione del 1943

È la seconda porta in ordine di tempo, creata a Costantinopoli e fatta pervenire a Montecassino. Come quella di Amalfi, è stata costruita inchiodando pannelli e cornici su un’anima di pesante e spesso legno.

La porta ha in basso due iscrizioni dedicatorie (fiancheggiate da croci piatte analoghe a quelle di Amalfi), la sinistra reca il nome del donatore Mauro di Amalfi e la data 1066 anno della loro esecuzione [Foto 4, 5, 6, 7, 8].

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Sopra a queste le ante sono occupate da 18 pannelli ciascuna dove è inciso l’ elenco dei possedimenti del monastero [Foto 9, 10, 11, 12]. Si nota però che la tipologia delle decorazioni delle porte di Amalfi e di Montecassino è molto diversa: ad Amalfi i quattro pannelli centrali sono ageminati con il Cristo, la Vergine, S. Andrea e S. Pietro, tutti gli altri pannelli ospitano le croci piatte; a Montecassino la porta è in pratica una lunga iscrizione con solo quattro delle croci in basso. E’ molto improbabile che Desiderio avesse richieste 36 pannelli tutti iscritti con i 180 possedimenti di Montecassino. Lo studio di tale elenco ha messo in luce che 26 dei 180 possedimenti iscritti nella porta furono acquistati da Montecassino dopo il 1066, di cui la maggior parte dopo la morte di Desiderio (1087). Ma la forma attuale della porta e la sua datazione sono molto controverse:
la “Chronica monasterii Casinensis” riferisce che nel 1123: “circa in questo periodo l’abate Oderisio ordinò che fosse eseguita la bellissima porta di bronzo all’ entrata della nostra chiesa”, è molto probabile che l’ origine della porta che reca l’ elenco dei possedimenti di Montecassino si debba all’ abate Oderisio II, che resse l’ Abbazia dal 1123 al 1126.

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Quando nel 1944 Montecassino fu bombardato, i pannelli della porta si erano staccati e fu visto che 8 di questi avevano sul retro figure ageminate di santi e profeti [Foto 13,14,15,16,17]: la porta di Desiderio venuta da Costantinopoli, con pannelli ageminati bizantini e di pochissimi anni posteriore a quella di Amalfi, doveva essere stata smontata e rimontata con i pannelli girati su cui si erano incise le scritte con le proprietà del monastero Montecassino; il rimontaggio con pannelli girati e con le iscrizioni è probabilmente quanto nella “Chronica monasterii Casinensis” viene attribuito nel 1123 a Oderisio II.
I due grandi pannelli alla base delle ante, con le croci riportate, furono aggiunti da Desiderio per rendere la porta, ordinata troppo piccola, giusta per la grandezza del vano d’ingresso.

13-Porta ricomposta dopo il bombardamento del 1944

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LA PORTA DEL DUOMO DI AMALFI

Porte bronzee in Italia eseguite a Costantinopoli

Delle dieci porte di bronzo eseguite a Costantinopoli e inviate in Italia solo otto sono ancora nelle sedi originarie: nel Duomo di Amalfi, nell’ Abbaziale di Montecassino, in San Paolo fuori delle Mura a Roma, in San Michele Arcangelo al Monte Sant’ Angelo, in San Salvatore de Birecto ad Atrani (spostata nella collegiata di Santa Maria Maddalena), nel Duomo di Salerno, in San Marco a Venezia nella porta centrale e nella porta di San Clemente; quella del 1099 fatta arrivare in dono da Goffredo di Buglione e posta all’ ingresso della facciata del Duomo di Pisa si è distrutta nell’ incendio del 1595, ed anche quella della Basilica di San Martino a Montecassino (citata nella “Chronica” dell’ Abbazia) è andata persa.
Costantinopoli era il centro di produzione e commercio nel Mediterraneo di prodotti di lusso, ed era particolarmente celebre per la lavorazione dei metalli, ma incredibilmente non è sopravvissuto nessun esemplare simile di porta, né in ambito metropolitano né in nessun’ altra parte dell’ impero; si conoscono solo le sette porte arrivate in Italia.

Mentre le porte carolingie e ottoniane (o anche romaniche) sono realizzate in fusione massiccia, quelle bizantine sono costituite da pannelli sottili (spessi 3 millimetri circa) separati e fissati con chiodi ad una anima di legno; i singoli pannelli venivano ingabbiati da cornici (piatte, come nel Duomo di Amalfi o semitonde o a cordone) [Foto 1] modulari i cui pezzi venivano anch’ essi imbullettati sul legno: in definitiva erano porte di legno rivestite con sottili pannelli e cornici di ottone.

