Michelangelo e i 12 apostoli

Mentre Michelangelo era alle prese con la colossale scultura del David, il 24 aprile del 1503 l’ Opera del Duomo gli commissionò un’ altro importante lavoro: l’esecuzione di 12 Apostoli in marmo per ornare le nicchie dei pilastri sotto la cupola del Duomo in grandezza “eroica”, cioè alti circa due metri e venti. Michelangelo avrebbe dovuto consegnarne uno l’anno.
L’arrivo dei blocchi di marmo dalle cave di Carrara avvenne tra il 1504 e il 1505, e il primo ad essere iniziato fu il San Matteo. Riuscì a sbozzarne solo una parte e nel 1505 ripartì per Roma, rescindendo il 18 dicembre 1505 il contratto di allogagione. Potrebbe comunque aver ripreso provvisoriamente in mano il lavoro nel 1506, al suo ritorno a Firenze dopo il litigio col papa Giulio II e la sua fuga da Roma.

Michelangelo, San Matteo, Galleria dell’ Accademia

Michelangelo, San Matteo, Galleria dell’ Accademia, particolari

Raffaello, venuto a Firenze il 1504 e rimastovi fino al 1508 fu fortemente colpito dal San Matteo di Michelangelo, tanto da farne un disegno di studio.

Raffaello, Studio del San Matteo di Michelangelo, British Museum, Londra

Il santo è un personaggio potente, vigoroso, col volto accigliato, e sembra uscire dal blocco non ancora scolpito portando avanti una gamba nuda con una torsione verso sinistra; ha il petto attraversato da una fascia (che avrà visto nello studiare il Sacrificio d’ Isacco di Donatello del 1421) così come la Madonna nella Pietà Vaticana e il Fanciullo Arciere dell’ Ambasciata Francese di New York.

Donatello, Sacrifico d’Isacco, 1421, Museo Opera del Duomo

Il Vasari nelle sue Vite. Scrive:

…Così abbozzata mostra la sua perfezione, ed insegna agli scultori in che maniera si cavano le figure de’ marmi, che senza venghino storpiate, per poter sempre guadagnare col giudizio, levando del marmo, ed avervi da potersi ritrarre e mutare qualcosa, come accade , se bisognassi…

Il San Matteo è conservato al Museo dell’Accademia di Firenze.

La tecnica del "non finito"

Michelangelo si era impossessato della tecnica scultorea del “non finito” fin dalla sua a prima opera, la Madonna della Scala, eseguita nel 1491, a 16 anni.

Madonna della Scala

Madonna della Scala, dettaglio

Questa tecnica presuppone che l’ opera in cui viene applicata sia stata terminata, perché Michelangelo ha lasciato alcune sue opere incompiute, e in questi casi ovviamente non siamo difronte alla “tecnica a non finito”.
Ma anche dove tale tecnica è stata volutamente eseguita, si possono distinguere differenti modalità. Nello stiacciato donatelliano della Madonna della Scala i due putti in alto sono volutamente appena accennati, creando nello spettatore alcuni sottili stati d’ animo: l’ attenzione viene indirizzata sulle parti definite della scultura e il senso impressionistico rende sconosciuto e fascinoso il loro agire, lascia allo spettorare la possibilità di vedere qualcosa che non è completamente formato, di “proiettare” cioè su di essi quello che la sua immaginazione gli detta. Queste caratteristiche fanno nascere il senso di mistero che alla fine si riverbera su tutta l’ opera.
Tale tecnica verrà fatta propria dai pittori impressionisti dell’ ‘800, e ci permette di capire quanto la scultura di Michelangelo, nel ‘500, fosse “moderna” e innovativa.
Michelangelo ha usato questa stessa tecnica ma in maniera più pesante e profonda in altri suoi capolavori, dove crea un senso di sospensione delle figure in attesa di nascere, ancora in parte imprigionate nella materia; l’ esempio più chiaro lo si ha nei quattro Prigioni,

Michelangelo, Prigione Barbuto, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, Prigione “Atlante”, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, Prigione che si desta, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, Prigione giovane, Galleria dell’Accademia

che se è vero che non furono terminati, è altrettanto vero che Michelangelo ha eseguito lo sbozzo dei loro blocchi di marmo in modo particolare e non ortodosso, probabilmente per fermare meravigliosamente il momento della liberazione dell’ anima delle sculture dalla materia; si entra quindi con i prigioni nel dubbio: non terminati ma anche in parte eseguiti con molto “non finito”?
Dubbio in quanto i due Schiavi eseguiti nel 1513-1515, prima dei Prigioni scolpiti nel 1525-1530, furono considerati terminati e finiti; ma nel volto dello Schiavo Ribelle la tecnica del “non finito” appare in modo evidentissimo nel volto.

Michelangelo, Schiavo Ribelle, Museo del Louvre

Questo dubbio nasce con forza anche nella Pietà Bandini, gruppo che sappiamo mai del tutto terminato da Michelangelo. Ma i diversi livelli di “non finito” del corpo e del volto di Maria (in contrasto con la politezza del corpo di Cristo ma non del suo volto né della sua mano sinistra), del busto di Nicodemo non ci permettono di avere una risposta certa.

Pietà Bandini

Pietà Bandini, dettaglio

Pietà Bandini, dettaglio

Anche l’uso della sagrina per finire le superfici di alcune sue opere, come nei corpi del Tondo Pitti ad esempio, ci riportano ad un uso sottile del “non finito” voluto e ricercato da Michelangelo in tutte le sue possibilità.

Tondo Pitti

Tondo Pitti, dettaglio


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte IV

La seconda scultura che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico a Bologna è il SAN PROCOLO, alto poco meno di 60 centimetri.
Lo rappresentò per quello che era, cioè un forte soldato romano cristiano martirizzato a Bologna dai Romani al tempo di Diocleziano: la tunica corta dei soldati chiusa in vita dalla cintura, il mantello, alti calzari e molto probabilmente una lancia nella mano destra che è andata persa.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna

Anche in quest’opera è chiaro lo stile michelangiolesco, figura solida, volto accigliato, atteggiamento teso e sicuro evidenziato dal modo di tenere il mantello sulla spalla sinistra, non più delicata e femminea come le figure del Rinascimento.

