Donatello e il Putto nella scultura

Parte VII

Un’ altra importante fusione in bronzo eseguita da Donatello è quella della Giuditta e Oloferne in grandezza naturale (236 cm con la base di bronzo) oggi davanti al Palazzo della Signoria a Firenze, ma probabilmente commissionata dai Medici per il cortile del loro palazzo.
L’eroica ebrea Giuditta sta per tagliare la testa ad Oloferne, generale di Nabucodonosor, completamente ubriaco, salvando così il suo popolo.

Sul cuscino in cui Oloferne è seduto c’è la firma di Donatello OPVS – DONATELLI – FLO, e anche la scritta EXEMPLUM – SAL – PVB – CIVES – POS- MCCCCXCV, scritta che fu aggiunta quando la statua fu posta fuori del palazzo della Signoria nel 1495.
Ma entro l’ agosto del 1464, quando si trovava ancora nel palazzo Medici, vi erano sul basamento altre due scritte andate perdute: “Regna cadunt luxu surgent virtutibus urbes caesa vides humili colla superba manu” cioè: “I regni cadono per la lussuria, risorgono grazie alle virtù: ecco il collo dell’ orgoglio reciso dalla mano dell’ umiltà”. E tra gli anni 1464 e 1469 Piero de’ Medici aggiunse la seconda iscrizione:
Regna Cadunt / Salus Publica / Petrus Medices Cos. Fi. Libertati simul et fortitudini hanc mulieris statuam quo cives invicto constantique animo ad rem pub. redderunt dedicavit, cioè “Piero figlio di Cosimo ha dedicato la statua di questa donna a quella libertà e fortezza conferite alla repubblica dallo spirito invitto e costante dei cittadini.”
Tutto fa pensare che per Donatello per i suoi coetanei Giuditta, pesantemente vestita e a capo coperto, rappresentasse la continenza che vince la superbia e la lussuria simboleggiata da Oloferne mollemente seduto su un cuscino. E, per traslato, la repubblica, come Firenze e Venezia era paragonata alla Grecia e a Roma antiche e contrapposta agli stati tirannici come Milano, nemica di Firenze. Oloferne era il generale di un monarca totalitario. Giuditta, salvatrice della libertà d’ Israele, era correlata alla resistenza della Repubblica Fiorentina contro la tirannia dei Visconti di Milano.
Sulla base triangolare della statua ci sono tre bassorilievi basati sui putti. Sul primo
dei putti alati, nudi o seminudi e di diverse età, vendemmiano e trasportano le uve nelle ceste; in basso c’ è una figura sdraiata ed ebbra, che indossa una maschera e tiene una brocca. Si tratta di una scena bacchica, come nelle feste in onore di Dioniso nella Grecia antica, dove recitavano attori mascherati.

Sul secondo bassorilievo due putti schiacciano l’ uva all’ interno di un cratere, anch’esso decorato sul bordo da putti e ghirlande. Un putto beve direttamente dal cratere, un’ altro si tira su la veste, due sono sdraiati ubriachi. Sono sculture che ripetono lo stilema classico romano che appare in varie opere antiche.

Sul terzo bassorilievo un putto seduto in grembo di Dioniso lo bacia, altri suonano corni e danzano.

Le tre scene rappresentano i baccanali ed i suoi effetti deleteri, e non hanno niente a che fare con le scene cristiane di vendemmia e produzione del vino inteso in senso eucaristico. Si riferiscono cioè alla ubriacatura di Oloferne. Nella “Republica” Platone scrive che l’ ubriachezza fa diventare l’uomo tiranno, come il tirannico Eros, interpretazione neo platonica seguita da Donatello.
Anche sull’abito di Giuditta appaiono dei putti: sul davanti del corpetto due putti alati nudi sostengono il cerchio, lateralmente altri due dai volti disperati sono al lato di un vaso, altri dietro, altri sul polsino di destra.

A differenza di quelli dei bassorilievi, i putti sull’abito di Giuditta stanno a simboleggiare la sua vittoria.

Gli ultimi capolavori di Donatello sono i due pulpiti bronzei fusi a cera persa per la chiesa di San Lorenzo a Firenze, eseguiti dopo il 1460. E’ probabile che all’ epoca della sua morte nel 1466 siano stati completati dai suoi aiutanti Bartolomeo Bellano e Bertoldo di Giovanni, quest’ ultimo anche amico di Lorenzo il Magnifico. Hanno subìto varie vicende tra cui la sistemazione sulle colonne agli inizi del ‘500 e un successivo rimontaggio a metà del ‘500.
In entrambi Donatello ha creato una stretta fascia di trabeazione in cui compaiono i piccoli putti, ed è la prima volta che questo tipo di decorazione riappare dopo l’ epoca classica, infatti Donatello si è ispirato ai sarcofagi romani. In questi due pulpiti i putti tornano ad essere elementi secondari che commentano le scene sottostanti, con danze bacchiche e riferimenti alla vendemmia e al vino.

Il Pulpito delle Passione

è composto da sette scene: Preghiera nell’ orto degli ulivi, Gesù da Pilato e Caifa, Crocefissione, Compianto, Sepoltura, (i due bassorilievi della Flagellazione e di San Giovanni Evangelista sono in legno e risalgono al ‘600). Nella trabeazione di questo pulpito i putti sono bacchici in quanto fanno riferimento al lavoro della vigna e del vino ma non sono ubriachi, e simboleggiano, nel contesto della Passione di Cristo, l’ Eucarestia.
In antico il culto di Dioniso prometteva una vita dopo la morte, e i suoi riti prevedevano il bere vino. Per gli umanisti del Rinascimento Dioniso prefigura Cristo con la sua promessa di salvezza, data agli iniziati attraverso la partecipazione alla messa cristiana con l’ offerta del pane e del vino. Ci sono anche alcuni paralleli nella vita di Dioniso-Bacco e quella di Cristo: hanno avuto entrambi una nascita miracolosa, entrambi hanno eseguito miracoli col vino, entrambi hanno i grappoli d’ uva come attributi, in entrambe le religioni ci sono aspetti di sofferenza, morte e vita nell’ aldilà.
Si vede’ altra attinenza alla scena di Gesù nell’ Orto degli ulivi in due putti a destra della trabeazione che si baciano prefigurando il bacio traditore di Giuda. Il neoplatonismo del rinascimento dava un significato cristiano al paganesimo romano.

Nel bassorilievo della Crocifissione uno dei putti a sinistra sta navigando reggendo una vela.

Putti naviganti sono presenti negli antichi affreschi e mosaici come simbolo di passaggio della vita all’aldilà, e nella Crocifissione si il passaggio dalla vita alla morte di Cristo.
In quello della Sepoltura, oltre a giocare con l’uva, simbolo eucaristico, due putti suonano degli strumenti musicali e due si abbracciano per consolarsi.

e anche sui capitelli dei pilastri appaiono putti reggi ghirlanda, così come putti compaiono sui capitelli della Crocifissione e del Compianto.

Altri sono posti sopra ai capitelli delle colonne della Cristo davanti a Caifa e a Pilato.

Il pulpito della Resurrezione

è composto da otto scene: Le pie donne al Sepolcro, Discesa al Limbo, Resurrezione, Ascensione, Pentecoste, Martirio di San Lorenzo, Cristo deriso, San Luca Evangelista, ed anche questo la trabeazione con putti.
Nelle Pie donne al Sepolcro un putto sta dormendo, in sintonia con i due soldati all’ estrema destra del bassorilievo.

All’interno della scena dell’ Ascensione dei putti alati volano attaccati al mantello di Cristo

e nella trabeazione dei putti stanno rialzando un erma caduta, e a sinistra altri rialzano la statua di un putto con la cornucopia. Potrebbero essere entrambi simbolo della resurrezione di Cristo.


La Porta Santa

Parte I

Durante il Giubileo l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano da parte del papa è l’invito universale ad entrare nella casa di Dio. La Porta Santa si apre ai primi vespri della vigilia di Natale, giorno in cui è nato Gesù, venuto per aprire la porta del cielo che introduce alla salvezza.

Storia del Giubileo

Prima del Giubileo vero e proprio ci sono state forme di indulgenza plenaria simili: la più antica conosciuta è stato l’ Anno Santo giacobeo istituito dal papa Callisto II nel 1122 e nel 1126, per cui per ottenere il perdono di tutti i peccati i pellegrini si dovevano recare a Santiago di Compostela.
Nel 1294 papa Celestino V emise la Bolla del Perdono per cui visitando la chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell’ Aquila tra il 28 e il 29 d’ agosto di otteneva la “Perdonanza”, cioè l’ indulgenza plenaria.

Papa Celestino V, Niccolò di Tommaso, Santuario di S. Maria di Casaluce.

Papa Bonifacio VIII, sulla scia della leggenda dell’ “Indulgenza dei Cent’anni” conosciuta dai tempi di papa Innocenzo III,

Papa Bonifacio VIII, Arnolfo di Cambio, Museo Opera del Duomo, Firenze.

Papa Innocenzo III, affresco, monastero di San Benedetto, Subiaco.