Foto 1

Le porte bizantine non presentano parti in rilievo, ad eccezione delle teste leonine reggi-battente, l’intento è quello di creare una superficie brillante di tipo pittorico e non plastico, come invece sarà quella delle porte medievali create Occidente.

La Porta di Amalfi

La prima porta del gruppo è stata quella del duomo di Amalfi, commissionata intorno al 1060 dal ricchissimo nobile amalfitano Pantaleone de Comite Maurone che si era stabilito nella colonia mercantile costantinopolitana fondata dagli amalfitani nel IX secolo; personaggio più autorevole della colonia, era stato insignito dalla corte imperiale bizantina dei titoli di “hypatos” e “dishypatos”, cioè console e nuovamente console.

Pantaleone la donò al duomo della sua città d’origine, dedicando la porta a Sant’Andrea per il perdono dei suoi peccati e la redenzione della sua anima, come appare dalla scritta incisa sulla croce nella formella sottostante quella di Sant’ Andrea insieme alla sua discendenza familiare [Foto 2,3]. Sappiamo che sulla croce nella formella sottostante quella di San Pietro (andata persa e sostituita con una croce liscia) era incisa la scritta in latino e in greco col nome del fonditore Simeone.

Foto 2 Foto 3

Consiste in ventiquattro pannelli di ottone (non si tratta di vero e proprio bronzo ma di ottone in quanto la lega contiene alte percentuali di zinco): le porte bizantine erano normalmente fuse in ottone che grazie al suo colore giallo risplendevano di riflessi dorati e per questo non venivano patinate ma anzi continuamente lavate per mantenerle brillanti. Di questi, venti pannelli hanno applicate delle croci piatte e lisce di basso spessore fuse probabilmente a sabbia, fermate ognuna con quattro perni dalla testa semisferica [Foto 4].

Foto 4

I quattro pannelli centrali [Foto 5,6] invece hanno figure ageminate in rame e argento di Cristo [Foto 7] e della Vergine in alto [Foto 8], di Sant’ Andrea [Foto 9] e San Pietro [Foto 10] in basso, sotto archi sostenuti da due colonne. L’ incisione per l’ agemina è stato eseguito a freddo sulle lastre lisce dei pannelli già fuse anch’esse a sabbia.

Foto 5 Foto 6
Foto 7 Foto 8
Foto 9 Foto 10

Sono stati applicate 6 teste di leone reggi-battente, unici elementi in rilievo plastico di tutta l’ opera [Foto 11, 12].

Foto 11 Foto 12

Le antiche porte di bronzo in Italia

Parte 2

La Porta del Tempio di Romolo al Foro Romano chiudeva il monumento rotondo preesistente che l’ imperatore Massenzio nel 309 d.C. trasformò nel tempio del figlio Valerio Romolo, ed è coeva (Foto 1,2). E’ costituita da due battenti completamente fusi in bronzo alti 4,92 metri e larghi 3,16 metri, ed era decorata da borchie di bronzo, andate perse. (Foto 3,4)

I montanti del telaio sono costituiti da due lastre di bronzo intere (esterna ed interna) unite con tasselli a coda di rondine; i pannelli centrali sono lastre uniche piene spesse 5 mm.

1-Foro Romano,Tempio del Divo Romolo 2-Foro Romano,Tempio del Divo Romolo
3-Porta del Tempio del Divo Romolo 4-Porta del Tempio del Divo Romolo

La porta proveniva dalla Cura Iulia, antica sede del Senato Romano, edificata da Ottaviano nel 29 a.C. che nel 630 il papa Onorio trasformò in chiesa col nome di Sant’ Adriano al Foro; venne fatta trasportare dal papa Alessandro VII Chigi e riadattare dal Borromini per sistemarla all’ ingresso della Basilica di S. Giovanni in Laterano (Foto 5).

Esistono vari disegni della porta quando ancora era nella chiesa di Sant’ Adriano al Foro: di Giuiano da Sangallo di fine ‘400, di Antonio Labacco del 1528, di Etienne Duperac del 1575, di Aloisio Giovannoli del 1615 (Foto 6,7,8,9,10).

5-Basilica di S. Giovanni in Laterano, facciata

6-Giuliano da Sangallo, disegno della porta bronzea di S. Adriano al Foro, fine ‘400, Bib. Apostolica Vaticana 7-Francesco Borromini, disegno della porta di S. Adriano al Foro 8-Antonio Labacco, disegno della porta bronzea di S. Adriano al Foro, 1528

9-Etienne Duperac, S. Adriano al Foro, 1575.