Nel 1572 fra Ludovico da Prelormo custode dell’ Arca scrive:

“La vigilia del padre San Domenico il povero sventurato fra’ Pelegrino converso roppe la statua di San Procolo, la gettò a terra in più di cinquanta pezzi. Io né ho mai avuto in ottanta anni il più intenso dolore al cuore di questo. Mi credeva certo di morire; vennero i Padri tutti a confortarmi, e molti maestri periti ne l’arte, e così la portarono via e fu aconzia [aggiustata] alla foggia al presente si vede.”

E infatti la figura presenta una serie di rotture più o meno restaurate; chiara quella della testa riattaccata grossolanamente.

Michelangelo, San Procolo, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La terza delle sculture che Michelangelo eseguì per l’Arca di San Domenico è quella di SAN PETRONIO, vescovo e patrono di Bologna, posto al centro dell’Arca tra gli altri due santi precedentemente eseguiti da Niccolò dell’Arca

Arca di San Domenico, Bologna

Il Santo guarda davanti a se, porta la tiara e un lungo mantello dalla caotiche ma studiatissime pieghe chiuso da un fermaglio davanti al petto, più complesse dei mantelli degli altri due Santi.
Il volto è riconoscibilissimo come opera di Michelangelo.

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna

Michelangelo, San Petronio, Arca di San Domenico, Bologna, particolare

La caratteristica particolare è la città di Bologna che tiene in alto tra le mani, sostenendone il peso a fatica sbilanciando l’anca e tendendo i tendini dei polsi; Michelangelo si è ispirato alla statua dello stesso Santo eseguita da Jacopo della Quercia e posta sulla porta centrale della basilica di San Petronio di Bologna, ma in controparte.

Michelangelo, San Procolo, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Michelangelo, San Petronio, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo a Firenze, i Prigioni

Nel novembre del 1518 Michelangelo, a Firenze per la facciata della Basilica di San Lorenzo, acquistava un pezzo di terreno in via Mozza (oggi l’ultima parte dell’attuale via S. Zanobi che si apre su via delle Ruote) e nel 1519 vi faceva edificare un suo studio di scultura di circa 200 mq, con un giardinette su retro.
Prima di trasferirsi definitivamente a Roma nel 1534, aveva lavorato alle Tombe dei Medici per la Sacrestia Nuova della chiesa di S. Lorenzo.

Michelangelo, modello ligneo per la facciata di San Lorenzo, 1518, Casa Buonarroti

Il 9 aprile del 1519 gli fu portato con un carro trainato da 5 bovi un blocco di marmo che aveva acquistato a Carrara, nella cava dei Fantiscritti, e successivamente molti altri per la Sacrestia Nuova e per l’enorme progetto della Tomba per il papa Giulio II.

Schema del primo progetto della tomba di Giulio II. Alla base erano previsti i Prigioni

Giacomo Rocchetti, disegno della tomba di Giulio II prevista nel secondo contratto. del 1513, Prigioni sono ancora presenti, Kupferstichkabinett, Berlino

Michelangelo, parte inferiore del disegno della tomba di Giulio II prevista nel secondo contratto del 1513, i Prigioni sono ancora presenti, Uffizi

Nel 1534 si trasferiva definitivamente a Roma, lasciano nel suo studio di Firenze modelli in cera e creta, marmi e delle sculture, che andarono rubati durante l’ assedio di Firenze del 1529. Alcuni furono poi recuperati o erano rimasti, in particolare i quattro Prigioni (o Schiavi) non terminati, anch’ essi pensati per la tomba di Giulio II.
Questa infatti, nel primo faraonico progetto, avrebbe dovuto avere in basso dai 16 ai 20 Prigioni grandi una volta e mezzo il naturale, che nascevano e fuoriuscivano dal blocco di marmo. Come sappiamo il primo progetto non andò in porto in quanto nel 1513 la tomba fu ridisegnata in forme minori dove i Prigioni sarebbero dovuti diventare 12. Nel 1516 un terzo progetto rimpiccoliva ancora di più la tomba e i Prigioni dovevano diventare 8. Nei successivi altri 2 progetti sempre più ridotti del 1526 e 1532 darebbero diventati 4. Nel progetto definitivo del 1542 (il sesto) i Prigioni non erano più previsti.

Nel 1550 Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, acquistò il Palazzo Pitti per trasferirvi la famiglia e tutta la corte, compreso il terreno posto sulla facciata posteriore del Palazzo, che fece trasformare nello splendido Giardino di Boboli.

Giusto Utens, Lunetta con Palazzo Pitti e Giardino di Boboli, 1599, Villa La Petraia

I quattro Prigioni Fiorentini previsti nel progetto della tomba di Giulio II e poi non più necessari erano rimasti nello studio di via Mozza e furono donati nel 1564 da Leonardo Buonarroti nipote di Michelangelo al Granduca Cosimo I.
Il duca Francesco I, figlio di Cosimo e suo successore, fece costruire tra il 1583 e il 1593 dal Buontalenti una grotta artificiale di più vani rivestita con finte rocce (il Vasari ne progettò l’ ingresso), in cui fece incastonare i 4 Prigioni come se stessero lottando per nascere e uscire dalle rocce. E li sono rimasti fino ai primi del ‘900 quando furono portati nella Galleria dell’ Accademia.
Successivamente sono stati riinseriti nelle posizioni originarie delle repliche in gesso.

Giardino di Boboli, ingresso vasariano alla grotta del Buontalenti

Lo studio anatomico dello Schiavo Barbuto è sorprendente: il torso muscoloso in torsione, il braccio destro sollevato nell’ eccezionale posa di reggersi e stringersi la testa piegata. Nonostante sia quello più finito dei quattro, le potenti gambe divaricate tenute da una fascia, ancora unite alla roccia che le genera così come la mano sinistra ancora non formata, danno un eccezionale senso di risveglio, di potente forza, di divinità Pagana in procinto di apparire nell’ Olimpo degli dei, caratteristiche rese vibranti anche dalle superfici che mostrano i segni degli scalpelli con cui Michelangelo le stava facendo nascere.