Incoronazione di Papa Bonifacio VIII, miniatura di Jacopo Stefaneschi, De Coronatione, fine ‘200.

il 22 febbraio del 1300 con la bolla “Antiquorum habet fida relatio” indisse il Giubileo con effetto retroattivo al 24 dicembre 1299, stabilendo anche che si sarebbe dovuto ripetere ogni 100 anni. La bolla venne incisa su una lastra di marmo e affissa nel portico della Basilica Vaticana. E alle sue copie inviate in tutto il mondo cattolico vennero aggiunti i tre versi leonini:
Annus centenus Romae semper est iubileus
Crimina laxantur cui poenitet ista donantur
Hoc declaravit Bonifacius et roboravit
(L’ anno centesimo a Roma è sempre giubilare / I peccati sono assolti le pene condonate / Questo dichiarò Bonifacio e confermò.

Bolla di indizione del primo Giubileo di Bonifacio VIII.

Bonifacio VIII proclama il giubileo del 1300, Giotto, San Giovanni in Laterano, Roma.

Esisteva infatti una tradizione per la quale fino dai tempi antichi un pellegrinaggio a alla Basilica di San Pietro a Roma eseguito il primo gennaio del primo anno di ogni nuovo secolo avrebbe fatto avere l’ indulgenza plenaria. L’ unica notizia che questo rito era in uso fin dal 1200 è riportata nell’ opera “De centesimo sive Jubileo anno liber” resoconto del primo Giubileo del 1300, di Jacopo Caetani degli Stefaneschi, canonico di San Pietro: scrive che un vecchio di 108 anni che, interrogato da Bonifacio, asserì che 100 anni prima, il 1º gennaio 1200, all’età di soli 7 anni, assieme al padre si sarebbe recato innanzi a Innocenzo III per ricevere l’Indulgenza dei Cent’Anni.

Il Trittico Stefaneschi (particolare), Giotto, Pinacoteca, Vaticano

Mentre i sigilli plumbei delle bolle di Bonifacio VIII sono noti, la prima medaglia di questo papa risale al ‘400 e riporta sul retro la Porta Santa.

Si ritiene che tra le monete anonime emesse dal Senato Romano durante il XIII secolo, i cosiddetti “sampietrini” d’ argento siano stati coniati intorno al 1297 proprio in previsione del Giubileo del 1300.

Da tutta la Cristianità ci fu un afflusso enorme di credenti che si recavano alla Basilica di San Pietro, come ricorda Dante nei versi 28-33 del XVIII canto dell’ Inferno:

Come i Roman per l’esercito molto
l’anno del Giubbileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo tolto
che dall’un lato tutti hanno la fronte
verso il Castello e vanno Santo Pietro
dall’altra sponda vanno verso il monte…

per cui fu necessario creare un doppio senso di circolazione sul ponte Sant’Angelo per non intralciare l’ andare e il venire. Le cronache ci dicono che anche a Firenze, a causa della grandissima moltitudine di pellegrini che andavano e venivano da Roma, si applicò una ringhiera di metallo al centro del Ponte Vecchio per regolare il flusso dei viandanti.

Sx – I pellegrini arrivano a Roma. Illustrazione del manoscritto “Croniche” di Giovanni Sercambi. XIV secolo. Archivio di Stato, Lucca.

Dx – Firenze, via Giovanni da Verrazzano, Lapide a ricordo del viaggio fatto a Roma per il Giubileo del 1300 da “Ugolino” e la moglie.

Invece che ogni cento anni, il Giubileo venne indetto dopo 50 anni: il Papa Clemente VI il 18 agosto del 1349 pubblicò, da Avignone, la bolla “Unigenitus Dei Filius” che fissava l’ inizio del Giubileo il 25 dicembre del 1350, nonostante la celebre epidemia di peste del 1348, quella descritta dal Boccaccio nel Decamerone. E dispose che dovesse venir ripetuto ogni 50 anni, invece dei 100 stabiliti da Bonifacio VIII.

Papa Clemente VI, Matteo Giovannetti, 1345, Palazzo dei Papi, Avignone.

Matteo Villani che continuò la “Cronaca” del fratello Giovanni ci dice che tra la Quaresima e la Pasqua visitarono Roma un milione e duecentomila fedeli, e a Pentecoste ottocentomila. Cifre che sembrano molto improbabili.

Pellegrini in viaggio, miniatura tratta dalle Cronache trecentesche di Giovanni Sercambi, Archivio di Stato, Lucca.

Il papa Urbano VI, con la bolla “Salvator Noster Unigenitus Jesus Christus dell’ 8 aprile 1389 stabilì che i Giubilei venissero indetti ogni 33 anni invece che ogni 50. Dispose eccezionalmente di svolgerlo nel 1390, ma morì nel 1389; il successore papa Bonifacio IX lo indisse in quell’anno nonostante lo scisma e la condanna dell’antipapa Clemente VII.

Ritratto di papa Urbano VI presso la Basilica di San Paolo fuori le mura.

Papa Bonifacio IX, Busto contemporaneo, San Giovanni in Laterano, 1390-1410 ca.

Tra papi ed antipapi Martino V stabilì un Giubileo per il Natale del 1423, e un anonimo cronista viterbese scrive che “fè aprire la porta santa di S. Giovanni in Laterano”, cioè creò una nuova porta nella basilica denominata per la prima volta “Porta Santa” che si aprì per la prima volta in quell’ anno.
Niccolò V volle tornare ai Giubilei distanti 50 anni l’ uno dall’ altro indicendo quello del 1450 che ebbe un eco enorme con una altrettanto enorme presenza di fedeli provenienti da tutta Europa tanto che alimenti e alloggi non bastarono. E anche per questo Giubileo fu aperta nella Basilica del Laterano la Porta Santa, come scrive il mercante fiorentino Giovanni Rucellai nel suo Zibaldone, confermando quanto già dichiarato dall’anonimo viterbese per il 1423.

Papa Martino V, Pisanello, XV secolo, Palazzo Colonna, Roma

Papa Paolo II portò l’intervallo tra i Giubilei a 25 anni indicendolo per il 1475, chiamandolo dell’ “Anno Santo”, termine che si affiancò da allora a quello di “anno giubilare” o Giubileo.

Papa Paolo II, Cristofano dell’Altissimo, XVI secolo.

Non è chiara l’ eventuale presenza di una Porta Santa sia in San Pietro che in San Paolo Fuori le Mura e in Santa Maria Maggiore fino al pontificato di Alessandro VI. Autori sostengono che fossero presenti addirittura prima del ‘300, altri che invece l’ apertura e la chiusura della Porta Santa nelle Basiliche Vaticane sarebbe iniziata appunto con Alessandro VI.

Ritratto di Papa Alessandro VI; Cristofano dell’Altissimo, Corridoio vasariano, Firenze

Alessandro VI Borgia indisse il Giubileo del 1500.
Il maestro della cappella papale dal 1484 Giovanni Burcardo (Johannes Burckardus) che scrisse
i “Libri Caeremoniales”, una cronaca delle cerimonie del Vaticano, ci dice che la Porta Santa venne creata per la prima volta nella Basilica di San Pietro dal papa Alessandro VI Borgia in occasione del Giubileo del 1500, da lui indetto nel marzo del 1499 con la bolla Inter Multiplices; per l’ occasione fece aprire anche una nuova strada, la Via Alessandrina (distrutta negli anni ’30 del 1900).
E infatti con la bolla “Inter curas multiplices” Alessandro VI annunciò il Giubileo per il Natale e dispose l’ apertura in contemporanea della Porta Santa di San Pietro e delle altre tre Basiliche patriarcali: San Paolo, Lateranense, Santa Maria Maggiore. E aggiunse “…apriremo con le nostre mani la Porta della basilica del beato Pietro…”.
Nella Basilica di San Pietro venne costruita una nuova porta in muratura, ma preparata perché durante la cerimonia del Giubileo fosse facile per il papa rompere con le tre martellate una piccola parte centrale. Il resto della porta venne demolita dai muratori. Il primo ad entrare in chiesa doveva esse il papa. Alessandro VI anche se forse non creò ex novo la cerimonia dell’ apertura e della chiusura della Porta Santa, dette ad essa però per primo ordine ed uniformità fissando un rituale solenne e rigido nelle norme da osservare. Fu Alessandro VI a denominare il Giubileo anche Anno Santo.
In questo modo ha posto al centro dei riti giubilari la Porta Santa rendendo questo elemento puramente architettonico un profondo valore spirituale carico di significati simbolici.
Ed il martello con cui il papa colpiva la porta si rivestì di un significato simbolico-religioso trovando una affinità ideale con la verga con cui Mosè nel deserto percosse una roccia nel deserto da cui scaturì l’ acqua per il suo popolo. Clemente VII, nel Giubileo successivo del 1525 fece sostituire il martello di muratore adoprato da Alessandro VI fosse sostituito con uno d’ oro massiccio o d’ argento dorato, come ci conferma anche Giorgio Vasari nei suoi cinquecenteschi i “Ragionamenti”.

Sappiamo che prima dell’ Anno Santo del 1625 papa Urbano VIII propose di sostituire nella cerimonia di apertura e chiusura della Porta Santa la porta murata con una porta di legno munita di cerniere e il martello con due chiavi una d’ oro e una d’ argento.

La prima immagine relativa all’ apertura della Porta Santa è quella coniata sul verso della moneta da 5 ducati del 1525 di Clemente VII.

Dal 1742 al 1752 venne realizzata una porta in metallo con anima di legno, per volere di Mons. Francesco Giovanni Olivieri Segretario della Reverenda Fabbrica, che andava a sostituire le imposte di legno della Porta Santa, dove furono incastrati e commessi i due sportelli di metallo che chiudevano la nicchia del Volto Santo del tabernacolo nell’ antico San Pietro. Le due nuove ante non avevano nessun pregio artistico, ma servivano per la chiusura della Porta Santa durante i vari giubilei successivi.