10-Aloisio Giovannoli, S. Adriano al Foro, 1615

Dal Diario del papa Alessandro VII sappiamo che “dì 27 di maggio 1656 furono levate le porte per la nuova fabbrica” e, continua il papa “la porta che fu di S. Adriano si dia al P. e Virgilio Spada [intermediario tra il papa e il Borromini] che la faccia aggiustar al Cav. e Borromino con più bronzo o almeno rame”. La porta quindi ha subìto dal Borromini vari aggiustamenti di misura e di decorazione rispetto all’originale romano, e per il rimontaggio con misure diverse è stato creata un’anima di legno a cui le lamiere sono state attaccate (Foto 11,12,13).

11-S. Giovanni in Laterano, porta romana bronzea modificata dal Borromini 12-S. Giovanni in Laterano, porta romana bronzea modificata dal Borromini 13-S. Giovanni in Laterano, porta romana bronzea modificata dal Borromini, dettaglio

Altra porta bronzea di origine romana antica riusata nella Basilica di S. Giovanni in Laterano è quella, di cui si hanno poche notizie, dell’ oratorio della Cappella detta Sancta Sanctorum (Foto 14): Onofrio Panvino nel “De praecipuis urbis Romae sanctioribusque basiicis, quas Septem ecclesias vulgo vocant” del 1570, ci dice che l’ Oratorio dedicato a S. Lorenzo presentava valve in bronzo di mirabile fattura, e ce lo dice alcuni anni prima della sistemazione attuata tra il 1586 e il 1589 al complesso lateranense dal papa Sisto V; tale risistemazione non alterò la fisionomia dell’oratorio e quindi possiamo dire che la porta è rimasta com’era in antico.

14-S. Giovanni in Laterano, Cappella di San Lorenzo detta Sancta Sanctorum

E’ costituita da due battenti formati da lastre di bronzo piene con montanti di 3,4 cm di spessore e da pannelli spessi 7 mm; è alta 2,42 metri e larga in basso 1,15 metri mentre in alto è larga 1,10 metri. I chiavistelli indicano una riutilizzazione di epoca medievale probabilmente durante i lavori di Innocenzo III (1198-1216) (Foto 15,16).

15-S. Giovanni in Laterano, Porta (recto) della Cappella di San Lorenzo detta Sancta Sanctorum. 16-S. Giovanni in Laterano, Porta (verso) della Cappella di San Lorenzo detta Sancta Sanctorum.

Un’ulteriore porta romana tardo antica è quella dell’oratorio di San Giovanni Battista nel Battistero Lateranense, costruito nei primi anni del 300 d.C. da Costantino I (Foto 17). Dopo il saccheggio dei Visigoti di Alarico del 410 e poi dei Vandali di Genserico del 455, papa Ilaro donò all’ oratorio tra il 461 e il 468 molti arredi; questa è l’ unica delle porte rimaste e risale quindi a tali date ed è tuttora inserita nell’incorniciatura marmorea del tempo di papa Ilario; le due ante di bronzo massiccio misurano 255 x 84 centimetri ciascuna e sono spartire in specchiature rettangolari con profili modanati, prive delle decorazioni applicate a freddo presenti in origine sulle cornici come le borchie, di cui restano chiare tracce.

17-Battistero Lateranense

Le due specchiature superiori presentano un partito a squame (in uso a Roma fin dal I secolo) con archetti rilevati, all’ interno dei quali è presente una piccola croce d’ argento ad agemina. Una scritta in agemina dedicatoria al papa Ilario è presente sullo specchio liscio di entrambe le ante. (Foto 18,19,20,21,22,23,24,25)

18-Ingresso al Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista 19-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, parte posteriore 20-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, parte anteriore
21-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, anta sinistra, speccchio superiore 22-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, anta sinistra, specchio inferiore
23-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, anta sinistra, specchio inferiore, dettaglio 24-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea di papa Ilaro, 461-468, speccchio superiore, dettaglio

25-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, ricostruzione di dettaglio della porta bronzea di papa Ilaro, 461-468