Michelangelo, Prigione Barbuto, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo Atlante, non finito, sembra avere la testa dentro il blocco di marmo che regge con sforzo sia delle gambe divaricate e piegate che del braccio sinistro le cui muscolature sono in tensione. La figura cerca di liberarsi dalla pietra da cui nasce ed è lo stato di non finito che amplifica ed evidenzia l’ energia che lo Schiavo sta per scatenare.

Michelangelo, Prigione “Atlante”, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo che si desta: una potente figura maschile si gira nel marmo che ancora lo attanaglia. La faccia è sbozzata nei lineamenti. La gamba destra e il braccio sinistro, benchè ancora accennati, a differenza del torso che è terminato, formano una curva ad “S” che amplificano la sensazione di risveglio non ancora libero dalla roccia in cui è bloccato. Anche in questo Schiavo, come del resto negli altri tre, gli arti e le anatomie sono massicce e potenti.

Michelangelo, Prigione che si desta, Galleria dell’Accademia

Lo Schiavo Giovane è poco più che sbozzato, l’unica parte a cui Michelangelo ha dato una prima lisciatura è il ginocchio: la parte del corpo che si sporge e che per prima è uscita dal marmo. Il gigante sembra svegliarsi mentre fuoriesce dalla roccia che vuole partorirlo. Anche la posa del braccio piegato che copre parte del volto e il ginocchio proteso parlano di una nascita. Ed infatti è il più giovane dei quattro. Le uniche masse muscolari sono quelle del torso, appena accennate, ma anche così parlano di divinità di grande forza e potenza, potenza che lo schiavo prende dalla terra e dalla roccia da cui si sta staccando.

Michelangelo, Prigione Giovane, Galleria dell’Accademia

Michelangelo, Prigione Giovane, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

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Michelangelo, Prigione Barbuto, Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo, Il Bacco

Il Vasari nelle Vite, riferendosi a Michelangelo, scrive di:

…un Dio d’amore, d’età di sei anni in sette, à iacere in guisa d’huom che dorma…

alludendo alla statuetta di marmo che Michelangelo aveva scolpito nel 1496 al suo ritorno a Firenze, quando venne nuovamente ospitato da Lorenzo dei Medici il Popolano, cugino di Lorenzo il Magnifico.

Lorenzo dei Medici il Popolano, Botticelli, 1479, Palazzo Pitti.

Ne abbiamo notizia anche grazie ad una lettera di Antonio Maria Pico della Mirandola del 1496 a Isabella d’Este, dove scrive:

… Un Cupido che giace e dorme posato su una mano: è integro ed è lungo circa 4 spanne, ed è bellissimo; c’è chi lo ritiene antico e chi moderno; comunque sia, è ritenuto ed è perfettissimo.

La statua era lunga “quattro spanne”, cioè circa 80 cm, ma è andata persa, e la proposta identificazione con il Cupido Dormiente conservato al Museo del palazzo San Sebastiano a Mantova è molto discussa e improbabile.

Cupido dormiente, Museo della città di Palazzo San Sebastiano

Gli era stata commissionata dal Medici. Era il 1496, anno in cui il Savonarola e i suoi seguaci censuravano ogni opera d’ arte considerata licenziosa; fu così che il Putto venne portato a Roma e sotterrato in una vigna per renderlo “antico” e venderlo come reperto romano. Probabilmente Michelangelo ne era all’ oscuro.
Il trucco riuscì, tanto che venne acquistato da Raffaele Riario cardinale di San Giorgio, celebre collezionista d’ arte, tramite l’ intermediario Baldassare del Milanese per 200 ducati. Ma il Milanese portò a Michelangelo solamente un acconto di 20 ducati.

Cardinale Raffaele Riario (al centro), Raffaello, 1512, Messa di Bolsena, Stanze Vaticane

Il Riario si si rese conto di essere stato truffato, ma l’opera era cosi perfetta che invece di rivolere indietro il denaro volle conoscere l’artista che l’aveva scolpito. Mandò quindi a Firenze il banchiere suo amico Jacopo Galli perché portasse a Roma l’autore del Putto. Il Galli convinse Michelangelo, ignaro del raggiro, che arrivato a Roma al cospetto del cardinale con una lettera di presentazione di Lorenzo dei Medici il Popolano, avendo avuto a Firenze solo 20 scudi, rivoleva indietro la sua scultura.
Il Riario si arrabbiò furiosamente con Michelangelo dicendo che l’aveva pagata ed era sua.
Fu con questa vicenda che Michelangelo vide aprirsi a Roma un nuovo mondo di lavoro in gran parte tramite il Galli, banchiere molto importante e influente, che lo ospitò nel suo palazzo.

Il Bacco

E infatti qualche giorno le cose cominciarono ad andare meglio: il 4 luglio del 1496 il cardinale Riario gli chiese di scolpire per lui un opera pagana, il BACCO. Lo eseguì in un anno, consegnandolo nel 1497.
La divinità mitologica è rappresentata in modo naturalistico con l’incedere insicuro di un giovane dio ebbro di vino, la posa a contrapposto è leggermente sbilanciata, la testa piegata e gli occhi stravolti dal liquore, il corpo è morbido e leggermente femmineo evidenziata anche dalla pancia leggermente gonfia a causa anche del bere. Tiene in mano la coppa del vino, e tra i riccioli pendono due grappoli d’uva. Con l’altra mano regge la pelle di leopardo, animale caro al dio.

Nascosto dietro di lui un giovane satiro appoggiato alla gamba sinistra in posa seducente mangia l’uva seduto su un tronco d’albero reciso. Il bellissimo satiro ha anche una funzione di sostegno e di rinforzo dell’opera il cui peso scarica sulla gamba su cui il satiro poggia.

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Michelangelo, Bacco, Museo del Bargello, particolare

Il cardinale Riario rifiutò l’opera, tropo poco simile alle raffigurazioni romane di Dioniso e quindi troppo lasciva per un membro della Chiesa.
la ritirò con molto piacere il banchiere Galli che la posizionò al centro del suo giardino. Il pittore olandese Maarten Van Heemserck vide l’opera nel giardino del Riario nel 1532 e ne fece il disegno. La coppa e la mano destra appaiono mancanti e anche il pene sembra sia stato rotto: la mano e la coppa che si vedono oggi sono un’integrazione antica.