Arlington Memorial Bridge a Washington

Nel 1886 e poi nel 1898 lo US Congress propose per la prima volta la costruzione a Washington di un nuovo ponte sul fiume Potomac, ma senza risultato. Nel 1902, la Senate Park Commission propose nel suo cosiddetto Piano McMillan di costruirne uno all’estremità occidentale del West Potomac Park (area che la Senate Park Commission propose con successo come sito per il Lincoln Memorial) attraverso il fiume Potomac fino al Cimitero Nazionale di Arlington. Questo ponte si sarebbe allineato con Arlington House come simbolo e memoriale dell’unificazione della nazione dopo la guerra civile americana.

Il 4 marzo 1913 lo US Congress emanò finalmente il Public Buildings Act, che, tra le altre cose, creò e finanziò una Arlington Memorial Bridge Commission (AMBC) il cui scopo era progettare il ponte. Il suggerimento era per una architettura di gusto classico sul tipo dei ponti costruiti durante l’impero romano, oppure un modello neoclassico.
Ma a causa dell’inizio della prima guerra mondiale, lo US Congress non stanziò i fondi per l’operazione.
Lo US Congress finalmente autorizzò la costruzione dell’Arlington Memorial Bridge nel 1925.

Con il progetto in mano, iniziò i lavori per autorizzarne la costruzione: e nel 1928 fu deciso di porre sui 4 piloni del progetto del ponte delle statue equestri.
James Earle Fraser e Leo Friedlander furono entrambi incaricati di realizzare le sculture.

Con il progetto in mano, iniziarono i lavori per autorizzarne la costruzione: e nel 1928 fu deciso di porre sui 4 piloni del ponte delle statue equestri.
James Earle Fraser e Leo Friedlander furono entrambi incaricati di realizzare le sculture.

I regolamenti governativi richiedevano agli scultori di creare quattro versioni del loro lavoro in gesso prima che potesse iniziare l’approvazione finale per la realizzazione. Questi modelli dovevano essere più piccoli e in tre diverse dimensioni oltre a quello di dimensioni reali. Nel giugno 1929 i modelli più piccoli erano terminati.

All’inizio del 1930, Friedlander e Fraser stavano discutendo con il Corpo degli ingegneri dell’esercito sul posizionamento e sui piedistalli per i due gruppi equestri.
Nel dicembre 1930 la Commission of Arts (CFA) approvò i modelli di dimensioni maggiori in cui si leggevano meglio i dettagli sulle sculture. I due gruppi statuari di Friedlander erano chiamati Valor e Call to Arms (in seguito ribattezzato Sacrifice). Questi due gruppi dovevano incorniciare l’ingresso dell’Arlington Memorial Bridge.

L’insieme dei 4 modelli dei due scultori vennero chiamati The Arts of War. I due gruppi statuari di Friedlander, eseguiti nel suo studio a Greenbourg, NY, erano in uno stile Art Deco noto come “Delayed Deco”.
Valor si basava su uno studio che Friedlander aveva completato nel 1915-1916 mentre era membro dell’Accademia americana a Roma, mentre Sacrifice era stato creato appositamente per il ponte: la scultura modellata nel 1929, utilizzava le stesse figure di Valor ma con l’aggiunta della figura di un bambino.

Le sculture dovevano essere originariamente eseguite in bronzo ma L’AMBC aveva specificato invece che le statue dovevano essere in granito bianco.
I due gruppi statuari di Fraser erano intitolati “Musica e Raccolto” e “Aspirazione e Letteratura”. conosciuti come The Arts of Peace. Entrambi modellati in un moderno stile neoclassico.
I contratti (probabilmente per i modelli in grandezza naturale) furono stipulati poco dopo la riunione del CFA dell’11 dicembre 1930.
Nel gennaio 1931 fu nuovamente discusso il posizionamento delle 4 sculture.
Finalmente il 24 ottobre 1932 la Commissione visitò lo studio di Fraser’s a Westport, Connecticut e approvò i suoi modelli.
Quando i modelli grandi la metà degli originali stavano per essere completati nel 1933 il CFA sospese il progetto. Ormai, gli Stati Uniti erano nel pieno della Grande Depressione. Il ponte era finito ed era costato più del budget previsto e i fondi disponibili per le 4 statue di granito furono sequestrati ai sensi dell’Economy Act del 1933. Tuttavia il CFA, con i modelli a grandezza naturale già pagati, chiese agli scultori di finire il loro lavoro. La CFA visitò lo studio di Friedlander a White Plains, New York, il 14 ottobre 1933, e approvò i suoi modelli.
Nell’ottobre 1933, il CFA approvava l’altezza delle statue (ciascuna sarebbe stata alta 16 piedi (4,9 m)), i piedistalli alti 13 piedi (4,0 m) e l’altezza del plinto sotto le statue sarebbe stato alto 1 piede (0,30 m). Per le basi sarebbe stato usato il granito di Mount Airy, della Carolina del Nord.
Le richieste di finanziamenti parziali per i quattro monumenti nel 1935, nel 1937, nel 1938 e nel 1939 non ebbero successo. Nel 1939 Fraser e Friedlander completarono comunque i modelli a grandezza naturale.
James Earle Fraser suggerì che le statue venissero fuse in bronzo, cosa che permetteva un notevole risparmio rispetto alla scultura in granito; Friedlander e il CFA concordarono con questo suggerimento e nell’agosto 1941 entrambi gli scultori firmarono contratti per ridisegnare i loro modelli per la fusione in bronzo.
Ma durante la seconda guerra mondiale il denaro per il progetto non era più disponibile.
Nel gennaio 1948, il National Park Service informò il CFA che esistevano un milione di dollari di fondi autorizzati per completare l’Arlington Memorial Bridge. Fraser riferì sui preventivi delle fonderie che aveva avuti nell’ estate del 1947 e, su sollecitazione del Park Service, il CFA chiese al Congresso uno stanziamento iniziale di $ 185.000 per iniziare il lavoro, ma non lo ottenne.
Alla riunione del CFA del 13 settembre 1948, la commissione discusse nuovamente su come ottenere uno stanziamento per eseguire i gruppi di statue. Le fonderie americane non erano state riconvertite dal lavoro di guerra alla fusione d’arte. Inoltre in America solo una fonderia era abbastanza grande per gestire i lavori e nel suo contratto richiedeva una clausola di scala mobile, clausola non accettata dai funzionari del bilancio federale. I membri del Congresso pensarono di chiedere a una nazione europea di considerare le statue, per il pagamento delle fusioni, come parte del Piano Marshall, con ampio consenso del CFA e degli scultori.
Nel 1949, il governo italiano accettò di utilizzare i fondi del Piano Marshall per fondere le quattro statue dell’Arlington Memorial Bridge. In ottobre, funzionari del National Park Service e gli scultori Fraser e Friedlander vennero in Italia per ispezionare varie fonderie trovando un accordo di lavoro: e nel 1950 si dette inizio al lavoro. I modelli in gesso arrivarono in Italia a gennaio. I funzionari doganali li tennero però per diverse settimane all’aperto, al freddo, sotto la pioggia e la neve. Lo studente di Fraser, Edward Minazolli, si recò in Italia per aiutare a supervisionare il processo di fusione e scoprì che i modelli si erano deteriorati. Con il permesso di Fraser e Friedlander, li fece riparare restaurare.
La Fonderia Bruni di Roma e la Fonderia Lagana di Napoli fusero le sculture a loro assegnate. e intendevano utilizzare la doratura a fuoco. Ma la qualità dei campioni non era soddisfacente, altrettanto il colore della doratura. Fraser chiese quindi di rivolgersi per parte del lavoro di fusione alla fonderia Battaglia di Milano e alla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze. Il lavoro della fonderia milanese fu discreto come quello svolto dalla fonderia napoletana. La fonderia fiorentina, invece, fece un ottimo lavoro di colata ma il colore della doratura non piaceva: la si fece allora eseguire a Milano.
I quattro gruppi statuari furono montati alla fine di aprile 1951. Le foto mostrano parti fuse nella Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze, il gruppo statuario terminato prima dell’imballo, i due gruppi durante il posizionamento sul Ponte di Washington.

Furono inaugurati il 3 maggio e poi esposti in diverse fiere italiane prima di essere spediti negli Stati Uniti. I quattro gruppi di statue furono trasportati da Milano a Norfolk, in Virginia, a bordo della SS Rice Victory, quindi collocati a bordo di una chiatta della Marina degli Stati Uniti e portati sul fiume Potomac fino a Washington, DC.

Durante l’inaugurazione dei quattro gruppi di statue del 26 settembre 1951 il Primo Ministro italiano Alcide De Gasperi offrì ufficialmente le statue agli Stati Uniti come dono del popolo italiano, tramite l’ allora ambasciatore italiano Alberto Tarchiani, in segno di gratitudine per l’assistenza americana nella ricostruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale; il presidente americano Harry S. Truman accettava le statue, inaugurate dalle mogli di James Earle Fraser e Leo Friedlander. Nelle sue osservazioni dopo l’inaugurazione, il presidente Truman si impegnava a rimuovere all’Italia alcuni vincoli militari ed economici imposti nel trattato di pace del 1947.