Se la cornice marmorea d’ ingresso all’ oratorio di San Giovanni Evangelista del Battistero Lateranense del tempo di papa Ilaro, uguale a quella dell’ oratorio di San Giovanni Battista, è rimasta originale, la porta bronzea del 461-468 che ospitava è andata persa. Al suo posto c’ è la medievale porta in bronzo datata 1195 voluta da papa Celestino III e fatta eseguire dal cardinale Cencio Savelli futuro papa Onorio III.
I suoi autori hanno lasciato la loro firma all’ interno degli archi incisi in basso a sinistra dell’ anta sinistra: Pietro e Uberto da Piacenza, artefici anche della porta simile, eseguita nel 1196, posta oggi nel chiostro della Basilica Lateranense in corrispondenza del passaggio alla sacrestia. Sullo specchio superiore dell’ anta sinistra di quest’ ultima porta appare la scritta con la data e il nome del papa Celestino III. (Foto 26,27,28,29,30,31,32)

26-Ingresso al Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Evangelista 27-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea dell’ oratorio di S. Giovanni Evangelista, 1195 28-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea dell’ oratorio di S. Giovanni Evangelista, 1195, dettaglio del’ anta sinistra
29-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, parte posteriore della porta bronzea dell’ oratorio di S. Giovanni Evangelista 30-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea del passaggio alla sacrestia, 1195

31-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, porta bronzea del passaggio alla sacrestia, specchiatura superiore dell’anta sinistra

32-Battistero Lateranense oratorio San Giovanni Battista, parte posteriore della porta bronzea del passaggio alla sacrestia


Il Cesello

Parte 2

I martelli da cesello sono diversi dai martelli comuni, sono di forma diversa (Foto 1), di diverso peso (generalmente intorno ai 100 grammi, manico incluso) a testa piatta e larga (Foto 2) che viene consumata per il continuo battere sul ferro (Foto 3), e di speciale equilibratura tale da affaticare il meno possibile la mano del cesellatore che deve battere continuamente sul ferro da cesello per intere giornate di lavoro (Foto 4).

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Foto 3

Foto 4

Il ferro viene tenuto tra il pollice, indice e medio, mentre l’anulare poggia con forza sulla superficie da cesellare (Foto 5,6).
Per la cesellatura, le sculture di grandi dimensioni vengono fissate su sostegni di legno; le sculture medio piccole invece vengono fermate dalle ganasce delle speciali “morse da cesello” (le morse nelle immagini risalgono agli anni ’30 del Novecento (Foto 7,8)) che hanno la caratteristica di scaricare a terra i continui colpi creati dal battere del ferro nella cesellatura; le morse hanno delle ganasce di piombo che permettono di stringere e bloccare la scultura in bronzo senza causare graffi o scalfitture.

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Queste morse sono applicate a robusti bachi da lavoro (Foto 9,10,11) rimasti uguali dai primi del ‘900 ad oggi.

Uno dei problemi che cesellare il bronzo comporta è il rumore: un continuo “den den” ad alto volume che dura per molte ore, con pochi intervalli di pace (come si può sentire nei due video di seguito in cui è stato volutamente diminuito il volume del rumore), e che obbliga i cesellatori all’ uso di cuffie antirumore.
Nella Fonderia Ferdinando Marinelli di Rifredi, aperta nel 1919 tra le abitazioni, hanno continuato a cesellare in contemporanea tutti i giorni dai 3 ai 5 cesellatori. E proprio questo rumore è stato uno dei motivi che ci ha spinto a creare una nuova fonderia nella campagna di Barberino Val d’ Elsa in cui ci siamo spostati nel 2000.

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Nella formella della Porta del Paradiso in fase di cesello (Foto 12) le figure in alto sono state cesellate, quelle al centro sono a metà cesellatura, quelle in basso sono appena iniziate. Il cesello si esegue anche su fusioni di grandi dimensioni, come sulla testa di uno dei personaggi del ratto delle Sabine del Giambologna (Foto 13) e anche su quella del David di Michelangelo (Foto 14).

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Foto 14

Il bordo inferiore del gonnellino del David del Verrocchio presenta un nastro con scrittura pseudo-cufica (molto di moda nel Rinascimento) eseguito a cesello (Foto 15,16). Le sottili masse dei capelli nella testa della Diana Cacciatrice del Museo Vaticano dimostrano il cesello eseguito con uno “spianatoio” (Foto 17,18).

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Foto 18


Le antiche porte di bronzo in Italia

Parte I

Porte di metallo, o meglio “foderate” di metallo, sono note fin dai tempi più antichi; Omero nell’ Odissea ci descrive quelle del palazzo di Alcinoo:

“Il palazzo di Alcinoo emanava una grande luce come se fosse un sole o una luna. Dalla soglia, lungo tutte le pareti, il muro era foderato di bronzo con, in alto, fregi smaltati di colore celeste. Le porte erano d’oro e la soglia aveva stipiti di argento, l’architrave era d’argento e le maniglie d’oro”.