Disegno di Maarten van Heemskerck, 1535, Il Bacco nella collezione di opere antiche del Riario

Il Bacco è conservato ed esposto al Museo del Bargello.

Il Bacco di Michelangelo esposto al Museo del Bargello

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte III

Lorenzo il Magnifico aveva ospitato per 4 anni Michelangelo nel suo palazzo di via Larga, avendolo quotidianamente a tavola con sé e con i vari ospiti, tra cui gli umanisti dell’Accademia Platonica.
Nel 1492, alla morte di Lorenzo, Michelangelo fu esiliato dal palazzo Medici. Fu costretto a ritornare a casa del padre.

Palazzo Medici dopo l’allargamento settecentesco dei Riccardi

Il Vasari nelle sue “Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori” del 1568:

…Era da poco morto Lorenzo il Magnifico quando il giovane Michelagnolo non ancora ventenne si accinse a scolpire un Crocifisso di legno, che si posa sopra il mezzo tondo dell’ altare maggiore, a compiacenza del priore il quale gli diede comodità di stanze…

Fu in questo periodo che Michelangelo si dedicò allo studio dell’anatomia umana tramite la dissezione dei cadaveri. Grazie all’ intercessione di Piero dei Medici il Fatuo, succeduto a Lorenzo il Magnifico, ottenne dal priore del convento di Santo Spirito, Lapo Bicchiellini, il permesso di dissezionare i corpi dei cadaveri maschili che arrivavano dall’ospedale del convento.
Le eseguiva di notte perché non rischiare di essere accusato di negromanzia dall’ inquisizione, eseguendo anche disegni anatomici.

Piero di Lorenzo dei Medici detto il Fatuo, Ghirlandaio, 1494, Miniatura, Biblioteca Naz. di Napoli

Convento di Santo Spirito, Chiostro Grande

Michelangelo, disegno anatomico, Casa Buonarroti

Fu per ringraziamento che al priore del convento Michelangelo scolpì e donò al priore Bicchiellini un crocifisso di legno ora custodito nella Sacrestia Nuova della chiesa di Santo Spirito, un capolavoro di eleganza e dolcezza.

Michelangelo, Cristo ligneo, Sacrestia Nuova, Santo Spirito

Alla fine del ‘400 la situazione politica di Firenze stava pesantemente cambiando, le prediche del Savonarola erano sempre più ascoltate, si respirava la caduta dei Medici voluta da Carlo VIII re di Francia.

Girolamo Savonarola, Fra Bartolommeo, 1497, Museo di San Marco

Michelangelo a Bologna

Michelangelo preferì lasciare la città e, insieme agli amici Granacci e il fiammingo Johannes Cordier, detto il Cordiere, suonatore di lira a palazzo Medici, andò a Venezia, dove rimase per un breve periodo, dirigendosi poi a Bologna. Qui fu accolto da Giovan Francesco Aldrovandi uomo di fiducia del signore di Bologna Giovanni Bentivoglio, e per suo tramite ricevette l’incarico di realizzare tre sculture per la trecentesca Arca di San Domenico eseguita da Nicola Pisano e Niccolò dell’Arca, ancora non completata.

Francesco Granacci

Arca di San Domenico, Nicola Pisano e Niccolò dell’ Arca, sec. XIV, Chiesa di S. Domenico, Bologna

L'Angelo Reggicandelabro

Eseguì l’ ANGELO REGGICANDELABRO mancante nell’angolo destro dell’Arca, in pendant con quello esistente nell’angolo sinistro eseguito da Niccolò dell’Arca.

Michelangelo, Angelo Reggicandelabro, 1495 ca., Arca di San Domenico, Bologna

Niccolò dell’ Arca, Angelo Reggicandelabro, 1470 ca., Arca di San Domenico, Bologna

Entrambi gli angeli sono inginocchiati; Niccolò dell’Arca aveva scolpito un angelo elegante e raffinato, in stile rinascimentale, con caratteristiche quasi femminili.

Niccolò dell’ Arca, Angelo Reggicandelabro, Arca di San Domenico, 1470 ca., Bologna


Michelangelo e la Pietà Vaticana

Il Vasari, in merito alla Pietà, nelle sue Vite scrive:
…Alla quale opera non pensi mai scultore né artefice raro potere aggiugnere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finitezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte. Fra le cose belle [che] vi sono, oltra i panni divini suoi, si scorge il morto Cristo: e non si pensi alcuno di bellezza di membra e d’artificio di corpo vedere uno ignudo tanto ben ricerco di muscoli, vene, nerbi sopra l’ossatura di quel corpo, né ancora un morto più simile al morto di quello. Quivi è dolcissima aria di testa, et una concordanza nelle appiccature e congiunture delle braccia e in quelle del corpo e delle gambe, i polsi e le vene lavorate, che in vero si maraviglia lo stupore che mano d’artefice abbia potuto sì divinamente e propriamente fare in pochissimo tempo cosa sì mirabile: che certo è un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezzione che la natura affatica suol formar nella carne…

La Pietà

A 24 anni, nel 1499, Michelangelo eseguì il suo capolavoro, la PIETA’ VATICANA. Il Banchiere Jacopo Galli era diventato un suo grande estimatore e amico intimo, tanto che l’aveva ospitato nel suo palazzo a Roma. Era diventato anche suo garante e intermediario, e fu grazie al Galli che Michelangelo ebbe nel 1496la commissione della Pietà per Jean de Bilhères abate di San Dionigi ambasciatore a Roma di Carlo VIII di Francia presso il papa Alessandro VI.