Di fronte all’Arlington Memorial Bridge dal Distretto di Columbia, la scultura Sacrifice è sulla destra.
Il un nudo maschile barbuto e muscoloso, simbolo di Marte, tiene in braccio un bambino piccolo, a testa china. La donna seminuda è alla sua destra, di spalle con la sua testa girata all’indietro per guardare il cavaliere, mentre col braccio destro allungato gli tocca il gomito destro.

Ogni monumento pesava circa 80.000 libbre (36.000 kg). Ciascuno era alto 19 piedi (5,8 m), lungo 16 piedi (4,9 m) e largo 8 piedi (2,4 m). Mentre i pezzi del Sacrificio erano tutti saldati insieme, quelli di “Musica e Raccolto” di James Earle Fraser sono stati imbullonati insieme a freddo.
Il costo totale per il trasporto, la fusione e la doratura dei quattro gruppi è stato di $ 300.000. Fraser e Friedlander sono stati pagati ciascuno $ 107.000.
Ogni piedistallo ha nella parte superiore 36 stelle di bronzo dorato equidistanti, che rappresentano il numero di stati degli Stati Uniti al tempo della guerra civile americana. Nella parte anteriore di ogni piedistallo c’è una corona di fiori classica, disegnata e scolpita da Vincent Tonelli (che ha anche scolpito il Trylon of Freedom davanti al tribunale degli Stati Uniti di E. Barrett Prettyman). Secondo la curatrice d’arte Susan Menconi The Arts of War e The Arts of Peace erano le più grandi sculture equestri negli Stati Uniti.


Opere di Michelangelo

Michelangelo Buonarroti nasceva il 6 marzo 1475 a Caprese presso Arezzo,

da una famiglia fiorentina, che riportò dopo pochi giorni il bambino a Firenze.
Nel 1487, a 12 anni, Michelangelo entrò come apprendista nella bottega del celebre pittore Domenico Ghirlandaio.

Nel 1488 fu invitato ad entrare come discepolo nel Giardino di San Marco di Firenze, dove Lorenzo dei Medici il Magnifico teneva la sua collezione di sculture antiche. Lorenzo il Magnifico ne percepì subito il talento, e nel 1490 lo portò a vivere nel suo vicino Palazzo dei Medici,

dove viveva e mangiava a tavola con lui e con i più importanti filosofi umanistici del Rinascimento. Conobbe quindi i più importanti protagonisti della famiglia Medici, come Giovanni figlio di Lorenzo il Magnifico che divenne il Papa Leone X, e il figlio di Giuliano dei Medici (fratello di Lorenzo il Magnifico) Giulio che divenne il Papa Clemente VII.

Fu in questo periodo che per la lite con un altro discepolo del Giardino di San Marco, Pietro Torrigiano, ebbe il naso rotto. Michelangelo era così amato da Lorenzo il Magnifico, che fece esiliare il Torrigiano da Firenze.

Le prime sue opere, eseguite tra il 1491 e il 1492, quando Michelangelo aveva 15 anni ed era ancora studente nel Giardino di San Marco, sono la Madonna della Scala

bassorilievo in cui riprende da Donatello la tecnica scultorea dello “stiacciato” grazie al quale riesce a rendere magistralmente la profondità dei piani della scala in pochi millimetri di spazio; in quest’opera scolpisce il Bambino con una forte e perfetta anatomia, in una posa contorta e visto di spalle; e la Battaglia dei Centauri

ad altorilievo, ispirandosi ai sarcofagi romani di cui enfatizza l’inestricabile groviglio dei corpi.
Entrambe le opere sono custodite nella Casa Buonarroti di Firenze.

A causa dei rivolgimenti politici avvenuti nella città di Firenze dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, nel 1494 Michelangelo fu scacciato dalla città e si rifugiò a Bologna, dove scolpì per l’Arca di San Domenico conservata nella chiesa di San Domenico a Bologna: San Procolo

soldato romano cristiano martirizzato, con tunica, alti calzari e mantello dei soldati antichi, con espressione fiera ed accigliata; Angelo reggi candelabro inginocchiato,

inginocchiato, figura compatta, dalle forti masse, lontana dagli esili angeli tipici del primo Rinascimento; San Petronio (già iniziata in precedenza da Niccolò dell’ Arca), a cui Michelangelo apportò forza ed eleganza tipiche del suo stile scultoreo.

Nel 1496 Michelangelo, quando aveva 21 anni, fu invitato a Roma dal Cardinale Raffaele Riario nipote di Papa Sisto IV, dove rimase fino al 1501.
Appena arrivato iniziò a scolpire il Bacco,

giovane dio pagano che barcolla ebbro con in mano la coppa del vino mentre dietro di lui, di nascosto, un piccolo satiro mangia la sua uva. L’opera è esposta al Museo Nazionale del Bargello di Firenze.

Nel 1497 iniziò la Pietà,

l’ unica opera in cui, ancora ventiduenne, appose la sua firma nella fascia della Madonna. E’ considerata uno dei suoi più grandi capolavori, e uno dei massimi capolavori della scultura di tutti i tempi. Si trova nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

A Roma aveva conosciuto un importante cardinale della importante famiglia Piccolomini della città di Siena in Toscana, divenuto poi Papa Pio III, e nel 1501 Michelangelo tornò a Firenze portando con sé la commissione che aveva avuto dal Cardinale per ornare l’ altare della Cappella Piccolomini che la sua famiglia aveva nel Duomo di Siena; dette così inizio alla scolpitura di San Paolo, di San Pietro, di San Pio e di San Gregorio che terminò nel 1504, tutte opere ancora poste nell’ altare Piccolomini nel Duomo di Siena.

A Firenze ricevette anche nel 1501 la commissione da parte dell’Opera del Duomo della città di eseguire il colossale David

da porre su uno dei contrafforti esterni della zona absidale del Duomo. Per Michelangelo si trattava di una difficile sfida; li fu affidato infatti un norme blocco di marmo già sbozzato in precedenza da altri scultori. Ma Michelangelo riuscì perfettamente nell’ opera terminandola 3 anni dopo. Il suo David fu così ammirato da essere posto nella Piazza davanti al Palazzo della Signoria.
Michelangelo ha scolpito un giovane nudo dall’ atteggiamento tranquillo nonostante la sfida a cui era stato chiamato, pronto però alla reazione, simbolo della Democrazia che uccide il Tiranno Golia.

Negli stessi tre anni dal 1501 al 1504 Michelangelo scolpì anche la Madonna con Bambino detta Madonna di Bruges

per il mercante fiammingo Mouscron,
il Tondo Pitti dove S. Giovannino è appena accennato sullo sfondo in contrapposizione alla Madonna che fuoriesce tanto da avere la testa che supera la cornice.

Tra il 1504 e il 1506 Michelangelo eseguì il Tondo Taddei dove le figure emergono dallo sfondo con S. Giovannino che mostra un cardellino, simbolo della passione, e che spaventa il Bambino Gesù che prevede il suo tragico destino.

Nel 1503 venne eletto papa Giuliano della Rovere col nome di Giulio II, che iniziò un programma di rivalutazione e abbellimento della città di Roma e si circondò dei più grandi artisti del Rinascimento come Bramante, Raffaello, etc. Fu Bramante che parlò al Papa delle grandi doti e della genialità del fiorentino Michelangelo Buonarroti.
Nel 1505 Giulio II lo chiamò a Roma per progettare e realizzare una sua gigantesca tomba da sistemare all’ interno della Basilica di S. Pietro in Vaticano in fase di costruzione. Dopo due mesi Michelangelo gli presentò il disegno entusiasmando il Papa che gli dette un acconto e lo mandò a alle cave di Carrara per scegliere e acquistare l’ enorme quantità di marmi necessari. La tomba, alta 8 metri, doveva avere circa 40 grandi statue.

Ma nel 1506, dopo che Michelangelo aveva fatto trasportare i blocchi di marmo a Roma, Giulio II perse interesse al progetto costringendo Michelangelo a pagarli. Offeso mortalmente, Michelangelo tornò di nascosto a Firenze, dove iniziò a scolpire altri lavori, come il S. Matteo commissionatogli dall’ Opera del Duomo di Firenze, che però non terminò.

Nella foto sottostante appare la figura di Gesù in piedi, risorto, con un corpo potente ma in una posa di morbida torsione che regge la croce e tiene con la sinistra il suo sudario. Si trova a Roma nella basilica di Santa Maria sopra Minerva.

Alla morte di Giulio II nel 1513 gli eredi chiesero a Michelangelo un nuovo più piccolo progetto per la tomba del papa; Michelangelo accettò, ma il progetto subì continui ridimensionamenti nel 1513, nel 1516, nel 1526, nel 1532 e nel 1542.
Quando era in vita Giulio II, nel primo grandioso progetto erano stati previsti, alla base della tomba, venti “Prigioni” (chiamati poi Schiavi) via via ridotti nei progetti successivi a dodici, poi a otto, poi a quattro, e poi eliminati del tutto. Prima dell’ eliminazione dal progetto di queste statue, Michelangelo ne aveva scolpite sei, di cui due a Roma e quattro a Firenze:

nel 1513 lo Schiavo Morente,

per cui si era ispirato alla statuaria ellenistica del Niobe Morente presente alla Galleria degli Uffizi di Firenze; anche in un soggetto drammatico e potente come questo il corpo e il volto risultano eleganti, come se si trattasse di un possente ballerino;

nello stesso anno eseguì lo Schiavo Ribelle,

ispirandosi anche per questo all’arte ellenistica del gruppo del Laocoonte presente al Museo Vaticano di Roma; il personaggio è reso con una forte e tesa torsione che anima il massiccio corpo.
Entrambi i prigioni sono esposti al Museo del Louvre a Parigi.