Nella tomba di Rekmire a Tebe (1400 a.C. ca.) è dipinta un’ officina di bronzisti che colano bronzo fuso per fabbricare la porta del tempio di Amon, e in bronzo erano anche le porta di Babilonia, la porta del tempio di Zeus ad Olimpia, quella di bronzo dell’Arsenale del Pireo.
Gli Assiri nell’ 850 a.C. circa avevano decorato la porta lignea del palazzo del re Salmanassar III a Imgur-Enlil rivestendola con fasce di bronzo scolpite fissate con chiodi al legno (Foto 1,2,3)

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Le porte degli edifici pubblici in età romana erano prevalentemente di bronzo (Vitruvio ne definisce la tipologia (De architectura, lib. IV, cap. IV). Tra quelle che a Roma sono rimaste le più note sono la porta del Pantheon del II secolo d.C., quella del Tempio di Romolo al Foro Romano, la porta della Curia Iulia d’età di Domiziano che il Borromini rimpiegava per S. Giovanni in Laterano e che venne ingrandita e decorata con nuove borchie e tralci.

In epoca tardo antica ci sono, tutte di riuso, la porta di Papa Ilaro (460 d.C.) nell’oratorio di San Giovanni Battista nel Battistero Lateranense, quella di San Giovanni Evangelista nello stesso Battistero, quella nel chiostro di San Giovanni in Laterano e quella nella cappella della Scala Santa.

La porta del Pantheon, del 120 d.C. ca., è la più grande, alta 7,53 metri e larga 4,45 circa; è una porta di legno rivestita da lamiere di bronzo spesse 4 cm, fuse probabilmente con getto in forma orizzontale aperta che permettesse fusioni lastre di grandi dimensioni e di grande spessore (Foto 4,5,6,7,8,9)

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Nel 1520 Papa Medici Leone X promuoveva il restauro del Pantheon e della sua porta, nel 1555 Papa Pio IV “fece nettare la porta di metallo per la vecchiezza arrugginita” e sostituire 182 borchie di bronzo; Pompeo Ugonio, Canonico della Basilica Vaticana, agli inizi del ‘600 ci dice che queste porte erano “indorate con i cancelli di sopra simili”; fortunatamente nella spoliazione operata da Papa Urbano VIII nel 1625 dei rivestimenti di bronzo dorato delle travi del pronao per far fondere 80 cannoni per Castel S. Angelo e le colonne tortili per l’altare di San Pietro, la porta non fu rifusa (Foto 10,11,12)

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La porta del Pantheon viene rappresentato in pittura dalla metà del ‘400, come nel cassone di Apollonio di Giovanni con le storie di Didone ed Enea dell’ Art Gallery della Yale University datata 1450 ca. dove sono rappresentate le due ante, a tre specchi e in giallo, probabilmente dorate, ma che riempiono tutto il vano dell’ apertura senza la parte superiore grigliata. Intorno al 1500 Simone del Pollaiolo la disegna ad un’ unica anta, ma con la griglia superiore; finalmente Raffaello la disegna nel 1508 così com’ è ancora oggi, tranne che per le borchie e i decori. (Foto 13,14,15,16,17)

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Il Cesello

Parte I

Nella fusione a cera persa in bronzo la cesellatura è un’importante fase di lavorazione della superficie delle sculture; la si esegue con dei particolari utensili chiamati “ferri da cesello”.
I ferri da cesello sono dei piccoli scalpelli (detti solo “ceselli” o “ferri”) in acciaio a sezione quadrata o tonda, con la testa (la parte in contatto con il metallo) di forme diverse, mentre il capo opposto è destinato a ricevere i colpi del martello. (Foto 1,2,3)

Foto 1

Foto 2 Foto 3

Questo perché i ferri da cesello vengono normalmente utilizzati per definire e rifinire con estrema minuzia i particolari delle fusioni in bronzo. Possono mettere in risalto parti che in fusione sono riuscite meno evidenti del voluto (Foto 4,5),

Foto 4 Foto 5

o anche creare ex novo dettagli sul bronzo che non erano stati modellati sulla cera prima della fusione (Foto 6,7); in alcuni casi per schiacciare e ribattere (col ferro chiamato “spianatoio”) zone lisce del bronzo che presentano lievi imperfezioni o piccoli forellini che verranno così tappati e spariranno.