Carlo VIII di Francia, Scuola francese, Reggia di Versailles

Ricevuto nel 1497 un’ acconto di 150 ducati sui 450 ducati pattuiti si recò a cavallo alle cave di marmo di Carrara per trovare il marmo adatto. Tornato a Roma firmò il 27 agosto del 1497 il contratto ufficiale di allogagione alla presenza del Galli, con l’ impegno di terminare l’ opera in un anno, contratto che recitava:

Et io Jacopo Galli prometto al reverendissimo Monsignore che lo dicto Michelangelo farà la dicta opera in fra un anno e sarà la più bella opera di marmo che sia oge in Roma, e che maestro niuno la farìa megliore oge.
Nel contratto di allogazione era stato specificato che sarebbe stata Una Pietà di marmo, cioè una Vergine Maria vestita con un Cristo morto nudo in braccio.

Tenne fede all’ impegno consegnando il capolavoro nel 1499, che fu portato in Santa Petronilla dove l’ambasciatore voleva essere sepolto.

Nel 1517 la Pietà venne spostata nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dove le venne cambiato posto più volte, finché nel 1749 fu posta nella prima cappella a destra della navata della basilica dove risiede ancora oggi.

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Il bellissimo volto della Madonna ritratta da giovane (Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, Dante, primo verso del canto XXIII del Paradiso) nell’ età in cui lo concepì, mantiene nel dolore una posa composta mentre guarda il corpo del Figlio.
Cristo è completamente rilasciato sulle ginocchia della Madre che non tocca direttamente il corpo sacro del figlio, tra la sua mano destra e il corpo è interposto un lembo del sudario. La mano sinistra della Madonna ha un gesto di disperata domanda.
La roccia su cui siede è il monte Golgota, come dice il biografo condivi nella “Vita di Michelagnolo Buonarroti” edita a Roma nel 1553:
…A sedere sul sasso, dove fu fitta la Croce, col figliuol morto in grembo, di tanta e così rara bellezza, che nessun la vede che dentro a pietà non si commuova…

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, dettagli

La perfezione delle anatomie riprodotte in maniera eccezionale favoriscono la bellezza che l’opera emana insieme alla tenerezza e allo strazio per la morte del Cristo.
Anche le pieghe dell’abito e del sudario sono riprodotte in maniera magistrale, quasi tessuto trasformato in marmo, o marmo trasformato in tessuto.

A differenza di gran parte delle altre sue opere, in questa Michelangelo ha voluto lisciare e lucidarne le superfici rendendone la pelle traslucida al pari dell’ alabastro.

Michelangelo ha scritto il suo nome su quest’unica opera, l’ha cioè firmata in caratteri romani sulla fascia che attraversa il petto della Madonna: MICHAEL AGELVS BONAROTUS FLOREN FACIEBAT.

Michelangelo, Pietà Vaticana, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, dettaglio

La Pietà ha subito nel tempo vari danni ed ha quindi subìto anche varie riparazioni e restauri. Ultimo quello del 1972 quando un pazzo urlando “Sono Gesù Cristo” prese a martellate l’opera danneggiandola in varie parti.

Marmo bianco di Carrara scolpito a mano nello Studio Bazzanti, originale postumo da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte II

Il Vasari, nell’ edizione delle “Vite” del 1568 continua:

…Dove in questo tempo consigliato dal Poliziano, uomo nelle lettere singulare, Michelagnolo fece in un pezzo di marmo datogli da quel signore [Lorenzo il Magnifico] la battaglia di Ercole coi centauri, che fu tanto bella che talvolta per chi ora la considera non par di mano di giovane, ma di maestro pregiato e consumato negli studii e pratico in quell’arte. Ella è oggi in casa sua tenuta per memoria di Lionardo suo nipote come cosa rara che ell’è…

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti

Il primo accenno scritto relativo a questo altorilievo è in una lettera inviata dall’ agente dei Gonzaga a Firenze, Giovanni Borromeo, al marchese di Mantova Federico. L’ agente scrive di volere un certo quadro di “figure jude, che combattono, di marmore, quale havea principiato ad istantia di un gran signore [Lorenzo il Magnifico] ma non è finito. E’ braccia uno e mezzo a ogni mane, et così a vedere è cosa bellissima e vi sono più di 25 teste e 20 corpi varii, et varie attitudine fanno.”

LA BATTAGLIA DEI CENTAURI

Questo altorilievo, così come per la Madonna della Scala, furono eseguiti da Michelangelo per suo gusto personale, incitato da Lorenzo il Magnifico, ma senza nessun reale committente. Lo iniziò dopo aver terminato il bassorilievo della Madonna della Scala, ma non riuscì a terminarlo: nel 1492 infatti morì Lorenzo il Magnifico con cui era nato un rapporto filiale; Michelangelo ne fu sconvolto.

Secondo il Vasari il soggetto sarebbe stato la battaglia di Ercole contro i Centauri, mentre il Condivi, nella sua Vita di Michelagnolo Buonarroti scrive che si trattava del ratto di Deianira e la zuffa dei Centauri, probabilmente per la presenza anche di qualche figura femminile: una dietro alla figura centrale in alto e un’ altra all’ estrema destra che strangola un uomo.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio con le teste femminili

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio con un corpo femminile

Dopo l’esperienza nella Madonna della Scala dello stiacciato d’ispirazione Donatelliana, Michelangelo si è voluto cimentare con un altorilievo in cui poter scolpire corpi umani in varie pose e atteggiamenti. La realizzazione dei piani è sicuramente meno riuscita rispetto al bassorilievo della Madonna, forse anche perché il rilievo non venne finito.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, particolare

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, particolare

Non è chiaro se le superfici delle poche figure che sembrerebbero terminate avrebbero ricevuto una successiva lavorazione con raspa e abrasivi per rendere la pelle del marmo liscia e lucida; è più probabile che Michelangelo volesse però lasciarne la superficie con i leggeri segni della gradina, come poi ha fatto in successive altre sue opere.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

L’opera è composta da una massa di figure aggrovigliate difficilmente distinguibili in lotta tra loro che si muovono intorno a quella centrale cha ha il braccio alzato sopra la testa e che rappresenta l’ apice centrale del triangolo ideale che l’insieme dei personaggi compone. A sinistra un uomo interamente raffigurato mentre, torcendosi verso destra sta per scagliare un grosso sasso e altrettanto un vecchio al bordo sinistro si prepara a scagliare un masso.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

A sinistra un gruppo di personaggi che si azzuffano in un inestricabile nodo di corpi e di braccia, in basso i feriti sdraiati e seduti tra cui c’è il corpo di un Centauro.