Gli altri quattro Prigioni, detti “Fiorentini” furono scolpiti da Michelangelo negli anni ’20 del ‘500, durante la sua permanenza a Firenze per il progetto e la realizzazione, mai avvenuta, della nuova facciata della chiesa di San Lorenzo. Alla morte del maestro nel 1564 erano ancora nella sua bottega in via Mozza a Firenze quando il nipote Leonardo Buonarroti li donò al Granduca Cosimo I dei Medici che li incastonò nella grotta del Buontalenti nel cortile di Palazzo Pitti. Sono conservati alla Galleria dell’ Accademia di Firenze:

lo Schiavo che si desta

è una massiccia figura maschile che contorcendosi sembra fuoriuscire dal marmo da cui cerca di liberare gamba e braccio destro, dando all’ opera una speciale e primordiale forza e dinamicità;

lo Schiavo Atlante

che sostiene il blocco di marmo non ancora scolpito della testa. Nelle possenti braccia e nelle grosse gambe divaricate cui tutti i muscoli sono tesi nel sostenere il gravoso peso;

lo Schiavo Barbuto

è il più completo dei quattro, la particolare posizione del braccio destro che sorregge la testa e la gamba destra piegata creano anche in questo Prigione una dinamicità meno disperata di quella degli altri Prigioni;

lo Schiavo Giovane

ha le gambe piegate nello sforzo di liberarsi dal marmo, e in questo tentativo titanico si protegge la testa e la faccia col braccio sinistro.

Sempre per la tomba di Giulio II Michelangelo nel 1513-1515 aveva scolpito lo straordinario Mosè seduto.

Nel 1542, 25 anni dopo l’esecuzione dell’opera, Michelangelo decise di girare la testa del profeta, dovendo così creare una torsione dinamica di tutta l’opera cambiando anche la posizioni di un ginocchio, e dando una strana forma alla barba che Mosè sorregge tirandola a destra. Le tavole della legge si sono rovesciate scivolando dalle sue braccia.

Nel 1532 Michelangelo scolpiva il Genio della Vittoria;

sembrerebbe anche questo essere stato scolpito per la tomba di Giulio II. Rimasto nella bottega di via Mozza alla sua partenza per Roma nel 1534 fu donato dal nipote Leonardo Buonarroti al granduca Cosimo I che lo pose nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Come i Prigioni il gruppo presenta la torsione del corpo e l’anatomia vigorosa. E la corona di foglie di quercia allude ai Della Rovere famiglia di Papa Giulio II. La scultura rappresenta lo stato del vincitore che domina lo sconfitto tenendolo sottomesso con agilità, con una gamba che gli blocca il corpo ripiegato e incatenato. Il giovane che rappresenta il genio è bello ed elegante, mentre il dominato è vecchio e barbuto, con un fisico flaccido e un’espressione rassegnata. Anche le superfici sono trattate in maniera diversa per esaltare espressivamente il contrasto tra le due figure: il giovane levigato alla perfezione (forse avrebbe le fattezze di Tommaso de’ Cavalieri suo intimo amico di Roma), il vecchio ruvido e incompleto, per lasciare il ricordo della pesante pietra di cui è fatto.

Finalmente l’ultimo progetto della tomba di Giulio II concordato con gli eredi fu eretto, ma non nella basilica di San Pietro in Vaticano ma nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma. Si tratta di una facciata a due piani con solo tre statue di mano del Maestro: il Mosè e le figure bibliche di Rachele e Lia:
Rachele è completamente coperta da un lungo e aderente abito che le copre anche la testa, prega con gli occhi rivolti al cielo con una leggera torsione del corpo che accompagna lievemente la torsione del vicino Mosè. Rappresenta la Vita Contemplativa.

Lia è in veste di matrona romana che ha in mano uno specchio o un diadema sotto il quale c’ è la lunga coda di capelli. Rappresenta la Vita Attiva.

La Sacrestia Nuova

Giovanni, figlio di Lorenzo dei Medici il Magnifico, alla morte di Papa Giulio II nel 1513, venne eletto col nome di Papa Leone X.
Nel 1516 morì Giuliano, l’altro figlio di Lorenzo dei Medici il Magnifico, che era stato eletto Duca di Nemours, e nel 1519 morì anche Lorenzo, suo nipote, eletto Duca di Urbino. Il Papa Leone X chiese a Michelangelo la creazione di una grande cappella funebre nel complesso della chiesa di San Lorenzo a Firenze, chiamata poi Sacrestia Nuova, dove porre anche le future sepolture del padre Lorenzo dei Medici il Magnifico e dello zio Giovanni dei Medici.
Michelangelo iniziò il lavoro che alla morte di Leone X nel 1521 fu confermata dal nuovo Papa Clemente VII cugino del defunto Leone X eletto nel 1513.
Nel 1524 Michelangelo stava finendo la creazione dei modelli in creta, e all’arrivo dei marmi dalle cave di Carrara scolpì 4 figure tra cui la Notte e l’Aurora. Nel 1527 per motivi politici Michelangelo fermò il lavoro e nel 1530 fu costretto a fuggire da Firenze dove ritornò nel 1531 continuando la grande opera.

Il progetto di Michelangelo che venne scelto fu quello con tombe singole per i Duchi nelle pareti laterali e doppie per i Magnifici sulla parete opposta all’altare

Per la tomba di Giuliano dei Medici duca di Nemours ha scolpito il Giorno e la Notte e il ritratto a figura intera:

il Giorno

posto a destra sulla tomba di Giuliano, iniziato nel 1526 e consegnato nel 1534 non finito, è rappresentato come un possente uomo semidisteso sula base curva in simmetria con la vicina Notte. Michelangelo si ispirò ad alcune sculture romane classiche, al Torso del Belvedere che conosceva bene, e si ricordò anche della posizione del Bambino Gesù nella suo bassorilievo della Madonna della Scala. Il gomito sinistro è piegato in appoggio mentre il braccio dietro è piegato all’ indietro come se cercasse qualcosa. Il corpo è ruotato verso la parete mentre la testa e le gambe ruotano in senso opposto verso lo spettatore, creando una speciale tensione emotiva e misteriosa confermata dal volto barbuto appena abbozzato.

La Notte

posta a sinistra sulla tomba di Giuliano è rappresentata da una forte donna anche questa semidistesa sula base curva, così come anche l’ Aurora e il Crepuscolo, con la gamba sinistra piegata; la testa reclinata nel sonno retta dal braccio destro appoggiato alla coscia sinistra e il braccio sinistro piegato dietro la schiena costringono il busto ad una torsione verso chi guarda.
Suoi attributi sono la notturna civetta, i frutti del papavero il cui estratto provoca il sonno, la maschera simbolo del sogno.

Il Ritratto di Giuliano

fu iniziato nel 1526 e finito nel 1534 da Giovanni Angelo Montorsoli. E’ il ritratto del giovane Duca con capo riccioluto e col lunghissimo collo, vestito da generale romano in atteggiamento fiero (opposto all’ atteggiamento penoso di Lorenzo Duca d’ Urbino), con l’ armatura aderente come una seconda pelle), con in mano il bastone del comando.
Per la tomba di Lorenzo Duca d’ Urbino ha scolpito l’ Aurora e il Crepuscolo e il ritratto a figura intera:

l’ Aurora

posta destra sulla tomba di Lorenzo, iniziata nel 1524 e finita nel 1527, è anch’ essa rappresentata da una figura femminile semidistesa di ispirazione romana classica, con un velo sulla testa che cerca col braccio, sinistro mentre si sta svegliando girandosi verso chi guarda.

Il Crepuscolo

posta a sinistra sulla tomba di Lorenzo, iniziata nel 1524 ma nel 1534 ancora non finita è rappresentato come un possente uomo semidisteso sula base curva, appoggiato sul braccio sinistro e con le gambe accavallate, col braccio destro adagiato sulla coscia regge il velo e la testa che guarda indietro e in basso. La posa della figura è rilassata.

Il Ritratto di Lorenzo (Il Pensatore)

fu scolpito da Michelangelo ma terminato nel 1534 da Giovanni Angelo Montorsoli. E’ il ritratto del giovane Duca morto a 37 anni seduto, rappresentato come un generale romano, nella celebre posa pensosa e malinconica; la corazza aderisce al corpo come una seconda pelle; le decorazioni dell’ elmo sono opera del Montorsoli. La mano destra appoggiata sul dorso all’ infuori sulla gamba alluse all’ abbandono nel sonno o nella morte; il dito indice sulla bocca rimanda al silenzio.

Sulla tomba di Lorenzo dei Medici il Magnifico e di Giuliano dei Medici suo fratello solamente la Madonna Medici è di mano di Michelangelo:

la Madonna Medici

fu la prima scultura che Michelangelo iniziò nel 1521 per la Sacrestia Nuova ma ancora in lavorazione nel 1534 quando Michelangelo lasciò Firenze.
Ci sono alcune somiglianze compositive tra questa scultura e il bassorilievo della Madonna della Scala eseguita da Michelangelo nel 1492 a 15 anni d’ età, come la Madonna seduta su un blocco di marmo, la posa del Bambino Gesù che con una forte torsione si presenta di spalle nascondendo il volto; la torsione del bambino e le gambe intrecciate della Madonna creano un forte dinamismo bilanciato dalla testa della Vergine, come nel Genio della Vittoria.