Foto 6 Foto 7

Questi tocchi di lavorazione a freddo migliorano la qualità scultorea complessiva, evidenziando il gioco di luci e ombre, creando maggiore profondità in alcune cavità e allo stesso tempo rendendo più netti i bordi.
I principali ferri sono il profilatore (Foto 8,9), l’unghietta (Foto 10) e lo spianatoio (Foto 11).

Foto 8 Foto 9
Foto 10 Foto 11

Possono essere di diversa grandezza e misura: l’unghietta è usata per tracciare linee curve, il profilatore per le linee diritte, gli spianatoi per spianare la superficie intorno al disegno oltre che schiacciare zone porose del bronzo. Ci sono anche dei ferri che hanno disegni vari sulla testa per poterli imprimere sulla superfice della scultura (Foto 12), altri con puntini o stellette (Foto 13) come quelle impresse sulla parte alta del guerriero di spalle (Foto 14).

Foto 12 Foto 13

Foto 14

Tutti i ferri sono sempre lucidi e sfrangiati sul capo per il continuo battere su di esso del martello, che li schiaccia creandovi dei riccioli di metallo (Foto 15).

Foto 15


Monumento alla Vittoria

Nel 1925 fu indetto un concorso nazionale per l’esecuzione a Forlì di un “Monumento alla Vittoria” da inaugurarsi il 30 ottobre del 1932, decimo anniversario della “rivoluzione fascista”.

Il concorso venne vinto da un personaggio gradito al regime, l’architetto e ingegnere Cesare Bazzani il quale volle creare un monumento che rispetto agli altri avesse la particolarità di poter avere due lati principali su cui accogliere cerimonie, uno rivolto verso il giardino pubblico e l’altro verso la stazione; questa caratteristica venne sottolineata anche da Mussolini nel discorso d’inaugurazione che pronunciò dal balcone del palazzo del Governo di piazza Saffi dicendo del monumento “…da una parte la pietà per i caduti, dall’ altra l’ esaltazione fiera della vittoria…”, per cui l’intera opera fu chiamata anche Monumento ai Caduti.

Architetto Cesare Bazzani

Il Bazzani progettò una importante struttura architettonica composita completamente rivestita in marmo di Trani, alto in tutto 32 metri: un basamento rialzato con i lati minori tondi, su cui insistono tre elementi: al centro una colonna dorica alta 22 metri la cui base contiene una piccola cappella in cui si entra da una porta di ferro: dal soffitto della cappella si accede alla scala a chiocciola contenuta all’ interno della colonna, che arriva fino alla sommità di questa; la scala prende luce da due piccole aperture presenti sulla colonna stessa. Ai lati due parallelepipedi decorati da due bassorilievi ciascuno, eseguiti da Bernardino Boifava, che raffigurano i momenti fondamentali della vita degli eroi, cioè l’attacco, la difesa, il sacrificio e il trionfo, e che sui lati che guardano verso il piazzale, una fontana con un moderno che rappresentano il sacrificio della Vittoria.

Monumento alla Vittoria

Monumento alla Vittoria, parte basale

Monumento alla Vittoria Veduta dei primi anni 30
Preparazione dell’inaugurazione di Mussolini, Scultura in bassorilievo su uno dei due parallelepipedi Scultura in bassorilievo su uno dei due parallelepipedi
Una delle due fontane laterali Mascherone di una fontana

In alto il capitello della colonna ospita una base rotonda decorata su cui è collocato un importante gruppo scultoreo bronzeo di tre figure femminili alate che rappresentano il cielo, la terra e il mare.
Il modello venne eseguito dallo scultore Bernardo Morescalchi che affidò la fusione alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze. Il Marescalchi aveva lavorato in precedenza con la Fonderia Artistica Marinelli per la fusione di opere di grandi dimensioni, come i Cavalli di Forlì.

Le due piccole finestre lucifere per la scala interna Finestra lucifera sulla sommità della colonna Bronzo del Monumento alla Vittoria
Bronzo del Monumento alla Vittoria Bronzo del Monumento alla Vittoria Bronzo del Monumento alla Vittoria, particolare
Monumento alla Vittoria, particolare Firma della Fonderia Artistica Marinelli di Firenze sulla base dei bronzi

Il Monumento alla Vittoria nella Fonderia Marinelli di Firernze in attesa di venir imballato

Uno dei due Cavalli modellati da Morescalchi e fusi dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze Uno dei due Cavalli modellati da Morescalchi e fusi dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze

Nell’ottobre del 1932 Mussolini inaugurò ufficialmente il monumento con una grande cerimonia e col discorso dal balcone del Palazzo del Governo.
Successivamente, nel giugno del 1938 fu il Re Vittorio Emanuele III che visitando Forlì si soffermo ai piedi del monumento deponendo una corona.