Michelangelo, Battaglia dei Centauri, 1492, Casa Buonarroti, dettaglio

Michelangelo si è probabilmente ispirato sia ai sarcofagi romani che probabilmente agli altorilievi del Pulpito del Duomo di Giovanni Pisano; sicuramente però si sarà ispirato al bassorilievo di bronzo fuso a cera persa eseguito nel 1480 da Bertoldo di Giovanni, direttore e insegnante nel Giardino di San Marco dove Michelangelo giovane studiò per alcuni anni.

Sarcofago romano del Portonaccio, 180 d.C.,Pal. Massimo alle Terme, Roma

Giovanni Pisano, Strage degli Innocenti, Pulpito del Duomo, 1310 ca., Pisa

Bertoldo di Giovanni, Battaglia tra romani e barbari, 1480, Bargello

Fusione postuma da calco eseguito sull’originale di Casa Buonarroti dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze

Esemplare unico in argento al Museo Michelangelo, Battle Ground, WA, USA


Michelangelo, la Madonna di Bruges

Nel 1501 Michelangelo da Roma era tornato a Firenze, e stava lavorando all’esecuzione del grande David. Attraverso il banchiere Jacopo Galli, suo amico e garante, i due fratelli Mouscron mercanti di tessuti fiamminghi, clienti della banca del Galli, commissionarono a Michelangelo la scultura di una Madonna con Bambino per la loro cappella nella chiesa di Nostra Signora di Bruges.

Chiesa di Nostra Signora di Bruges

Chiesa di Nostra Signora di Bruges, facciata

La Madonna di Michelangelo all’interno della chiesa di Nostra Signora di Bruges

La Madonna di Michelangelo nella nicchia all’interno della chiesa di Nostra Signora di Bruges

Il compenso pattuito era di 4.000 fiorini, somma molto alta promessa a Michelangelo probabilmente per convincerlo a trovare il tempo per eseguirla nonostante stesse lavorando ad altre opere; gli furono dati in due pagamenti tra il 1503 e il 1505.

Lo confermerebbe anche il fatto che Michelangelo la scolpì tenendola nascosta fino al momento dell’imbarco a Viareggio verso le Fiandre intorno al 1506. Giovanni Balducci a Roma il 14 agosto del 1506 scriveva a Michelangelo:

…Michelagnolo carissimo, resto avisato chome Francesco del Puglese avrebbe chomodità al mandarla a Vioreggio, e da Vioreggio in Fiandra…

La Madonna di Bruges

Nemmeno i suoi biografi sapevano con esattezza di cosa si trattava: il Condivi pensava fosse una scultura di bronzo, il Vasari che fosse un tondo.
Michelangelo scrisse in questo senso al padre:

…Prego voi che duriate un pocho di fatica in qusta due cose, cio è in fare. Riporre quella cassa [contenente la Madonna] al coperto in luogo sicuro; l’altra è quella nostra Donna di marmo, similmente vorrei la faciessi portare costì in casa e non la lasciassi vedere a persona…

Mentre la scolpiva aveva ancora in mente la precedente sua Pietà Vaticana: lo si capisce in modo particolare dalla somiglianza del volto delle due Madonne, entrambe con lo sguardo rivolto in basso, del velo sulla testa. Il corpo del Bambino presenta una torsione che sembra dovuta al suo scivolare sulla veste della Madre mentre si regge alla sua mano sinistra e si appoggia con i piedi al bordo dell’ abito, quasi volesse scendere dal suo grembo.
La Madonna è invece perfettamente ferma e assorta nel pensiero della terribile fine a cui andrà incontro suo Figlio.

Michelangelo, Madonna di Bruges, dettaglio della Madonna

Michelangelo, Pietà Vaticana, dettaglio

Michelangelo, Madonna di Bruges, dettaglio del Bambino

La Madonna vene prelevata e fatta trasportare a Parigi da Napoleone, e venne restituita nel 1815. Nel 1944 fu trafugata dai nazisti e portata in Germania, fu scoperta nel 1946 nascosta in una miniera ad Altaussee in Austria e fu riportata a Bruges.

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


Michelangelo e le sue prime sculture

Parte I

Michelangelo nacque nel 1475 a Caprese in provincia d’Arezzo per puro caso: il padre Ludovico Buonarroti, fiorentino, era provvisoriamente podestà al castello di Chiusi e di Caprese. Dopo la sua nascita la famiglia tornò ad abitare a Settignano, paese di scalpellini e scultori, dove aveva una modesta villa.

Villa dei Buonarroti a Settignano

Nel 1487 appena dodicenne abbandonò gli studi per andare a bottega dal Ghirlandaio, ma poco dopo lasciò la bottega per andare a studiare nel Giardino di San Marco creato a tale scopo da Lorenzo il Magnifico.

Domenico Ghirlandaio, autoritratto nell’Adorazione dei Magi, 1488, Ospedale degl’Innocenti

Lorenzo il Magnifico, busto del Verrocchio, National Gallery of Art, Washington DC

Il Vasari, nell’edizione delle “Vite” del 1568 ci racconta:

Lorenzo vedendo sì bello spirito lo tenne sempre in molta aspettazione, et egli inanimito dopo alcuni giorni si misse a contrafare con un pezzo di marmo una testa che v’era d’un fauno vecchio antico e grinzo, che era guasta nel naso e nella bocca rideva. Dove a Michelagnolo, che non aveva mai più tocco marmo né scarpegli, successe il contrafarla così bene, che il Magnifico ne stupì, e visto che fuor della antica testa di sua fantasia gli aveva trapanato la bocca e fattogli la lingua e vedere tutti i denti, burlando quel signore con piacevolezza, come era suo solito, gli disse: “Tu doveresti pur sapere che i vecchi non hanno mai tutti i denti e sempre qualcuno ne manca loro”. Parve a Michelagnolo in quella semplicità, temendo et amando quel signore, che gli dicesse il vero; né prima si fu partito, che subito gli roppe un dente e trapanò la gengìa di maniera, che pareva che gli fussi caduto; et aspettando con desiderio il ritorno del Magnifico, che venuto e veduto la semplicità e bontà di Michelagnolo, se ne rise più d’una volta contandola per miracolo a’ suoi amici; e fatto proposito di aiutare e favorire Michelagnolo, mandò per Lodovico suo padre e gliene chiese, dicendogli che lo voleva tenere come un de’ suoi figliuoli, et egli volentieri lo concesse; dove il Magnifico gli ordinò in casa sua [Palazzo Medici di via Larga] una camera, e lo faceva attendere, dove del continuo mangiò alla tavola sua co’ suoi figliuoli et altre persone degne e di nobiltà, che stavano col Magnifico, dal quale fu onorato. E questo fu l’anno seguente che si era acconcio con Domenico, che aveva Michelagnolo da quindici anni o sedici; e stette in quella casa quattro anni…