Alla fine degli anni ’40 del ‘500 Michelangelo iniziò a scolpire un’ altra Pietà, la Pietà Bandini

avrebbe voluto destinarla alla sua tomba nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, tant’ è vero che nel volto di Nicodemo ha modellato il suo autoritratto. Usò per questa opera uno dei blocchi di marmo acquistati per la tomba di Giulio II. Volle provare in seguito a cambiare la posizione delle gambe di Cristo, ma una vena del marmo ne causò la rottura. In preda ad una furiosa crisi depressiva Michelangelo la prese a martellate sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù, sulla mano della Madonna, dove si vedono ancora oggi le rotture; staccò del tutto la gamba sinistra di Gesù che doveva accavallarsi su quella di Maria e che andò persa.
Nonostante il cattivo stato dell’ opera, questa fu acquistata nel 1561 da Francesco Bandini che tentò di terminarla. Nel 1674 venne venduta al Granduca Cosimo III dei Medici che la collocò nel Duomo di Firenze e dal 1981 è conservata al Museo dell’ Opera del Duomo di Firenze.
L’ opera ha un andamento piramidale dove il corpo di Cristo che scivola verso il basso, con le sue linee oblique ne è il fuoco.

L’ ultima opera a cui lavorò Michelangelo è la Pietà Rondanini

iniziata nel 1552-53 e rilavorata dal Maestro più volte dal 1555 al 1564, anno della sua morte. Probabilmente avrebbe dovuto sostituire sulla sua tomba la precedente Pietà Bandini. L’ opera, benché non finita, ha una grandissima forza e modernità, e precorre di quattrocento anni una parte della scultura moderna del ‘900. Venne acquistata nel ‘700 dal marchese Rondanini, e nel 1952 dal Comune di Milano dove è esposta al Castello Sforzesco.


Josè Belloni e La "Carreta"

Lo scultore Belloni nacque nel 1882 a Montevideo in Uruguay, da madre spagnola e da padre nativo di Lugano, che era emigrato a Montevideo in cerca di lavoro. Nel 1890 i genitori si separarono, la madre rimase a Montevideo mentre il padre ritornò col figlio a Lugano, che qui frequentò la Scuola Cantonale d’Arte.
Tornò quindi in Uruguay dove nel 1899 ottenne una borsa di studio per la scultura, ma successivamente ripartì per Europa dove a Monaco frequentò l’Accademia di Belle Arti, facendosi conoscere per le sue opere in gran parte d’ Europa; insegnò anche disegno professionale in Ticino, Svizzera.

Allo scadere della borsa di studio ritornò a Montevideo dove insegnò al Circulo de Fomento de Bellas Artes divenendone poi nel 1914 direttore.

l'Archivio Belloni

Purtroppo l’archivio della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli è andato perso nell’alluvione di Firenze del 1966. Nessun documento è rimasto, salvo poche fotografie.
Quella della “Carreta” è l’unica opera antecedente al 1966 eseguita dalla Fonderia Ferdinando Marinelli di cui esistono ancora i documenti (contratti, lettere, etc.) originali dell’epoca, grazie all’Archivio di Josè Belloni a Montevideo, da cui i documenti ed alcune foto sono stati tratti per questo Articolo.

La "Carreta"

Sembra che lo scultore Belloni, nella campagna intorno a Montevideo in Uruguay, abbia visto passare al tramonto una tradizionale “carreta”, se ne sia innamorato, ed abbia quindi fatto delle ricerche su questo vecchio tipo di mezzo di trasporto in uso dall’Ottocento nella parte orientale dell’Uruguay.
Le “carrete” erano carri costruiti completamente in legno, senza chiodi di metallo, coperti in alto da un tetto di tela grossolana e pelle di cavallo. Venivano verniciati con colori vivaci. Nel loro cammino creavano carovane di molti carri trainati da paia di bovi che riuscivano a farle transitare, molto lentamente, in terreni estremamente impervi. Trasportavano, oltre che le persone, pelli ed altre merci fino a Montevideo, dove venivano caricate su navi in partenza per l’Europa.

Al loro fianco cavalcavano i “gauchos” incitando e guidando i bovi.
Quando la carovana si fermava per la notte, i carri diventavano il riparo dove i viaggiatori dormivano: con la bella stagione sotto di essi stesi su pelli dentro i loro ponchi, d’inverno dentro il carro.

Lo Studio dell'Opera

Belloni iniziò ad eseguire, come di regola, una serie di schizzi per rendersi conto e studiare le dimensioni e le proporzioni del monumento, seguendo i quali modellò un bozzetto provvisorio che poi modificò perfezionandolo e ottenendo il primo bozzetto tridimensionale in gesso completo dei dettagli.

Eseguite anche a questo le modifiche necessarie, creò il bozzetto in gesso definitivo.

Fu a questo punto che prese contatto con chi avrebbe eseguito l’ingrandimento del suo bozzetto e con chi, una volta ingrandito, l’avrebbe fuso in bronzo in grandezza originale.
Grazie all’interessamento dell’allora Console dell’Uruguay in Italia, Gilberto Fraschetti, il Belloni venne nell’ agosto 1938 in Italia per parlare del progetto a Ferdinando Marinelli Sr., proprietario della fonderia omonima.
Dopo essersi convinto della capacità lavorativa e la qualità delle fusioni della Fonderia Marinelli di Firenze, fu stabilito che l’ingrandimento sarebbe stato eseguito in fonderia sotto il controllo dello scultore Sirio Tofanari, ben conosciuto dal Marinelli.

Le norme per l’ingrandimento vennero scritte nel successivo contratto d’appalto dell’intero processo alla Fonderia Ferdinando Marinelli, firmato nel gennaio 1930, come si legge nel particolare ingrandito della seconda pagina di tale contratto: per ottenere il modello in creta della “Carreta” nella grandezza originale il Belloni richiedeva l’ingrandimento “ai punti” tramite pantografo da farsi all’interno della Fonderia; da quanto scritto appare anche il modello che inviava in Fonderia era grande la metà dell’originale, andava cioè raddoppiato.

Dal contratto tra il Belloni e la Fonderia Ferdinando Marinelli del 2 gennaio 1930, di 11 pagine (di cui si riportano la prima e l’ ultima pagina) si ricavano alcune interessanti notizie:

la lega di bronzo doveva essere composta dal 90% di rame e il 10% di stagno; anche oggi la Fonderia Ferdinando Marinelli adopra tale lega, ma nell’ anteguerra il bronzo statuario era composto anche da altri metalli, quale il piombo e in piccola parte anche zinco, quindi la richiesta del Belloni anticipava i tempi, benché tale lega fosse più cara di quella normale;
ed inoltre richiedeva dopo le fusioni l’analisi chimica del bronzo per assicurarsi sulla composizione della lega richiesta;

sia i bovi che il cavallo dovevano venir fusi in un unico pezzo, cosa molto difficile date le dimensioni; ancora oggi si tende a fondere pezzi di medie dimensioni per avere una resa migliore. Incredibile che il risultato sia stato perfetto per tutti i bovi e il cavallo, come mi è stato raccontato anni fa da “Brunino”, il più vecchio operaio che aveva partecipato a tali fusioni;

Ma la cosa ancora più incredibile è che il monumento in bronzo, ingrandimento e trasporto a Montevideo compreso, doveva essere finito e montato a Montevideo entro e non oltre 7 mesi dalla data della firma del contratto, con penale di 100 Lire per ogni giorno di ritardo.

Il compenso per tutte le operazioni, compresa l’ esecuzione del modello ingrandito e la spedizione a Montevideo venne stabilito in 320.000 Lire.
In data 4 gennaio 1930 Marinelli inviava una lettera di ringraziamento al Belloni.

Le analisi della lega di bronzo furono eseguite dalla Fonderia del Pignone, risultando la lega perfettamente in sintonia da quanto richiesto dal Belloni e scritto sul contratto.

Alcune foto della “Carreta”

Medaglia commemorativa coniata per l’inaugurazione del Monumento

Immagini della “Caretta” al giorno d’oggi


I 200 Anni della Galleria Bazzanti

Il Servizio Postale dello Stato Italiano, ha considerato la Galleria d’Arte Pietro Bazzanti e Figlio di Firenze un’Istituzione di grande importanza mondiale.
Nel mese di Marzo del 2022 sono venuti a trovarci in Galleria dei Tecnici del Poligrafico dello Stato, sezione Poste e Telegrafi, per un colloquio col proprietario Ferdinando Marinelli e per visitare la Galleria. Sono tornati per chiedere l’autorizzazione del progetto che ci hanno descritto: la creazione di un annullo postale ufficiale da apporre sui francobolli di due cartoline postali illustrate su cui stampare dettagli di sculture presenti nella Galleria, evidenziando il duecentesimo anniversario.

La Galleria Bazzanti è stata aperta nel 1822, e quindi in quest’anno 2022 cade il duecentesimo anniversario della sua fondazione.
Come immagini sono state scelti due dettagli di importanti opere presenti nella Galleria: la testa della Ballerina mani ai fianchi del Canova, il cui originale si trova al Museo Ermitage di Sanpietroburgo, e un particolare del Tritone in bronzo, opera dello scultore Sergio Benvenuti.