Visita di Mussolini per l’inaugurazione del monumento Mussolini visita i cantieri del Monumento alla Vittoria

Visita di Mussolini per l’inaugurazione del monumento

Discorso di Mussolini dalla terrazza del Palazzo del Governo a Forlì

Ricercando negli archivi della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli è apparsa una lettera, datata 28 aprile 1923, successiva all’ inaugurazione del Monumento che la Fonderia scriveva al Podestà di Forlì, in cui veniva richiesto il pagamento per “le lettere per il monumento la Vittoria”, di cui era ancora creditrice. Si tratta delle lettere della scritta applicata in alto sotto il capitello della base dei bronzi.

Lettera della Fonderia Ferdinando Marinelli

Nell’ anno 2024 il Comune di Forlì ha previsto un sopralluogo per monitorarne la “salute”, seguìto dallo Studio Tecnico Nerodichina di Forlì con l’architetto Giancarlo Gatta. Le Vittorie alate hanno presentato spacchi e rotture; ma la cosa più particolare sono stati una serie di fori che in un primo momento hanno lasciato nel dubbio gli studiosi e solo dopo un colloquio tra l’architetto Gatta e Ferdinando Marinelli Jr. gestore della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli si è capito essere dovuti a proiettili dell’ ultima guerra.

La scritta di lettere bronzee sotto il capitello della colonna, dettaglio

La scritta di lettere bronzee sotto il capitello della colonna

Sopralluogo sul Monumento 2024

Sopralluogo sul Monumento 2024

Fori di proiettili

Fori di proiettili

Fori di proiettili

Fori di proiettili


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte IV

La seconda scultura che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico a Bologna è il SAN PROCOLO, alto poco meno di 60 centimetri.
Lo rappresentò per quello che era, cioè un forte soldato romano cristiano martirizzato a Bologna dai Romani al tempo di Diocleziano: la tunica corta dei soldati chiusa in vita dalla cintura, il mantello, alti calzari e molto probabilmente una lancia nella mano destra che è andata persa.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna

Anche in quest’opera è chiaro lo stile michelangiolesco, figura solida, volto accigliato, atteggiamento teso e sicuro evidenziato dal modo di tenere il mantello sulla spalla sinistra, non più delicata e femminea come le figure del Rinascimento.

Nel 1572 fra Ludovico da Prelormo custode dell’ Arca scrive:

“La vigilia del padre San Domenico il povero sventurato fra’ Pelegrino converso roppe la statua di San Procolo, la gettò a terra in più di cinquanta pezzi. Io né ho mai avuto in ottanta anni il più intenso dolore al cuore di questo. Mi credeva certo di morire; vennero i Padri tutti a confortarmi, e molti maestri periti ne l’arte, e così la portarono via e fu aconzia [aggiustata] alla foggia al presente si vede.”

E infatti la figura presenta una serie di rotture più o meno restaurate; chiara quella della testa riattaccata grossolanamente.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La terza delle sculture che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico è quella di SAN PETRONIO, vescovo e patrono di Bologna, posto al centro dell’Arca tra gli altri due santi precedentemente eseguiti da Niccolò dell’Arca

Arca di San Domenico, Bologna

Il Santo guarda davanti a se, porta la tiara e un lungo mantello dalla caotiche ma studiatissime pieghe chiuso da un fermaglio davanti al petto, più complesse dei mantelli degli altri due Santi.
Il volto è riconoscibilissimo come opera di Michelangelo.

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La caratteristica particolare è la città di Bologna che tiene in alto tra le mani, sostenendone il peso a fatica sbilanciando l’anca e tendendo i tendini dei polsi; Michelangelo si è ispirato alla statua dello stesso Santo eseguita da Jacopo della Quercia e posta sulla porta centrale della basilica di San Petronio di Bologna, ma in controparte.

Michelangelo, San Procolo, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Michelangelo, San Petronio, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo, Il Bacco

Il Vasari nelle Vite, riferendosi a Michelangelo, scrive di:

…un Dio d’amore, d’età di sei anni in sette, à iacere in guisa d’huom che dorma…

alludendo alla statuetta di marmo che Michelangelo aveva scolpito nel 1496 al suo ritorno a Firenze, quando venne nuovamente ospitato da Lorenzo dei Medici il Popolano, cugino di Lorenzo il Magnifico.