La vicenda della testa di fauno è confermata anche dal Condivi nella sua Vita di Michelangelo Buonarroti pubblicata nel 1553.

Vasari, Vite, edizione del 1568

Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti, 1553

La testa è andata perduta; è improbabile che sia quella portata via dai Nazisti durante la guerra, da alcuni attribuita a Michelangelo e di cui rimane un calco nella Casa Buonarroti.

Michelangelo (attribuzione), Calco della testa di satiro, Casa Buonarroti

La Madonna della Scala

Il Vasari ci dice che la prima opera scultorea conosciuta di Michelangelo è la Madonna della scala, che il Buonarroti eseguì a 16 anni, nel 1491:

… il quale Lionardo [Buonarroti nipote di Michelangelo] non è molti anni che aveva in casa per memoria di suo zio una Nostra Donna di basso rilievo di mano di Michelagnolo di marmo alta poco più d’un braccio, nella quale sendo giovanetto in questo tempo medesimo, volendo contrafare la maniera di Donatello si portò sì bene che par di man sua, eccetto che vi si vede più grazia e più disegno. Questa donò Lionardo poi al duca Cosimo Medici, il quale la tiene per cosa singularissima, non essendoci di sua mano altro basso rilievo che questo di scultura.

Il bassorilievo misura circa 56 cm x 40, scolpito su una lastra di marmo molto sottile.
L’ eccezionale resa prospettica di più piani in pochi millimetri di spessore si ispira ai bassorilievi in “stiacciato” di Donatello, come afferma anche il Vasari. Particolarmente affascinante è la scala che presenta 5 scalini, e quindi 5 piani diversi, ottenuti con un rilievo millimetrico; scala che allude alla discesa di Cristo in terra e all’ ascesa al cielo dell’uomo tramite la Madonna.

Michelangelo, Madonna della Scala

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio dello spessore del bassorilievo

Donatello, Madonna col Bambino (Madonna Dudley), 1440 ca, V&A Museum

La Madonna è seduta su un blocco cubico, completamente avvolta da un delicato panneggio, con la sinistra abbraccia il Bambino seduto sulle sue ginocchia, con la destra si scopre il seno per allattarlo.
Occupa quasi tutto il bassorilievo ottenendo così un aspetto monumentale, e sia per la posa contrapposta delle braccia, per l’ incrocio dei piedi e per la torsione del bambino assume un movimento a spirale.

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Lo studio del panneggio che con grande perizia ed eleganza poggia sul sedile cubico e ne segue la forma, richiama la Madonna Dudley di Donatello.

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

La Vergine non guarda il Bambino ma i suoi occhi sono persi nel vuoto presagendo il crudele destino che avrà suo figlio, come appare già nelle Madonne quattrocentesche di Luca della Robbia.

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Luca della Robbia, Madonna con Bambino, Ospedale degl’Innocenti

Luca della Robbia, Madonna con Bambino del Trebbio, Berlino, Bode Museum

Luca della Robbia, Madonna di Foiano, dettaglio

Andrea della Robbia, Madonna con Bambino, S. Michele in Foro, Lucca

Particolarmente forte è la muscolatura del Bambino che anche a causa della posizione del braccio piegato all’indietro, braccio abbandonato prefigurante la futura morte e che ricorda quello dell’Ercole Farnese, gli fa assumere un originale posizione di spalle, col volto nascosto.

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Ercole Farnese, Glicone d’Atene, III sec. d.C., Museo Archeologico Nazionale, Napoli

In alto sulla scala due putti appena accennati lottano o ballano mentre un terzo si appoggia sporgendosi dalla balaustra delle scale per reggere un panno tenuto dalla parte opposta da un altro putto appena accennato, forse il sudario di Gesù. È in questi particolari dei putti che Michelangelo già in questa sua prima scultura fa uso del cosiddetto “non finito” per evidenziare e sfumare le figure poste in piani diversi.

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Michelangelo, Madonna della Scala, dettaglio

Come ci dice il Vasari la Madonna della Scala fu ereditata dal nipote Leonardo che successivamente nel 1568 la donò a Cosimo I dei Medici. Ma nel 1616 Cosimo II la restituì a Michelangelo Buonarroti il Giovane che la tenne nel palazzo della famiglia di via Ghibellina, poi diventato il Museo della Casa Buonarroti.

Fusione in bronzo statuario postuma da calco eseguito sull’originale di Casa Buonarroti dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze


David del Bernini

Pietro Bernini era nato a Sesto Fiorentino nel 1562.

Pietro Bernini

Imparò a scolpire alla bottega del fiorentino Ridolfo Sirigatti, ed a dipingere in quella a Roma del Cavalier d’Arpino, noto manierista.

Cavalier d’Arpino, autoritratto, 1640

Nel 1596 fu chiamato dal viceré di Napoli per scolpire delle figure per la Certosa di San Martino. E fu a Napoli che nel 1598 sua moglie Angelica Galante dette la luce a Gian Lorenzo.

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto Uffizi

Gian Lorenzo Bernini, autoritratto, 1625, Ashmolean Museum, Oxford

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, Galleria Borghese

Ma nel 1606 Pietro venne chiamato dal Papa Paolo V per il cantiere della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore a Roma, dove si trasferì con la moglie e col figlio Gian Lorenzo, che già in giovane età faceva da garzone di bottega del padre.

Papa Paolo V Borghese, Caravaggio, 1606, Palazzo Borghese

Cappella Paolina, Santa Maria Maggiore a Roma

Gian Lorenzo e Pietro a Roma

Roma era in quei primi decenni del ‘600 un punto di riferimento in pittura e in scultura per la nascente arte barocca, arte in cui Caravaggio aveva aperto un nuovo stile narrativo e figurativo creando personaggi vivi e realistici ispirandosi ai popolani, giocando in maniera eccezionale e nuova con luce e oscurità.

Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1602, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Ma presto, già nel 1609, Gian Lorenzo Bernini iniziava a lavorare sui marmi che il padre Pietro scolpiva, che diventavano sempre più opere eseguite a quattro mani, dimostrando un talento inverosimile per la sua età; celebre il gruppo del Fauno con Cupidi che rimase a casa di Gian Lorenzo per molti anni dopo la sua morte. In quest’opera è ancora visibile l’impronta manieristica cinquecentesca dovuta alla mano di Pietro, così come l’ispirazione presa guardando Michelangelo nella composizione e nella morbidezza delle forme e della superficie, ma con nuove pose e nuovi movimenti dei corpi.

Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Fauno con Cupidi, Metropolitan Museum, New York

Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Fauno con Cupidi, Metropolitan Museum, New York, dettaglio

Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Fauno con Cupidi, Metropolitan Museum, New York, dettaglio

Pietro e Gian Lorenzo Bernini, Fauno con Cupidi, Metropolitan Museum, New York, dettaglio

Il padre Pietro fece conoscere Gian Lorenzo Bernini al cardinale fiorentino Maffeo Barberini, Papa Urbano VIII, per cui Gian Lorenzo eseguì tra il 1617 e il 1618 delle figure per la Cappella di famiglia in Sant’Andrea della valle a Roma.

Gian Lorenzo Bernini, ritratto del papa Urbano VIII, 1632, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma

Gian Lorenzo Bernini, Busto del Papa Urbano VIII Barberini, bronzo, 1658, Louvre

Gian Lorenzo incontra il Cardinale Borghese

Ma è con il cardinal nipote Scipione Borghese che Gian Lorenzo Bernini ebbe la possibilità di esprimere tutta la sua potenza e abilità; non ancora ventenne si accinse a scolpire il grande gruppo di Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia.

Cardinale Scipione Borghese, Ottavio Leoni, Museo Fesch, Ajaccio

Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia, 1619, Galleria Borghese

Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia, dettaglio, 1619, Galleria Borghese

E nel 1621, sempre per il cardinale Borghese, eseguiva il notissimo gruppo del Ratto di Proserpina, che il cardinale donò poco dopo a Ludovico Ludovisi nipote del nuovo papa Gregorio XV. Con questo gruppo il Bernini evidenzia la sua grande abilità nello scolpire gruppi di figure in movimento e in pose complesse.

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, 1622, Galleria Borghese, Roma

Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, 1622, Galleria Borghese, Roma (dettaglio)

Cardinale Ludovico Ludovisi, Ottavio Leoni, 1621, Budapest

Papa Gregorio XV, Guercino, 1622, Getty Center, Los Angeles

Il Cardinale Montalto, nipote di Sisto V, entusiasta delle opere del Bernini nel 1623 gli commissionò il proprio ritratto e contemporaneamente la celebre statua del David; ma non riuscì a vederla finita perché prima che fosse completata morì. Intervenne immediatamente Scipione Borghese che rilevò l’ordine riuscendo ad avere così un’altra opera berninana per la sua villa.

Gian Lorenzo Bernini, busto del Cardinale Montalto, 1623, Amburgo

Gian Lorenzo Bernini, David, 1624, Galleria Borghese, Roma

Gian Lorenzo e il suo David

Bernini, ha scelto, per questo suo capolavoro, il momento di altissima tensione in cui David sta per lanciare la pietra sulla testa del gigante Golia e non nel momento del trionfo dopo che Golia è stato decapitato, come avviene per i due bronzi di Donatello e del Verrocchio; né prima dello scontro, come in Michelangelo, dove il David è concentrato prima del lancio. Per tutte e tre queste figure rinascimentali precedenti è stata scelta un a posa statica e ieratica.
Il Bernini ha invece potuto così evidenziare nella torsione del busto del suo eroe tutta la tensione e lo sforzo del tiro, che si esprime anche con le ciglia aggrottate e nel suo stringere con forza le labbra. A terra è l’armatura che lo impacciava e che si è tolto prima del lancio.

Donatello, David, metà ‘400, Museo del Bargello

Verrocchio, Donatello, 1475, Museo del Bargello

Michelangelo, David, 1504, Galleria dell’Accademia

Gian Lorenzo Bernini, David, Galleria Borghese

Gian Lorenzo Bernini, David, Galleria Borghese

Gian Lorenzo Bernini, David, Galleria Borghese, dettaglio

Gian Lorenzo Bernini, David, Galleria Borghese, dettaglio

Fusione postuma in bronzo a cera persa della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli su calco originale per la Galleria Pietro Bazzanti & Figlio di Firenze.

Col suo David il Bernini riesce per la prima volta a far provare allo spettatore sorpresa e paura, a coinvolgerlo quasi fosse presente alla sfida e all’azione di abbattere il gigante Golia, a rendere drammaticamente vivo l’eroe biblico.

Il Re Sole e Mussolini

Su richiesta di Benito Mussolini per la sua collezione privata il Museo del Louvre si rivolse alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli per avere la replica in bronzo del bozzetto che il Bernini eseguì nel 1678 per il Monumento equestre di Luigi XIV; il bozzetto fu portato in Fonderia dove venne eseguito il calco negativo ed una fusione postuma in bronzo a cera persa. Dopo la guerra la fusione è tornata al Louvre.

Bozzetto in terracotta di Gian Lorenzo Bernini per il Monumento equestre di Luigi XIV

Fusione postuma della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli del bozzetto in terracotta di Gian Lorenzo Bernini per il Monumento equestre di Luigi XIV, Museo del Louvre

Fusione postuma in bronzo a cera persa della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli su calco originale per la Galleria Pietro Bazzanti di Firenze