Un po' di Storia

La seconda guerra mondiale dette inizio ad un periodo di grande difficoltà che non risparmiò nemmeno la Galleria Pietro Bazzanti.
Nessuna schiarita appariva all’ orizzonte quando nel 1960 la Galleria passò alla famiglia Marinelli, proprietari fin dal 1905 della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze. La nuova gestione seppe sfruttare gli anni della ripresa economica riaprendo anche il proprio studio di scultura, e dando maggior vigore alla sua frequentatissima Fonderia.
Per la storica Galleria tutto questo significò un nuovo corso, segnato da una direzione più manageriale in grado di controllare con maggior rigore la qualità artistica delle opere e di organizzare un’ assistenza più capillare nell’ esportazione.
Oltre ai modelli ottocenteschi di gesso ereditati dalla vecchia proprietà, si aggiunsero quelli della gipsoteca della Fonderia, calchi tutti eseguiti sugli originali da Ferdinando Marinelli Sr. creatore della omonima Fonderia, eseguiti negli anni ’30 del ‘900.
Il già appetibile catalogo della galleria Bazzanti si è accresciuto di una vasta e qualificatissima collezione di bronzi, nota in tutto il mondo sin dai primi anni del ‘900.
Nel 1976 le redini della Galleria e della Fonderia sono passate nelle mani di Ferdinando Marinelli Jr., che ancora oggi alimenta le due anime della Bazzanti: quella dei marmi scolpiti nel proprio studio, e quella dei bronzi fusi in Fonderia con le antiche rinascimentali tecniche della fusione a cera persa apprese dal nonno Ferdinando Marinelli Sr.


Donatello e il Putto nella scultura

Parte VI

Il grande monumento equestre del condottiero Gattamelata (Erasmo da Narni) che Donatello ha eseguito tra il 1443 e il 1453 per Padova è la prima statua equestre di grandi dimensioni fusa in bronzo a cera persa dall’epoca romana fino al Rinascimento. Fu commissionato dal Senato Veneziano e pagata in gran parte dalla vedova del condottiero.

Anche in questa sua scultura Donatello non ha rinunciato ai putti: li ha applicati in rilievo sulla sella,

sulla corazza e sulla cintura.

Nel “Simposio” Platone scrive che è Eros, dio dell’ amore, a istillare il coraggio ai soldati, e i putti che Donatello ha applicato sugli strumenti da guerra indicano che il Gattamelata è sotto la protezione e l’ ispirazione di Eros.

Donatello ha speso gli ultimi quattro anni dal 1446 al 1453 a modellare e fondere il complesso di sculture per l’ Altare della chiesa di S. Antonio a Padova, con un gruppo di statue di santi (Ludovico di Tolosa, Prosdocimo, Antonio da Padova, Daniele, Giustina) e una Madonna con Bambino, quattro bassorilievi raffiguranti miracoli, e, quel che più ci interessa, un bassorilievo di Cristo morto e dodici bassorilievi di putti musicanti. Nel 1579 fu deciso di sostituire l’ altare donatelliano con un altro più grande utilizzando alcune delle sculture originarie. Fu inaugurato nel 1582, ma successivamente rimodificato nel 1691. Pochi putti appaiono nelle decorazioni, come nell’ abito di S. Daniele,

mentre quelli dei 12 bassorilievi sono un’ opera splendida eseguiti da Donatello con l’ aiuto dei discepoli (Giovanni da Pisa, Antonio Chellini, Urbano da Cortona, Francesco del valente, Niccolò Pizzolo).

Sono puttini pagani classici che Donatello ha trasformato in angeli con l’ aureola, con abiti discinti che mostrano gran parte delle nudità, quello che suona il flauto è completamente nudo con la tunica gettata sulle spalle;

hanno perso l’atteggiamento bacchico della cantoria del Duomo di Firenze e del pulpito Prato ed hanno un aspetto più gioioso, tranne forse quello che danza suonando il tamburello, che richiama i movimenti dei putti della cantoria.

Nel piccolo bassorilievo di Cristo morente i due putti-angeli ai lati sono dolenti e disperati, e un po’ meno discinti degli altri.

L‘ altare di Padova ispirò buona parte degli artisti dell’ Italia del nord che si attennero in parte allo stile donatelliano, in particolare il Mantegna, e la tipologia dei putti di Donatello divenne dal 1450 comune anche nell’ Italia del Nord.

Donatello, che è nato nel 1450 ha 64 anni, e si cimenta in due opere monumentali: Giuditta e Oloferne e i due Pulpiti per la chiesa medicea di San Lorenzo a Firenze, a cui lavora fino alla sua morte (1466).
Però prima del 1456 scolpisce anche la Madonna Chellini, una Madonna con bambino e quattro putti-angeli in un piccolo tondo a bassorilievo stiacciato. Sono discinti e seminudi, con le ali e le aureole, e ricordano quelli musicanti di Padova. Ma tutta la scultura è velata di tristezza, la Madonna che prefigura il martirio del pensieroso figlio, ed anche gli angeli lo sono, quello di sinistra si prepara ad accogliere il bambino, quello di destra gli porge del pane, simbolo del corpo di Cristo e del suo sacrificio.

Donatello lo eseguì per donarlo al suo medico e umanista Giovanni Chellini nell’ agosto del 1456, come Chellini stesso riporta nel suo “Libro debitori creditori e ricordanze”. Il suo busto, scolpito da Antonio Rossellino nel 1456, è conservato al Victoria and Albert Museum.


Il vaccino di Edward Jenner e la scultura di Giulio Monteverde

Parte 1

Lady Mary Wortley Pierrepont, moglie dell’ambasciatore inglese a Istambul Lord Montague, nel1714 si ammalò di vaiolo, riuscendo a guarire.

Aveva seguito il marito in Turchia, dove aveva visto alcune donne infettare loro stesse e i figli con il siero di pustole vaiolose. Questi si ammalavano molto lievemente, e diventavano però immuni al vaiolo.
La Lady, di idee moderniste, non esitò a inoculare la malattia ai suoi figli, con ottimi risultati, e cercò di pubblicizzare il metodo in Inghilterra, ma trovò forte resistenza tra i medici e gli ecclesiastici. Ma in molte parti d’Europa questa sua tecnica venne accettata, si vaccinarono infatti i sovrani di Danimarca e di Svezia, i duchi di Parma e di Toscana e la zarina Caterina II.
Ma ci si accorse che una piccola percentuale dei vaccinati prendeva in maniera grave il vaiolo, e ne moriva.

Edward Jenner (1749 – 1823) in gioventù venne contagiato dal vaiolo, che superò, ma che lo segnò profondamente. Infatti a causa di questa malattia non fu accetto all’università di Oxford, dove avrebbe voluto frequentare i corsi di Medicina.

Riuscì a diventare alunno e aiuto di un medico di campagna, il dottor Ludlow, che gli insegnò la professione. Andò poi a Londra dove frequentò l’ospedale sotto la guida del Dott. Hunter.
Jenner vide che i contadini che mungevano le vacche che avevano preso il vaiolo vaccino, diverso da quello umano, si ammalavano, ma non in modo letale. E fece questo esperimento: prese del siero da una malata di vaiolo vaccino e lo inoculò in un bambino che si ammalò leggermente; poco dopo gli inoculò siero di vaiolo umano, e il bambino non si ammalò. Scoprì così che il vaiolo vaccino immunizzava dal vaiolo umano senza dare sintomi gravi o mortali.
Jenner pubblicò questi suoi risultati e nonostante le forti opposizioni mediche e religiose, questa pratica fu seguita in gran parte di Europa. Nel 1803 fu aperto a Londra il Jenner Institute.

Lo scultore piemontese Giulio Monteverde

nel 1873 modellò la scultura “Jenner inocula il vaccino del vaiolo al figlio” che vinse la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Vienna creandone una copia in bronzo ed una in marmo. È un’importante e bellissima opera che mostra Jenner mentre, concentrato sulla responsabilità che si prende, inocula il vaccino antivaioloso su un bambino.

Il Dr. David B. Agus M.D. del “Lawrence J. Ellison Institute for Transformative Medicine of USC” di Los Angeles, ha chiesto alla Fonderia Ferdinando Marinelli di Firenze di poter avere due copie in bronzo della scultura tratte dall’ originale, e quindi di scoprire dove trovare l’ originale in gesso dell’ autore da cui trarre tali copie.

Si è scoperto che il modello originale di gesso è conservato presso la Galleria di Arte Moderna di Genova insieme ad un originale di marmo.

La Fonderia ha ottenuto dalla dottoressa Francesca Serrati direttrice del Museo di permettere agli incaricati del Lawrence J. Ellison Institute for Transformative Medicine of USC di eseguire il calco dell’ opera e di crearne il modello in grandezza naturale.

Il fedelissimo modello è stato consegnato alla Fonderia Ferdinando Marinelli, che ha iniziato la lavorazione per la fusione a cera persa in bronzo di due repliche della scultura.


Donatello e il Putto nella scultura

Parte V

Gli anni ’40 del ‘400 sono quelli in cui Donatello realizza le sue più importanti e più grandi opere di bronzo, in ognuna delle quali continua a far apparire, in un modo o nell’altro, i suoi deliziosi putti.
Nel celebre David bronzeo (Mus. del Bargello, Firenze) scolpisce sull’ elmo della testa di Golia ai suoi piedi una bassorilievo decorativo in cui compare una scena con una serie di putti.

Il significato di questa scena è stato molto discusso, dato che la spada di David vuole indicare proprio il piccolo bassorilievo che quindi probabilmente indica la “morale” dell’ intera scultura. Vi è rappresentato un carro trainato da due putti alati e nudi; sul carro è intronata una figura senza ali che riceve regali da altri due putti alati; dietro il trono appare un personaggio nudo e grasso senza ali che ha dietro, ai piedi, un’ anfora. La scena sembra tratta da un’ antica gemma romana, probabilmente della collezione dei Medici; è molto probabile che la figura seduta sia Bacco accompagnato da Sileno, e che il putto alato gli stia offrendo una coppa di vino. Essendo sull’ elmo di Golia, potrebbe essere la rappresentazione dell’ incontinenza, superbia e arroganza, vizi associati a Golia (e ai tirannici nemici di Firenze) vinti dalla virtù del David (la città di Firenze).

Attis
E’ una statua di bronzo a tutto tondo, alta circa 104 centimetri. Anche se con vari attributi, si tratta di un putto in piedi, ed è la prima volta che nel Rinascimento il putto è scolpito a tutto tondo in queste dimensioni, senza essere un personaggio accessorio o di secondo piano. E’ assolutamente in stile classico pagano, tanto che nel XVII secolo venne preso per un opera romana antica. Oltre che bellissimo, è anche enigmatico, non esiste nell’antichità nessun essere con le sue fattezze e i suoi attributi: sembra che Donatello abbia inventato un nuovo tipo di creatura. E’ in piedi, in un rilassato chiasmo, con entrambe le braccia sollevate.
Si guarda gioiosamente la mano sinistra in cui il pollice e il medio sono chiusi, probabilmente teneva in mano qualcosa che è andato perso; ha i capelli arruffati legati da un cordino che gli regge un fiore in fronte, porta un cinturone in vita con scolpiti delle capsule di papaveri che sostiene una specie di calza-pantaloni che lasciano scoperti e in evidenza le natiche e i genitali; ai piedi ha due tozzi e indefiniti paia di ali, indossa dei sandali con cui calpesta un serpente. Sulle spalle ha due bellissime ali, e all’ inizio dei glutei una piccola coda.

In antico sono esistiti putti in piedi con capelli simili e con simile posa. Ma non hanno le ali ai piedi, né cintura con calze, né coda, né serpenti da calpestare. Donatello ha voluto trasformare il prototipo di putto classico in qualcosa con un ben preciso significato.
Su questo significato si sono scontrati vari studiosi: per Edgard Wind (Misteri pagani del Rinascimento, Adelphi, Milano 1985) è una creazione neo platonica polimorfa, con volto e ali di Eros, che possiede la coda di Pan, i pantaloni di Attis,

la cintura di Hypnos, le ali ai piedi di Mercurio. Per Erwin Panofsky (Rinascimento e rinascenze nell’ arte occidentale, Feltrinelli, Milano 2009, p. 198 nota 14) si tratta dell’ allegoria del Tempo che tira i dadi; e infatti la coda di Pan è il simbolo dell’ associazione di Pan con l’ universo del quale il Tempo ha in mano il fato. Le ali sulle spalle e ai piedi, ed il serpente, sono simboli del Tempo. I pantaloni barbarici sono quelli di Aion, il demone del tempo di origine iraniana. I papaveri della cintura, emblemi del sonno e della morte, rappresentano la sua doppia natura di creatore e distruttore. E l’ oggetto mancante che probabilmente aveva tra le dita era appunto un dado. Il Tempo è un distruttore che gioca a dadi con l’ umanità, il nostro destino è nelle sue mani.
Un frammento di Eraclio rinvenuto nella “Refutatio omnium haeresium” (libro IX, cap. 3 e 4) di Ippolito di Roma dove il Demone del Tempo è appunto definito come un frivolo bambino che gioca d’ azzardo. E questa frase è presente anche in dei carmi (Carmina LXXXXV) del bizantino Gergorio Nazanzieno. Quando Lorenzo il Magnifico riuscì nel 1349 a portare il Concilio tra la chiesa Romana e quella d’ oriente a Firenze, l’ imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo e la sua numerosa corte.

potrebbero aver portato all’ attenzione degli umanisti fiorentini il frammento di Eraclio in continua ricerca di testi greci classici, e poi fatta trasferire sull’ opera di Donatello, come spesso accadeva nelle botteghe degli artisti del Rinascimento.
Di questo capolavoro donatelliano non conosciamo né la data di esecuzione, che viene comunque ipotizzata alla metà del ‘400, né il committente, con qualche probabilità la famiglia Medici, o forse i Bartolini Salimbeni.
Un’altro putto proveniente dalla bottega di Donatello è quello in bronzo del Metropolitan Museum di New York.

Ha degli stilemi che ricordano molto quelli di Donatello, per esempio la pancia arrotondata sporgente come nell’ Attis, il movimento uguale a quello dei putti sul battistero di Siena, il movimento dei capelli, ed ha alcuni attributi dell’ Attis donatelliano: lo stesso tipo di attacco delle ali e le piume tra di esse sulla schiena, una strana coda pelosa, le ali ai piedi.
E’ nato come putto da fontana non sappiamo né quando, ma si può ipotizzare intorno alla metà del ‘400, nè per chi è stato eseguito. Come l’ Attis, è uno dei primi due putti come personaggio in piedi a tutto tondo.
Altri due putti bronzei magnifici, in passato attribuiti a Luca della Robbia, sono quelli del Museo Jacquemart Andre a Parigi, ma ormai sono da tempo attribuiti a Donatello e sono datati intorno al 1440.

Sono due portaceri, molto probabilmente eseguiti da Donatello per la Cantoria del Duomo, dove stavano seduti sui due angoli. Come l’ Attis, hanno capelli mossi legati con un filo decorato con foglie che regge lo stesso fiore dell’ Attis sulla fronte. Anche le ali sono simili a quelle dell’ Attis, con la parte centrale della schiena coperta di piume,

anche l’espressione del volto è similissima a quella dell’ Attis.


Sergio Benvenuti, un’amicizia artistica e una lunga storia americana – I Broncos

Dopo l’inaugurazione della Fontana dei due Oceani, i contatti tra Dudi e Pat Bowlen con Ferdinando Marinelli e Benvenuti si attenuarono, ognuno preso dal proprio lavoro; si limitarono agli auguri e ai saluti per le feste di fine anno.
Molto tempo dopo, un pomeriggio Franco Barducci direttore della Galleria Bazzanti ricevette una telefonata: era Dudi Berretti che cercava Ferdinando Marinelli.
Come per incanto gli anni passati sparirono, le voci al telefono rinsaldarono in un attimo la vecchia amicizia. Ancora una volta Dudi Berretti, incaricato da Pat Bowlen di interessarsi alla realizzazione di un grande monumento per il costruendo nuovo stadio di football di Denver per la squadra dei Broncos, di cui Bowlen era presidente,

si rivolse al binomio Ferdinando Marinelli-Sergio Benvenuti. Le telefonate tra noi tre si susseguirono insieme ai fax, scambi di disegni, schizzi, appunti. I disegni dei progetti del nuovo stadio prevedevano intorno ad esso un terrapieno che Dudi voleva coperto d’erba, arbusti, alberi, con vari cavalli di bronzo al pascolo. Fu allora che Pat Bowlen decise di regalare ai cittadini di Denver un monumento dal forte contenuto simbolico: un gruppo di sette cavalli che risalissero il terrapieno presso la scala d’ ingresso del nuovo stadio. I cavalli dovevano essere sette perché questo è stato il numero del campione della squadra dei Broncos, John Elway, (ed anche il numero fortunato nella vita di Dudi Berretti).
Su invito della “Stadium Management Co. Denver Broncos” volai insieme a Sergio Benvenuti a Denver per presentare il progetto allo Stadium Management e alle varie commissioni artistiche del District. Il monumento ricevette la piena approvazione ed il plauso di tutti. Al ritorno a Firenze Benvenuti si mise immediatamente al lavoro eseguendo i modelli da 1/5 della grandezza della scultura finale. Poco tempo dopo Dudi Beretti insieme all’ architetto paesaggista Lanson Nichols vennero a Firenze per vedere i modelli e per discutere con noi la miglior ambientazione del fondo su cui sarebbero stati fatti correre i sette cavalli.

A tavola, come si sa, si discuteva meglio

Nei locali della Fonderia Marinelli, Benvenuti iniziò l’ingrandimento del primo cavallo, proseguendo poi con gli altri sei.

Appena un cavallo era portato alle dimensioni richieste, veniva fatto in fonderia il calco e poi la cera che veniva subito ritoccata e poi portata alle successive fasi necessarie alla fusione in bronzo.

Alcuni mesi più tardi Dudi Berretti accompagnò degli incaricati della Studium Management Co. Denver Broncos, che in Fonderia controllarono con soddisfazione l’ avanzamento dei lavori.

Vennero fatte conoscere loro anche le specialità della cucina toscana.

Le fusioni procedevano,

e mentre i primi quattro cavalli di bronzo erano sulla nave diretti al porto di Huston e di lì a Denver, lo stesso Pat Bowlen venne a Firenze a riscontrare Sergio Benvenuti ed a visionare gli ultimi tre cavalli, che lo impressionarono favorevolmente.

I sette cavalli erano già a Denver quando insieme al Benvenuti arrivammo anche noi a Denver per indirizzare il montaggio della grande fontana.

Il lavoro di piazzamento e montaggio è durato alcuni giorni,

fino all’ inaugurazione ufficiale. È stata una magnifica esperienza.