Lorenzo dei Medici il Popolano, Botticelli, 1479, Palazzo Pitti.

Ne abbiamo notizia anche grazie ad una lettera di Antonio Maria Pico della Mirandola del 1496 a Isabella d’Este, dove scrive:

… Un Cupido che giace e dorme posato su una mano: è integro ed è lungo circa 4 spanne, ed è bellissimo; c’è chi lo ritiene antico e chi moderno; comunque sia, è ritenuto ed è perfettissimo.

La statua era lunga “quattro spanne”, cioè circa 80 cm, ma è andata persa, e la proposta identificazione con il Cupido Dormiente conservato al Museo del palazzo San Sebastiano a Mantova è molto discussa e improbabile.

Cupido dormiente, Museo della città di Palazzo San Sebastiano

Gli era stata commissionata dal Medici. Era il 1496, anno in cui il Savonarola e i suoi seguaci censuravano ogni opera d’ arte considerata licenziosa; fu così che il Putto venne portato a Roma e sotterrato in una vigna per renderlo “antico” e venderlo come reperto romano. Probabilmente Michelangelo ne era all’ oscuro.
Il trucco riuscì, tanto che venne acquistato da Raffaele Riario cardinale di San Giorgio, celebre collezionista d’ arte, tramite l’ intermediario Baldassare del Milanese per 200 ducati. Ma il Milanese portò a Michelangelo solamente un acconto di 20 ducati.

Cardinale Raffaele Riario (al centro), Raffaello, 1512, Messa di Bolsena, Stanze Vaticane

Il Riario si si rese conto di essere stato truffato, ma l’opera era cosi perfetta che invece di rivolere indietro il denaro volle conoscere l’artista che l’aveva scolpito. Mandò quindi a Firenze il banchiere suo amico Jacopo Galli perché portasse a Roma l’autore del Putto. Il Galli convinse Michelangelo, ignaro del raggiro, che arrivato a Roma al cospetto del cardinale con una lettera di presentazione di Lorenzo dei Medici il Popolano, avendo avuto a Firenze solo 20 scudi, rivoleva indietro la sua scultura.
Il Riario si arrabbiò furiosamente con Michelangelo dicendo che l’aveva pagata ed era sua.
Fu con questa vicenda che Michelangelo vide aprirsi a Roma un nuovo mondo di lavoro in gran parte tramite il Galli, banchiere molto importante e influente, che lo ospitò nel suo palazzo.

Il Bacco

E infatti qualche giorno le cose cominciarono ad andare meglio: il 4 luglio del 1496 il cardinale Riario gli chiese di scolpire per lui un opera pagana, il BACCO. Lo eseguì in un anno, consegnandolo nel 1497.
La divinità mitologica è rappresentata in modo naturalistico con l’incedere insicuro di un giovane dio ebbro di vino, la posa a contrapposto è leggermente sbilanciata, la testa piegata e gli occhi stravolti dal liquore, il corpo è morbido e leggermente femmineo evidenziata anche dalla pancia leggermente gonfia a causa anche del bere. Tiene in mano la coppa del vino, e tra i riccioli pendono due grappoli d’uva. Con l’altra mano regge la pelle di leopardo, animale caro al dio.

Nascosto dietro di lui un giovane satiro appoggiato alla gamba sinistra in posa seducente mangia l’uva seduto su un tronco d’albero reciso. Il bellissimo satiro ha anche una funzione di sostegno e di rinforzo dell’opera il cui peso scarica sulla gamba su cui il satiro poggia.

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Il cardinale Riario rifiutò l’opera, tropo poco simile alle raffigurazioni romane di Dioniso e quindi troppo lasciva per un membro della Chiesa.
la ritirò con molto piacere il banchiere Galli che la posizionò al centro del suo giardino. Il pittore olandese Maarten Van Heemserck vide l’opera nel giardino del Riario nel 1532 e ne fece il disegno. La coppa e la mano destra appaiono mancanti e anche il pene sembra sia stato rotto: la mano e la coppa che si vedono oggi sono un’integrazione antica.

Disegno di Maarten van Heemskerck, 1535, Il Bacco nella collezione di opere antiche del Riario

Il Bacco è conservato ed esposto al Museo del Bargello.

Il Bacco di Michelangelo esposto al Museo del Bargello

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze